Il condizionale sembra essere ormai solo formale. Il governo italiano esce dalla riunione del G20 con il marchio di Paese inaffidabile, la cui solvibilità andrà costantemente tenuta d’occhio. Nonostante i tentativi notturni dell’ormai “anatra zoppa” Silvio Berlusconi, il verdetto sembra pronunciato. L’Italia riceverà gli ispettori del Fondo Monetario Internazionale che verificheranno e monitoreranno insieme alla Commissione Europea, l’andamento dei conti pubblici e il mantenimento degli impegni con cui l’Italia si è presentata. La sovranità limitata viene insomma istituzionalizzata, in nome del riequilibrio nei mercati, ogni forma di modifica, anche strutturale, degli interventi in materia di lavoro, spesa pubblica, utilizzo delle risorse, crescita, saranno vagliate e giudicate da una autorità internazionale che bypassa di fatto i poteri del parlamento. Un percorso di lacrime e sangue che, al di là di inevitabili ricadute politiche a breve termine, porterà qualsiasi governo – a maggior ragione il tanto celebrato governo tecnico o di salvezza nazionale - a sottostare a decisioni prese in contesti totalmente ademocratici. Una vera e propria condanna a pagare la crisi a chi non ne ha colpa che offrirà ulteriori margini di profitto a chi su questa ha speculato e continua a speculare. E il messaggio dittatoriale rivolto alla Grecia vale anche per gli altri Paesi europei:«Scordatevi l’idea di porre le misure da prendere a referendum popolare. I popoli debbono solo subire le decisioni monetariste». Accade quello che per anni è successo nei paesi latino americani dominati dalle dittature fasciste e quello che avviene nei pochi Paesi africani che l'FMI intende comperare a costo zero. A maggior ragione che si restituisca la parola a chi di una crisi di sistema paga le conseguenze e che si definisca una via alternativa per uscire dalla crisi che deve avere alla base la redistribuzione del reddito, la progressività delle imposte, una sana “patrimoniale”, la tassazione effettiva delle transazioni finanziarie, il taglio delle spese militari e di grandi e inutili opere, la crescita del potere di acquisto di salari e pensioni, la lotta alla precarietà.
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