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sabato 4 agosto 2012

Bidoni, «Eccoli lì, sul monitor» La Marina cerca e trova


«Eccoli lì, sul monitor» La Marina cerca e trova 
I fusti non sono andati dispersi, bastava spostare le ricerche più a nord est Trenta nuovi “bersagli” scovati dalla nave, ora il problema è recuperarli 

 da il Tirreno

di Giulio Corsi wINVIATO SULLA NAVE MAGNAGHI 8 MIGLIA A NORD DI GORGONA I fusti ci sono e non sono introvabili. Sono bastati tredici giorni di navigazione, acca ventiquattro, su un'area di diciotto chilometri quadrati, leggermente più a nord-est rispetto alla zona setacciata dagli esperti di Castalia, e la nave idrografica Magnaghi della Marina Militare ha dimostrato che di bidoni tossici nel mare toscano ce ne sono ancora a decine. Probabilmente non tutti quelli perduti dall'eurocargo Venezia nella burrascosa notte del 17 dicembre dell’anno scorso e mai individuati dalle operazioni finanziate da Grimaldi. Perché come sottolinea il capitano di fregata Maurizio Demarte, comandante della Magnaghi, non si può escludere che alcuni dei 198 fusti caduti dal ro-ro siano precipitati dal ponte del mercantile che ha viaggiato con la balaustra distrutta per 72 miglia dalla Gorgona fino a Genova, scivolando giù un po’ alla volta durante il tragitto e disseminandosi dunque anche lungo il mar Ligure settentrionale. E anche perché, secondo dettagli finora mai emersi, l’equipaggio del Venezia sarebbe uscito sulla coperta della nave in balia delle onde per verificare la situazione del carico solo due ore dopo la brusca accostata sopra la Gorgona che provocò un’inclinazione del cargo di 35 gradi, il volo in acqua dei due rimorchi e di buona parte dei fusti che essi trasportavano e la rottura della balaustra. E dunque nessuno può testimoniare se quei 198 fusti si siano inabissati tutti insieme o un po’ alla volta. Intanto però una trentina di echi, che con altissima probabilità potrebbero essere bidoni, sono stati ascoltati dal sonar della Magnaghi e confermati dal suo magnetometro: anche noi abbiamo potuto vederli. «Eccoli lì, sul monitor...». A una distanza che va da un miglio e mezzo a quattro miglia a nord-est dall’area di ritrovamento del primo gruppo di fusti. Cioè ancora davanti alla costa livornese e a quella di Tirrenia, leggermente più vicini a terra. Il che racconta chiaramente una cosa: che l’operazione pagata da Grimaldi e affidata a Castalia è stata interrotta a metà lavoro, quando poteva dare ancora frutti. E smentisce le parole di Lorenzo Barone, project manager di Castalia , che davanti all’impiego della Marina aveva detto che sarebbe stato molto difficile trovare altri fusti non essendo possibile individuare una zona esatta in cui effettuare l’ulteriore ricerca. Parole che erano già state messe in discussione dall’aggancio casuale di un fusto da parte delle reti del motopeschereccio Giaguaro il 5 luglio, avvenuto nella stessa zona (interdetta alla pesca) in cui poi ha deciso di operare la Magnaghi. Una serie di domande a questo punto torna a farsi avanti. Quante possibilità ci sono che gli echi ascoltati dalla strumentazione della Magnaghi, vecchia signora dei mari coi suoi quasi 40 anni di navigazione ma dotata di una modernissima apparecchiatura di ricerca e di un equipaggio di 120 persone specializzate all’istituto idrografico della Marina, siano effettivamente i bidoni tossici caduti dall’eurocargo Venezia? Moltissime. Il comandante Demarte nel report che lunedì farà trovare sulle scrivanie dello stato maggiore della Marina, scriverà che l’eco riscontrato dal side scan sonar è compatibile e che il magnetometro ha confermato. «Gli echi totali sono una novantina, di questi 30 potrebbero essere i fusti», spiega mentre la Magnaghi indirizza la prora verso La Spezia dove ieri pomeriggio ha terminato la sua missione. «La conferma definitiva potrà darla soltanto un rov (i robot sottomarini dotati di telecamera, ndr). Il nostro compito era quello di individuare nuovi bersagli e l’abbiamo portato a compimento». E qui nasce la seconda domanda: a chi competerà calare i rov per avere la prova visiva che quegli echi sono i bidoni tossici? E a quel punto: a chi spetterà, logisticamente ed economicamente, il recupero? La missione portata a termine dalla Magnaghi, il cui costo secondo la denuncia del capogruppo Pdl al Comune di Livorno Bruno Tamburini, ex comandante di capitaneria, è stato di 15mila euro al giorno, è caduto sulle casse del ministero dell’ambiente come ha spiegato il ministro della difesa Di Paola rispondendo nei giorni scorsi a un’interrogazione del senatore Marco Filippi (Pd). Cifra per cui adesso il ministero potrebbe rivalersi su Grimaldi. E proprio all’armatore napoletano verrà adesso chiesto dalla prefettura e della capitaneria di Livorno, che ha supervisionato l’operazione dal dicembre scorso, di farsi carico dei nuovi interventi, di indagine ed eventualmente di recupero. Magari utilizzando i mezzi e gli uomini di Castalia che avevano egregiamente portato a termine due terzi del lavoro, recuperando 90 fusti pieni e 21 sacchetti. Ma lasciando sui fondali toscani e liguri 87 bidoni o sacchi contenenti materiale tossico. Che sono diventati 86 col fusto recuperato dal peschereccio e che a questo punto potrebbero diventare 56. GUARDA IL FILMATO E LE FOTO E COMMENTA LA NOTIZIA WWW.ILTIRRENO.IT 

Quella ricerca interrotta a metà 
la prima fase 


«Quella notte il mare veniva da sud ovest e non solo gli studi analitici ma anche l’esperienza comune ci hanno suggerito che i bidoni potevano essere finiti lì. E così abbiamo spostato l’asse delle ricerche dalla linea est-ovest che era stata seguita da Sentinel a quella sud-nord». Il comandante Demarte a una cosa tiene in particolare: evitare qualunque contrapposizione con gli esperti di Castalia che hanno seguito la parte di ricerca e recupero dei fusti pagata da Grimaldi. «Sono preparatissimi e i risultati che hanno ottenuto sono stati importanti: 144 bersagli tra bidoni pieni, vuoti e sacchi». Purtroppo però, quando sono finiti i soldi, hanno (forzatamente) finito il lavoro. A metà. (g.c.) 

L’ASSESSORE ALL’AMBIENTE 
«Grimaldi si assuma responsabilità e spese di ripristino» 


LIVORNO «Il fatto che per adesso si tratti di "30 bersagli" ovvero di 30 oggetti in fondo al mare sulla cui natura ci sono molti indizi ma non non c'è ancora alcuna certezza ci spinge a sollecitare ancora di più il completamento della ricerca». L'assessore all'ambiente del Comune Mauro Grassi torna a rivendicare «il diritto dei cittadini di non vedere il Mar Tirreno "infestato" da rifiuti, men che meno se tacciabili di tossicità». «Nei giorni scorsi - aggiunge l'assessore Grassi - abbiamo letto anche alcune polemiche su come è stata affrontata la vicenda e siamo stati accusati di aver sopravvalutato la questione e di avere imposto per questo interventi e costi eccessivi all'armatore. Non vogliamo demonizzare la compagnia Grimaldi. Ma è fuori di ogni dubbio - chiosa l'assessore - che chi procura danni all'ambiente e ai cittadini debba assumersi responsabilità e costi di ripristino. Dopodiché, non sono le Amministrazioni locali che hanno definito la tossicità dei bidoni. Gli Enti locali si affidano alle competenze tecniche delle agenzie statali Ispra e regionali Arpat». 

Alcuni fusti a 1700 metri di profondità 
La ricostruzione della notte dell’incidente: il Venezia finì quasi per rovesciarsi e i camion distrussero le balaustre 


DALL’INVIATO SU NAVE MAGNAGHILa famigerata notte dell’incidente, col mare forza nove e il vento che toccò punte di 126 chilometri orari, l’eurocargo Venezia effettuò un’accostata repentina, per evitare un altro mercantile che si trovò di fronte, con una sbandata di 35 gradi. Vicinissima all’angolo di massimo rilievo che può avere una nave. E’ in quel momento che due rimorchi contenenti 224 bidoni pieni di catalizzatori saltarono dal ponte, distruggendo la balaustra del Venezia e finendo in mare con una parte del loro carico. 198 i bidoni che mancavano all’arrivo del cargo nel porto di Genova, ma di questi quanti caddero subito in mare e quanti altri sono caduti durante il tragitto verso la Liguria saltando giù dall’impavesata ormai spaccata? E’ il quesito che si fa il comandante di fregata Maurizio Demarte nella convinzione che sarà difficile, se non impossibile individuare tutti i 198 fusti (o sacchi eventualmente fuoriusciti). «Se l’accostata fosse avvenuta dieci miglia dopo, le speranze di trovare qualcosa sarebbero state minime per non dire nulla, visto che l’eurocargo Venezia attraversò poi un canyon in cui i fondali hanno una media di 1600, 1700 metri. E là alle difficoltà della ricerca, si sarebbero sommate le difficoltà del recupero». Come dire: aver trovato 91 fusti pieni, 37 vuoti e 21 sacchetti, e adesso probabilmente altri 30 fusti (pieni o vuoti dovrà scoprirlo il Rov) è già un successo. Ma pensare di trovarne altri, o almeno tutti gli altri, è decisamente difficile. «Se come si può immaginare alcuni bidoni sono caduti durante il tragitto dall’incidente a Genova, sarà quasi impossibile ritrovarli», continua Demarte. «Minerva Uno e Sentinel hanno setacciato un’area di 20 chilometri quadrati, noi ci abbiamo aggiunto un’area di 18 chilometri quadrati, pensare di estenderla ancora non so quanto potrebbe essere fruttuoso». Giulio Corsi

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