martedì 5 luglio 2011

PESSIMO ACCORDO, ORA LA PAROLA AI LAVORATORI

Accordo fra organizzazioni sindacali confederali e Confindustria. Un contributo di Luca Ciabatti

Cotributo di Luca Ciabatti in merito all'accordo interconfederale fra CGIL, CISL, UIL e Confindustria.


PESSIMO ACCORDO, ORA LA PAROLA AI LAVORATORI

E’ evidentemente troppo presto per valutare in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue conseguenze l’accordo interconfederale sottoscritto tra Confindustria CGIL CISL UIL Confederali.

Vale però la pena di azzardare una prima valutazione e alcune ipotesi, pur in una fase nella quale il direttivo confederale previsto nei prossimi giorni non si è ancora tenuto ed espresso nel merito dell’accordo.

L’accordo si sottoscrive in una fase particolare per il paese: dopo le elezioni amministrative ed i referendum che indicano se non un cambio di fase almeno l’apertura di una speranza , una rinnovata voglia di partecipazione che non si vedeva da anni, una critica alla gestione regressiva della crisi economica e sociale.

E si sottoscrive alla vigilia della manovra economica del Governo, che pur incerta anch’essa nei contenuti lo è molto meno nei presupposti e negli obiettivi: redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto, blocco dei contratti pubblici, tagli drastici ai servizi dello stato sociale, innalzamento dell’eta pensionabile, nessun intervento per rompere la spirale perversa della precarietà nel lavoro che si trasforma inevitabilmente nella precarietà di vita . Insomma in una parola, la crisi continuino a pagarla coloro che la hanno pagata sino ad ora.

E’ del tutto evidente che i due modelli, Tremonti-Confindustria si tengono. Meno diritti sociali l’uno , meno diritti sul lavoro l’altro.

Le domanda da farsi, sul piano squisitamente politico a me pare siano due: la prima, l’accordo rafforza la capacità di contrasto al Governo sulle politiche economiche ( manovra ) e su l lavoro (legislazione sul lavoro e precarizzazione ) da parte del sindacalismo non omologato al pensiero unico o la indebolisce?

A me pare che la indebolisca,è evidente a tutti che il rapporto amoroso tra Confindustria e Berlusconi è in crisi, ma tra un cambio di cavallo ed un cambio di strategia c’è una qualche significativa differenza. Per altro l’internità di Confindustria e del Governo alle politiche monetarie europee e a quelle della banca mondiale mi paiono fuori discussione.Ed in quel paradigma chi paga la crisi è sin troppo facile prevederlo.

La seconda:la FIOM ed in parte la CGIL hanno avuto la capacità, in questi due anni di saldare il conflitto sul e dentro il lavoro ed i suoi luoghi, con movimenti più vasti, alcuni transitori ma altri di più ampia durata su temi decisivi della politica e del vivere sociale. Tralascio l’elenco completo ma precari e partite iva, movimenti degli studenti e movimenti a difesa della scuola pubblica e della universalità del diritto all’accesso ai saperi, difesa della Costituzione ,beni comuni,no alla guerra, diritti di cittadinanza per i cittadini migranti, rifiuto del modello maschile del potere ecc. si sono saldati con il sindacato prefigurando un’altra idea di modernità , un’altra idea di società. In un rapporto inedito negli ultimi decenni la cui cifra, anche con le contraddizioni inevitabili,è stata la critica alla concreta forma che il capitalismo ha assunto nel tempo presente ed alle forme concrete che impone alla vita delle persone ed al pianeta.

Nessuna illusione che un’altra fase si sia aperta in maniera chiara ed univoca, nessuna certezza sugli esiti del conflitto, ma pare a me che gli stessi risultati dei referendum e le amministrative indichino che qualcosa si sia mosso. E’ mia opinione che la saldatura tra quei movimenti ed il lavoro (la sua

rappresentanza non omologata ) siano stati determinanti per quei risultati e per la ripresa dei processi partecipativi.

La firma dell’accordo, che oggettivamente cambia la fase politica nel paese, che distingue Confindustria dal Governo manterrà l’unita dei movimenti costruitasi in questi lunghi mesi?.

Pare a me che il rischio di rottura di quello che si è costruito nel vivo delle lotte e nella consapevolezza della unitarietà dell’avversario, Confindustria-Governo sia rilevante.

Sul merito dell’accordo avremmo modo nei prossimi giorni di indagare a fondo.

Vale per ora azzardare tre considerazioni.

La prima: la premessa sembra la riformulazione di un inedito patto tra produttori, che questi abbiano gli stessi interessi, cancellando il “ clima “ di conflitto che si è respirato nel paese in questi due anni tra chi difendeva i diritti del lavoro e la sua condizione materiale e chi voleva chiudere “per sempre “ la partita con il lavoro e la sua rappresentanza. Mi pare improbabile, salvo omologazioni del sindacato, che le condizioni siano cambiate.

La seconda:la tregua sindacale ovvero il divieto di sciopero. Nella storia del movimento operaio la contrattazione, ed i risultati ottenuti in essa, sia nelle fasi difensive che in quelle per cosi dire di avanzamento hanno sempre rappresentato un compromesso instabile, direi naturalmente instabile, utile per acquisire risultati e per riaprire il conflitto appena se ne danno le condizioni .Il fatto che riguardi le organizzazioni firmatarie dell’accordo e non i singoli lavoratori non ne attenua la portata negativa.

La terza: la derogabilità ai contratti nazionali. L’accordo prevede la derogabilità del contratto nazionale, anche sulle materie non delegate alla contrattazione aziendale, in materia di prestazione lavorativa , orari, organizzazione del lavoro .La clausola è transitoria ma come si sa….

In ogni caso sancisce un principio inaccettabile.

Rimane ancora (centrale nell’accordo ) il tema della democrazia e della validazione degli accordi aziendali, che affida in buona sostanza alle ooss firmatarie la titolarità della loro approvazione.

Dopo mesi di tensioni tra la maggioranza della Confederazione e la Fiom e la minoranza interna, pare essere arrivati al raund finale. La oggettiva delegittimazione della fiom con le controparti ed il rischio di una rottura di quella relazione positiva costruita con i propri iscritti e con gran parte dei lavoratori metalmeccanici pare essere, al di la del merito, il tratto distintivo dell’accordo.

Resta da vedere cosa succederà nelle prossime ore, come si organizzerà, o riorganizzerà la dialettica interna alla CGIL .

Intanto però vale fare una domanda: la Segreteria della CGIL consentirà alle lavoratrici ed ai lavoratori, in caso di approvazione dell’accordo da parte del direttivo nazionale Confederale di votare su questo tramite referendum?.

Se cosi non fosse il rischio che un pessimo accordo si trasformi in un cambio di pelle e di senso di se del più grande sindacato italiano sarebbe qualcosa di più che una possibilità.

E non si dica che l’accordo non riguarda la politica, che cosa c’e di più rilevante sul terreno politico e sociale del come si ridisegnano i rapporti di potere tra capitale e lavoro ? .

In ogni caso non è questo non è il tempo dell’abbandono. E’ il tempo della battaglia politica a viso aperto. Tanti sono i compagni che a fronte dell’accordo interconfederale sottoscritto si sono sentiti traditi e tentati dal dare una risposta drastica e definitiva : l’abbandono o il disimpegno.

Sarebbe una risposta sbagliata, sia dal punto di vista squisitamente sindacale che da quello politico.

Dal punto di vista sindacale perché la partita non è ancora definitivamente conclusa. La dialettica pur deludente che sino ad ora si è sviluppata in cgil registra in ogni caso un no secco della Fiom, che annuncia una battaglia politica importante nel prossimo direttivo nazionale della cgil, e la richiesta di passare dal voto dei lavoratori per la sottoscrizione dell’accordo,con l’esposizione dei due diversi giudizi in tutte le assemblee.

Inoltre le reazioni pur entusiastiche di molti ( dentro e fuori la cgil ) sono contraddittorie ed improntate piu alla logica del “vendere bene” un prodotto quanto meno scadente che ad una difesa motivata e convincente dell’accordo; nel merito e nel contesto nel quale si è realizzato.

Le contraddizioni interne: autorevoli esponenti della maggioranza Confederale (tra i quali anche autorevoli compagni di lavoro-Società) sostengono nella buona sostanza che l’accordo è positivo anche se alcune sue parti sono negative, ma si sa ogni accordo è un compromesso e tant’è.

Vediamo nel dettaglio:

la moratoria del conflitto e la esigibilità degli accordi, anche per loro ( la esigibilità, è ovvio da parte delle aziende ) è negativa. E’ questo un punto centrale dell’accordo che dovrebbe determinare un giudizio complessivo su di esso.ma questo non avviene.

Ci sono le deroghe ( solo per pudore si chiamano in un altro modo) in fase transitoria e definitiva sulle materie del contratto nazionale. Si critica il punto ma si sostiene che questo in ogni caso rafforza il contratto Nazionale. La contraddizione è stridente, se si aggiunge poi che la detassazione degli incrementi retributivi è prevista solo per la parte di salario legata alla contrattazione aziendale si raggiunge il risultato di spostare naturalmente il baricentro della contrattazione a livello aziendale.

Il rafforzamento della contrattazione aziendale non è un male in se, tutt’alto. Tutto stà nella valutazione che si da della fase economica che attraversa il Paese e dei rapporti di forza in essere, nella possibilità di agire la contrattazione aziendale come fattore progressivo per la conquista di nuovi diritti e maggiore salario. Non mi pare sia questa la situazione.

Va aggiunto inoltre che la stessa composizione e la struttura dimensionale delle imprese italiane ( stragrande maggioranza di imprese piccolissime e microimprese) vanifica di per se l’obiettivo. Nulla dice su questo punto l’accordo.

Per altro la storia contrattuale, anche prima della crisi ci dice di tutta la difficoltà per una larga parte del sindacato e della Cgil di agire la contrattazione articolata in maniera “progressiva” rompendo le gabbie della contrattazione partendo dal basso per imporre e generalizzare le conquiste aziendali traducendole in contratti nazionali migliori.

Che questo sia possibile nella stagione della crisi , senza un solido ed inderogabile contratto nazionale ed una modifica della legislazione sul lavoro è quanto meno discutibile.

L’accordo non dice niente sui contratti nazionali, sulla modalità della loro validazione e sul voto dei lavoratori, è accompagnato da da una dichiarazione congiunta di buona volontà che rinvia ad intese future e che lascia il tempo che trova. Rende nei fatti impossibile il voto dei lavoratori sugli accordi aziendali sottoscritti dalla maggioranza delle R.S.U. , ed apre la strada alla costituzione strumentale delle R.S.A. qualora cisl ed uil non avessero la maggioranza nelle R:S:U.. Un bel passo in avanti sul tema della democrazia, da tutta la CGIL ritenuta punto centrale della pratica sindacale. In ogni caso al di la della diversità di opinioni eviterei toni entusiastici da appello rivoluzionario quali quelli

usati da un autorevole esponte di lavoro-societa e della federazione quale quello che virgoletto “l’accordo rappresenta una ulteriore picconata alla 2° Repubblica……

Le contraddizioni degli altri:

cisl ed uil ma anche Confindustria esultano su tutto ed aggiungono che l’accordo di per se rende esigibili anche gli accordi separati alla fiat .La CGIL ( la maggioranza ) dice che così non è .Che quegli accordi vanno ricontrattati.

Marchionne intanto spara a Confindustria chiedendo una legge che renda retroattiva l’intesa coprendo per legge l’esigibilità degli accordi FIAT AUTO. Altrimenti fuori da Confindustria. Marcegaglia stizzita dice che non è compito suo e che questo va chiesto al Governo.

Sacconi dice di tutto : che si l’accordo copre anche FIAT, che le parti dovrebbero chiarire il punto, ma se proprio serve si potrebbe anche pensare ad una legge. Insomma un gran casino.

Come si può osservare le contraddizioni tra i sottoscrittori dell’accordo sono molte e gravide di prospettive positive per chi lo denuncia come regressivo e sbagliato.

Che dire poi del contesto nel quale si è realizzato l’accordo? .Non dico molto.

Sul terreno strettamente sindacale non vi è traccia di nessun intervento sulla ricomposizione contrattuale del ciclo produttivo, nell’era della frantumazione aziendale e dei rami d’azienda usati come strumento per l’utilizzo di contratti peggiori.

Così come nulla si dice sulle delocalizzazioni produttive e sulla precarizzazione del lavoro.

Un accordo sbagliato non solo per quello che contiene ma anche per quello che non c’è.

Va tuttavia fatta io credo anche un’altra riflessione, l’ultimo sciopero generale la CGIL lo ha subito, non voluto .Le è stato in qualche modo imposto dal basso.

E’ stato necessario e giusto farlo ma già nella sua impostazione e nei contenuti, l’assenza per esempio di una piattaforma credibile sulla riforma della contrattazione ne evidenziava tutta l’ambiguità.

Lo stesso seminario di Todi sulla contrattazione annunciava in qualche modo l’esito di oggi. Con una aggravante, che non c’è stata neanche una discussione trasparente e di merito in Cgil, tra la Cgil Confederale le Categorie e le Camere del Lavoro. Neanche c’e stata una discussione trasparente con Cisl ed Uil prima, ed una trattativa coinvolgente della opinione dei lavoratori dopo per preparare il confronto con Confindustria. E’ apparsa più che una trattativa sindacale un disperato tentativo di chiudere una stagione per rientrare in una fase “normale” di rapporto con Cisl ed Uil da una parte, con le controparti dall’altra. Peccato che la fase non sia normale.

Sul terreno specificatamente politico il disimpegno nella battaglia di contrasto all’accordo sarebbe suicida. Aggiungo solo che abbiamo lavorato in questi anni per ricomporre i conflitti, quelli sul lavoro, gli altri, provando a ricostruire una soggettività dei tanti soggetti che hanno prodotto conflitto. Una soggettività che prendesse coscienza che dentro l’orizzonte della forma moderna del dominio capitalista non c’è via d’uscita in avanti per nessuno. Abbiamo lavorato,( troppo poco) per ricomporre un senso di se altro da quello dominante, sul terreno culturale e politico.

Lo abbiamo fatto con le nostre poche forze e con mille contraddizioni. Ma lo abbiamo fatto o almeno ci abbiamo, alle volte, provato.

Quello che l’accordo, al di la dello stesso merito, rischia di rompere, far arretrare è proprio questo : la riconquista, nel lavoro ma non solo, di una identità altra da quella che ci viene proposta dal modello culturale dominante, che dice che unirsi è ancora possibile, che lottare è possibile, che il capitalismo non è la fine della storia.

Quelle speranze non sono morte con l’accordo del 28 giugno. Forse sono entrate in crisi, sta anche a noi trasformare, con la nostra iniziativa politica, lo scoraggiamento in voglia di lottare per cambiarlo e per riaprire una fase sindacale e politica che rischia di chiudersi.

D’altra parte alleati non ci mancano, in primo luogo la Fiom .Vedremo poi nel direttivo confederale di luglio cosa succederà, come si evolverà in questi giorni la situazione come starà in campo cisl uil Confindustria e Governo. Ed anche come la Cgil risponderà alla manovra finanziaria del Governo.

Ed alla fine cosa ci dirà il voto dei lavoratori interessati all’intesa,richiesta che va sostenuta con forza.

La partita insomma non è chiusa. L’iniziativa del Partito e della Federazione va attivata rapidamente .Sarebbe bene che i compagni che stanno in cgil provassero a capirsi, tra di loro e con il Partito-Federazione attivando un canale di confronto, non solo epistolare, che affronti il tema del merito dell’accordo ma anche quello delle sue conseguenze politiche e sociali e della fase nella quale questo si colloca.

In ogni caso non è questo il tempo dell’abbandono e della uscita dalla CGIL.

4/7/2011

Luca Ciabatti


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