Parliamo di crisi economica non perché i poveri sono poveri o perché milioni di persone muoiono per fame o per malattie curabilissime. Parliamo di crisi economica perché i capitalisti non riescono ad avere saggi di profitto adeguati ai propri investimenti di capitale, perché le imprese e le banche falliscono, perché il profitto ristagna o addirittura cala... La crisi è sempre crisi del capitale, sebbene le sue conseguenze si riversino drammaticamente sulla condizione dei lavoratori in termini di aumento della disoccupazione e di riduzione dei salari.
Checché ne dicano i vari sindacalisti, la soluzione della crisi non risiede nell'aumento del salario. E non risiede in qualunque altra chiacchiera del tipo "noi la crisi non la paghiamo" o "noi il debito non lo paghiamo". E' vero proprio il contrario. Dentro il quadro del modo di produzione capitalistico sono i proletari e non i capitalisti, che pagano le conseguenze della crisi. Ed è proprio per questa ragione che l'attacco deve essere portato al cuore del problema, al capitalismo, senza limitarsi a qualche sua espressione secondaria o simbolica. Infatti, i lavoratori di tutto il mondo sono sotto attacco e in modo specifico lo sono i lavoratori del centro imperialista - tra cui quelli europei - il cui reddito deve essere ridotto per rialzare i saggi di profitto. Non stupiscono, quindi, le ricette della BCE che tutti i governi (di centro, di destra e di sinistra) corrono ad applicare. Quello che stupirebbe (e soprattutto preoccuperebbe) è che non si cogliesse fino in fondo la necessità di costruire una progettualità politica capace di andare oltre alla dimensione puramente estetica o economicistica del conflitto. Gli “elenchi della spesa” (vogliamo “questo” e “quello”) e i proclami ad effetto (noi non paghiamo “questo” e “quello”) sono solo chiacchiere in un’epoca in cui i “bei tempi” delle briciole che cadevano dal tavolo del padrone sono ormai tramontati.
I riots in Europa ci dicono che la rabbia c'è, almeno in alcuni settori giovanili non influenzati dai soliti personaggi e movimenti decotti.
Ci dicono anche che questa rabbia può trasformarsi in coscienza? Forse; oggi è presto per dirlo e comunque questo non avverrà spontaneamente. Se la coscienza fosse un prodotto spontaneo – come qualcuno sembra ancora illudersi - le cose sarebbero già cambiate da secoli.
Certamente una cosa si può dire.
Che l'auto celebrazione estetica del conflitto e la sua relega alla dimensione esistenzialistica sarebbe la peggiore delle morti politiche. E che un conflitto cieco, senza progettualità - un “anti” senza un “per” - è destinato inevitabilmente ad essere depotenziato, strumentalizzato, sconfitto.
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Safe European Home
Da Parigi a Londra; da Atene a Roma. Cosa ci dicono le rivolte nelle metropoli europee
Venerdì 28 ottobre 2011 ore 21 c/o Cantiere Sociale Versiliese ex scuola INAPLI, Via Belluomini Quartiere Varignano VIAREGGIO (LU) Sabato 5 novembre 2011 ore 16 c/o Centro culturale e di documentazione Bertolt Brecht Piazzetta San Gaetano 1 SCHIO (VI) Proiezione del film "This is England" e commento/dibattito sulla situazione politica e sociale in Europa
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In allegato un “vecchio” (luglio 2010) commento diPrimomaggio sulle indicazioni della Banca Centrale Europea in tema di gestione della crisi e ammortizzatori sociali, dal titolo“L'Europa reale e le politiche del lavoro per la BCE”
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