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sabato 14 luglio 2012

Inquinamento e malaffare in Toscana


da Il Tirreno

Ripartono le ricerche 

Nel silenzio assoluto la Marina ha iniziato la caccia ai bidoni 
LIVORNO Nel silenzio assoluto (e poco comprensibile) tre giorni fa la Marina Militare ha iniziato l’operazione di ricerca del materiale tossico mai trovato, caduto dall’eurocargo Venezia nella notte del 17 dicembre 2011. Si tratta di 87 sacchetti pieni di catalizzatori, alcuni ancora contenuti all’interno dei bidoni, altri fuoriusciti dai fusti. A dare notizia dell’intervento della nave idrografica Magnaghi è stata ieri la Provincia, a cui la capitaneria di porto ha comunicato l’inizio delle operazioni datate mercoledì 11 luglio. E’ quantomeno curioso che il giorno prima che la Magnaghi iniziasse le ricerche, neanche in Senato avessero notizie riguardanti l’intervento della forza armata, tanto che il senatore Filippi e il vicepresidente di Palazzo Madama Vannino Chiti ancora sollecitavano in aula il ministero della difesa a muoversi. Ennesimo flop comunicativo di una storia iniziata il 17 dicembre e venuta a conoscenza dell’opinione pubblica ben 11 giorni dopo, proseguendo in questi 7 mesi in un mare di silenzi, ritardi e anche di omissioni. Le ricerche della Magnaghi dureranno 20 giorni. Ma il piano dell’operazione per adesso non è stato reso noto all’opinione pubblica. Che invece, è palese, è interessatissima alla questione. Ne è conferma, se ce ne fosse bisogno, il successo della raccolta di firme intitolata “Togliete quei bidoni!”, ormai quasi a quota 2000. Giulio Corsi

Bidoni, chiazze e nubi tossie: c'è i saldi der sudicio! 

Con tutti i troiai che ci sono aggiro un giorno di vesti s'accende 'n fiammifero si sarta per aria! 

A Livorno 'n questo periodo ci devano esse' i saldi su troiai e sull'inquinamento, Maremma 'mpestata! Non si rivince: ogni giorno, sempre peggio. Le chiazze 'n mare a S. Jacopo che appaiano e scompaiano di 'ontinuo (co' fanghi che si liquefanno a periodi come ir sangue di S. Gennaro), i bidoni radiàttivi persi sur fondo di Gorgona che ancora non s'è capito quanti, come, quando e perché sono lì (e lì, dove, poi?) e ora, come se non bastasse la mòta che c'è nell'acqua, ogni tanto 'n città piglia foo un deposito di stoccaggio di materiali perìolosi (stavolta di raccolta di pràstia) appestando bene bene l'aria che ci sta 'ntorno. Lo sai quarche giorno di vesti s'accende 'n fiammifero si sarta per aria - con tutto ir materiale lezzo che c'è aggiro! Si mangia i pesci ar plutonio, si fa ir bagno ner cobarto, si respira 'r piombo. Bisogna porre fine a questi scempi! Chi 'nzozza l'ambiente lo fa perché tanto sa che è difficile morì ner breve periodo. Ma l'inquinamento dell'aria e nell'acqua non perdona: nel lungo periodo ti stempia alla grande, senza pietà. Della serie: io avveleno ir pesce, ma ir pesce avvelena me. Perché, vorrei dì all'inquinatori, in un cacciucco anche loro avranno difficoltà a capì qual è ir pesce sudicio e quale quello pulito. Sicché, lo mangiano anche loro. E speriamo che le lische, allora, ni vadano di traverso! Claudio Marmugi 
«Un distretto dei rifiuti fuori città» 
L’assessore Grassi insiste sul trasferimento dell’azienda, auspicato anche da Bartalucci (presidente di circoscrizione) 
LIVORNO Il trasferimento della Lonzi metalli è un punto prioritario per Comune e Provincia. E lo è ancora di più dopo il rogo, l’ennesimo, che ha distrutto venti tonnellate di rifiuti non pericolosi (carta, cartone, stoffe e tanta plastica). Un rogo che secondo l’azienda è di origine dolosa - ma questo dovranno stabilirlo gli inquirenti - e che giovedì mattina ha liberato sul cielo della città una enorme nube maleodorante. Subito dopo l’incendio il Comune, in attesa delle rilevazioni di Arpat sui livelli di diossina e Ipa (idrocarburi che si liberano durante la combustione dei rifiuti), ha emanato un’ordinanza in cui invita i cittadini che risiedono nell’arco di 300 mteri dalla ditta di smaltimento rifiuti a lavare bene frutta e verdura raccolta in zona e a non mangiare cereali coltivati nella stessa area.Il rogo di giovedì impone, secondo le istituzioni, un’accelerata nel percorso di trasferimento della Lonzi. Un trasferimento per cui Comune, Provincia e Lonzi avevano già firmato un protocollo di intesa nel giugno di due anni fa. Di delocalizzazione parla Daniela Bartalucci, presidente della circoscrizione 1, che nei mesi scorsi ha effettuato un sopralluogo esterno e negli impianti dell’azienda in via del Limone. «Abbiamo dato parere positivo - dice Bartalucci - alla modifica del vecchio piano regolatore, e auspichiamo la delocalizzazione dell’attività». Non solo, lunedì mattina in consiglio di circoscrizione c’è all’ordine del giorno la discussione di una petizione presentata da una quarantina di abitanti di via del Limone che chiedono il trasferimento della ditta. «Assumeremo e trasmetteremo questa petizione - conclude Bartalucci - con un ordine del giorno in cui si chiederà che le procedure per ottenere una variante urbanistica e il successivo trasferimento siano veloci». Fa riferimento a un’area di delocalizzazione ben precisa - Puntone del vallino - Nicola Nista, assessore provinciale all’ambiente. «Lonzi - dice Nista - ha ipotizzati un trasferimento nell’area del Puntone perché esiste un più ampio progetto di insediamento aziendale, indipendente da Lonzi. So che da parte dell’azienda l’ipotesi di trasferirsi è ancora valida, ma quell’area ad oggi non è a disposizione perché mancano gli strumenti urbanistici per adeguarla». Nista chiarisce che entro luglio è previsto un incontro con l’assessore comunale all’urbanistica «per fare il punto e capire se è possibile accelerare il trasferimento e dare esecuzione più rapida al protocollo del 2010. Come Provincia vogliamo chiudere una serie di partite, tra le quali anche questa della delocalizzazione». Che il trasferimento sia fondamentale lo sottolinea anche l’assessore comunale Mauro Grassi, che sull’idea del Puntone taglia corto («è una delle ipotesi») e invece insiste sulla creazione di un distretto dei rifiuti.«Il sindaco - dice Grassi - mi ha dato mandato di affrontare in modo prioritario la questione di allontanare le aziende di rifiuti dall’area urbana, senza bisogno di eliminarle perché creano economia e occupazione». Sulla collocazione di questo distretto dei rifiuti («in cui potrebbero andare Lonzi, Rari e altre piccole realtà che trattano materiali di scarto», insiste Grassi), l’assessore non dà chiarimenti. «L’idea - conclude Grassi - è innovativa. Il Puntone se si pensa a un distretto è una zona troppo limitata. Mi sto apprestando a redigere il piano strutturale, penserei a un’area capiente per tutte le realtà che trattano rifiuti. Insisto sul fatto che la volontà del Comune di trovare un luogo adeguato e quella del privato di andarsene devono essere regolate da una corretta analisi finanziaria, è necessario trovare risorse non pubbliche. Generalmente queste operazioni si fanno con i mezzi urbanistici alla luce sole, senza che il privato ne tragga alcun guadagno». Anna Cecchini
E ora l’inchiesta punta su Livorno 
Inquirenti al lavoro su computer e documenti sequestrati nella sede di via March, ai raggi x finanziamenti e investimenti 

TRUFFA DE TOMASO»DOPO GLI ARRESTI 
di Federico Lazzotti wINVIATO A TORINO È una scia di soldi pubblici e finanziamenti sospetti per milioni di euro quella che Gianmario Rossignolo, 82 anni, lascia dietro di sé uscendo dall’aula 42 del tribunale di Torino scortato da due finanzieri in borghese che lo riporteranno nella sua villa di Vignale Monferrato, nell’alessandrino, dove l’ingegnere ha deciso di trascorrere gli arresti domiciliari. L’interrogatorio di garanzia davanti al giudice Maria Francesca Christallin, è durato poco meno di un’ora ed è finito poco prima delle 10,30, ma l’inchiesta sui presunti raggiri messi in atto dai vertici della De Tomaso automobili spa sembra solo all’inizio. L’indagine – confermano fonti investigative – adesso punta dritto su Livorno dove la società, fallita due volte in una settimana, ha la sua sede legale, al numero 14 di via March e dove è stato aperto lo stato passivo, mentre i documenti del crac finanziario sono arrivati alla Procura labronica solo qualche giorno fa. È nel quartier generale della De Tomaso, nella zona industriale del Picchianti, che le fiamme gialle piemontesi si sono presentate all’alba di giovedì sequestrando «materiale interessante» prima di arrestare il vice presidente Claudio Degrate, scarcerato ieri, e il broker Christian Limonta accusato di aver falsificato la polizza fideiussoria con la quale la spa è riuscita ad assicurarsi fondi ministeriali per 7,6 milioni di euro da utilizzare per corsi di formazione mai effettuati. E ricevendo in cambio una maxi provvigione pari a oltre un quinto del totale che avrebbe poi versato sui conti dei vertici De Tomaso, a cominciare da Rossignolo junior. Come è stato utilizzato il prestito obbligazionale di 2,4 milioni di euro sottoscritto da Fidi Toscana e Spil? E i 2,5 milioni che la Regione Piemonte doveva versare per l’avveniristico progetto tecnologico Univis? E quelli dell’Unione Europea? Sono queste alcune delle domande che aleggiano come spettri nell’ordinanza di custodia cautelare. Fondamenta, è il sospetto, per future inchieste, a cominciare da quella che sarà aperta per bancarotta fraudolenta. Scrivono i pubblici ministeri Alberto Perduca e Vincenzo Pacileo nella premessa che anticipa la richiesta delle misure cautelari per i tre indagati: «Il destino della De Tomaso è inesorabilmente segnato dall’azzeramento completo del capitale sociale, determinato da una colossale perdita di oltre 23 milioni di euro». Ma nonostante la società sia «decotta e votata al fallimento», Rossignolo e Degrate avrebbero pianificato raggiri per «procurarsi ingenti somme». L’intento sarebbe stato quello di «lucrare le ulteriori rate dei contributi pubblici già deliberati e addirittura di ottenerne di nuovi (il 20 giugno scorso si parlava di 55 milioni di euro in arrivo dalla Regione Piemonte)». Ecco perché «esiste un concreto pericolo di reiterazione del reato (in parte tramontato dopo il fallimento ndr)». In particolare gli investigatori fanno riferimento al progetto Univis, tecnologia al servizio dell’auto, per il quale il 27 agosto di due anni fa la Regione Piemonte ha firmato un impegno di spesa pari a 2,5 milioni di euro. Su questo scrivono, sono in corso accertamenti. Ma non è la sola pratica che sarà analizzata ai raggi x. Altro servizio a pg 1
la Scarcerazione di claudio Degrate 
«Non può più fare raggiri» Il manager a casa in treno 

DALL’INVIATO A TORINO È arrivato a Torino giovedì mattina a bordo di una camionetta della polizia penitenziaria ed è tornato su una carrozza del treno Intercity arrivato a Livorno nel tardo pomeriggio di ieri. È durata poco più di 24 ore la detenzione di Claudio Degrate il manager livornese di 57 anni, vice presidente della De Tomaso automobili spa arrestato due giorni fa all’alba con l’accusa di truffa in concorso ai danni dello Stato per i presunti raggiri effettuati dai vertici della società per accaparrarsi finanziamenti pubblici per i corsi di aggiornamento utilizzati poi in tutt’altro modo. Determinante nella decisione del giudice per le indagini preliminari che ha ascoltato il manager nel carcere delle Vallette la produzione dei suoi legali, gli avvocati Massimo Girardi e Gabriele Rondanina, della sentenza con la quale il tribunale di Livorno ha dichiarato il fallimento, la settimana scorsa, della società automobilistica. «In questo modo – conferma l’avvocato Girardi – decadono due dei presupposti a sostegno della necessità di una misura cautelare: la reiterazione del reato e l’inquinamento delle prove». In quasi due ore, tanto è durato l’interrogatorio, il manager avrebbe spiegato al giudice di «non sapere che quella fideiussione», presentata al ministero del Lavoro il 25 luglio dello scorso anno «fosse falsa». La strategia difensiva, a questo punto sembra chiara, sia Gianmario Rossignolo che il suo braccio destro sosterranno, per questa parte dell’inchiesta, di essere a loro volta vittima del broker che ha procurato la polizza. I due indagati però dovranno anche spiegare perché una servizio che sarebbe dovuto costare 300mila euro, tanto chiede la Confidi per polizze simili, sia stato pagato cinque volte tanto e soprattutto perché il 10% di quei soldi una settimana dopo essere stati versati sul conto del broker siano tornati nelle casse della De Tomaso. (f.l.)

REGIONE
La tesi di Rossignolo: «Alla fine la politica mi ha lasciato solo» 
Il patron della De Tomaso risponde al Gip dopo l’arresto «La fideiussione falsa? Per me era autentica» 
di Federico Lazzotti wINVIATO A TORINO Stringe mani, sorride e uscendo dall’aula 42 sistema l’immancabile doppiopetto grigio prima di allontanarsi scortato da due finanzieri in borghese. Se non fosse perché la stanza è quella al piano terra del tribunale di Torino, l’immagine di Gianmario Rossignolo, 82 anni, dall’alba di giovedì agli arresti domiciliari per una presunta maxi truffa ai danni dello Stato, è la stessa di quando prometteva «l’auto del futuro», «mirabolanti nuove tecnologie» e «migliaia di posti di lavoro per gli operai degli stabilimenti di Guasticce e Grugliasco». L’ex numero uno tra le altre di colossi come Telecom e Zanussi, parla e si difende per quasi un’ora davanti al giudice Maria Francesca Christillin dalle accuse che hanno portato in carcere anche il suo braccio destro, il manager livornese Claudio Degrate, 57 anni, scarcerato ieri, e il broker bergamasco Christian Limonta, 33, considerato il falsario che avrebbe prodotto la polizza tarocca firmata Confidi Mutual Credito in cambio di una maxi provvigione da 1,5 milioni di euro, in parte restituita a persone vicine alla De Tomaso, tra i quali Rossignolo junior. L’ingegnere di Moncalieri, durante l’interrogatorio, tira in ballo la politica: «Mi ha lasciato solo dopo tante promesse, anche scritte». Giura che per lui quella fideiussione di oltre 7,6 milioni di euro depositata al Ministero a garanzia dei finanziamenti pubblici per corsi di formazione mai organizzati «era buona, autentica insomma». Racconta che la prima tranche di soldi pubblici incassati è servita per «mettere le cose a posto, che il piano industriale era triennale» e che nell’operazione di rilancio della De Tomaso automobili spa ci ha rimesso «undici milioni di euro in prima persona e una casa di mia moglie che ha ipotecato». Il ritratto che gli investigatori hanno fatto di lui nelle diciassette pagine dell’ordinanza di custodia cautelare è tutto il contrario di quello di una vittima inconsapevole. Tanto che l’inchiesta si sta allargando e punta verso Livorno per verificare l’uso di altri finanziamenti pubblici versati alla Spa sulla quale è nell’aria anche un’indagine per bancarotta fraudolenta dopo il doppio fallimento. Il gip, non a caso, descrive Gianmario Rossignolo come «il principale protagonista del proclamato rilancio, con De Tomaso, della produzione di autoveicoli di qualità». E nonostante l’operazione del finanziamento sia stata eseguita in prima persona dal Degrate, «non può essere messo in dubbio il suo pieno coinvolgimento». L’ingegnere, infatti, era «il promotore dell’iniziativa», «avanzava personalmente le richieste». Come quella che ha portato ad incassare altre 5,7 milioni di euro attraverso il progetto Univis sul quale la finanza ha aperto un’indagine. Insomma era il «centro propulsore per la percezione dei contributi, il percettore degli stessi e il gestore dei fondi così ottenuti e dirottati per finalità illecite». Sarebbe stato Rossignolo a disporre il bonifico bancario di 1.536.000 euro verso il broker quando per un servizio simile le agenzie chiedono al massimo 300mila euro. Forse è per tutte queste incongruenze che il giudice ha rifiutato la richiesta di scarcerazione presentata dal suo legale al termine dell’udienza. ©RIPRODUZIONE RISERVATA 
Degrate liberato, torna a Livorno in treno 
Dopo essere stato rimesso in libertà è tornato a Livorno in treno, Claudio Degrate, 57 anni, il dirigente della De Tomaso che giovedì era stato arrestato dalla finanza nell’inchiesta che ha portato agli arresti domiciliari il patron Gianmario Rossignolo. Degrate , difeso dall’avvocato Massimo Girardi, è comparso davanti al gip Francesca Christillin al quale il legale ha presentato la sentenza di fallimento della società che fa ha fatto cadere le esigenze cautelari. L’indagato avrebbe però confermato la ricostruzione degli inquirenti sul suo ruolo nella vicenda della fideiussione - risultata falsa - che servì per ottenere un finanziamento di 7,5 milioni dal Ministero. Ha precisato però che non sapeva che il documento fosse fasullo. Il mediatore creditizio Christian Limonta che procurò la fideiussione alla De Tomaso, si è avvalso della facoltà di non rispondere. 

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