Quello stop di Obama ai tagli dei
prof che ci fa sentire ancora peggio
di A.G. - 20/08/2012
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Fa pensare l’invito rivolto il 18 agosto dal presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, ai legislatori locali e nazionali nel corso
del tradizionale discorso settimanale e riportato, in sintesi, su questa testata giornalistica: gli Stati, ha spiegato il Presidente democratico,
dovrebbero fare dell'istruzione una priorità dei loro bilanci, anche in
periodi di difficoltà finanziaria. I licenziamenti a cui si riferisce Obama
sono di grande portata: dal 2009 a oggi gli Stati Uniti hanno infatti perso
oltre 300mila posti di lavoro nel settore scolastico, principalmente a causa
dei tagli di bilancio a livello locale e statale.
Obama ha anche ricordato di aver presentato lo scorso
anno al Congresso una legge volta a scongiurare nuovi licenziamenti di
insegnanti e a riassumere quanti hanno già perso il lavoro. Ma la norma è
stata bloccata, con i repubblicani che hanno accusato il Presidente di spese
fuori controllo.
"Nel momento in cui l'America è in aperta
competizione con il resto del mondo nel campo dell'istruzione - ha detto il Presidente - questi tagli costringono i nostri figli in
classi affollate, portano a cancellare programmi di asili nido e materne e
riducono la settimana scolastica e l'anno scolastico. Questo è esattamente il
contrario di quanto dovremmo fare come Paese: gli Stati dovrebbero fare
dell'istruzione una priorità dei loro bilanci, anche in periodi di difficoltà
finanziaria. E il Congresso dovrebbe collaborare, perchè tutto questo
riguarda tutti noi".
Le parole di Obama rimbalzano in Italia come una sorta di appello al buon senso: non c’è prospettiva di crescita, dice in sostanza il primo cittadino Usa, se un paese moderno non investe nell’istruzione. E i 300mila tagli attuati nell’ultimo triennio pesano come un macigno. Appaiono veramente troppi per poterli giustificare come un atto necessario per abbattere le spese inutili e far risanare i conti.
Come appaiono tanti, veramente troppi, quelli attuati in
Italia nello stesso periodo: tra i 100mila e i 150mila posti in meno. La
differenza è che in questo triennio non ci sono mai state delle prese di
posizione istituzionali così forti per dire basta a questa sottrazione di
forze e risorse destinate all’istruzione dei nostri giovani: dalle massime
istituzioni dello Stato italiano sono giunte delle generiche allusioni al
rilancio degli investimenti. Ma mai degli impegni o delle indicazioni per
garantire che la stagione dei tagli si concluda il prima possibile. Dal
presidente del Consiglio, prima Silvio Berlusconi ed ora Mario Monti, non
sono mai giunte chiare ammissioni sull’ingente riduzione di posti di lavoro
nel comparto scuola. Come nessuna allusione è arrivata sulla necessità di
fermare l’abbattimento delle risorse ad una scuola pubblica che deve sempre
più spesso ricorrere ai finanziamenti spontanei delle famiglie e dei privati
per assolvere ormai anche alle spese di ordinaria amministrazione e
manutenzione.
In questi giorni chi ha a che fare con la scuola –
personale, studenti, famiglie - avrebbe dovuto festeggiare, perché la
famigerata legge 133 di fine 2008 stava per concludere i suoi effetti a lungo
termine. Invece rieccoci ancora a commentare altri tagli e “giri di vite”.
Stavolta inseriti nella cosidetta spending review: dalla trasformazione in
Ata di inidonei e Itp alla drastica riduzione dei docenti impegnati
all’estero, sino alla ricollocazione forzata dei soprannumerari in ruoli
addirittura nemmeno troppo attinenti alle loro abilitazioni.
Probabilmente quelle di Obama saranno anche le parole di
un presidente a caccia di nuovi consensi. In vista della riconferma. Non
sappiamo se, effettivamente, la riduzione dei tagli agli organici di prof e
impiegati scolastici americani si arresterà. Ma lo stesso discorso vale per i
nostri premier. Impegnarsi nel rilancio dell’istruzione pubblica italiana
significherebbe avvicinarsi, tra studenti e personale, a circa nove-dieci
milioni di famiglie. A meno che non si voglia pensare che, come l’opinione
pubblica, siano ormai governati dallo scoramento. E che, a mali estremi, ci
si possa rifugiare dietro il parafulmine della crisi internazionale.
http://www.tecnicadellascuola.it/index.php?id=38869&action=view
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