lunedì 17 settembre 2012

[Livorno] Biodiesel, pioggia di commenti sul sito


Biodiesel, pioggia di commenti sul sito 
C’è chi sottolinea che «questo treno dà lavoro e non si può perdere» e chi invece lancia l’sos salute 


da Il Tirreno

LIVORNO Andrea Pucciarelli sbotta: «Forza Livorno dai perdiamo anche questa opportunità. Una città ridotta sul lastrico, con nessun tipo di progetto all'orizzonte, solo i soliti discorsi che non portano a niente. Chi si oppone a questo progetto che abbia il coraggio di presentarne un altro». Dall'altra parte della barricata Daniela Martignoni risponde che «il lavoro non si baratta con la salute» («siamo il distretto più inquinato d'Italia, produciamo a Livorno e Piombino due terzi di tutta l'energia toscana e ancora volete portarci camini che bruciano e ci avvelenano»). Sono due dei quasi 50 post che commentano sul sito del Tirreno la notizia del progetto indonesiano di costruire una raffineria in porto: una sfilza di interventi presi fra la preoccupazione per il lavoro (sottolineata nella maggioranza dei commenti) e quella per la tutela dell'ambiente. Ad esempio, Paolo Del Santo ironizza: «Mi raccomando, perdiamo anche questo treno: tanto a Livorno di lavoro ce n'è in abbondanza». C'è anche chi (Marco Candian e Valerio Cavero) ricorda che «è dal 1992 che a Livorno c'è un impianto di biodiesel»: è la Novaol. I lavoratori di quest'impianto-pilota sono in cassa integrazione e guardano con comprensibile interesse all'arrivo di una fabbrica simile: lo segnalano i posti di Sergio Cappelli («qui si gioca con il futuro di una città che si sta impoverendo») e Valerio Bianconcini («è facile chiacchierare bene a pancia piena, poi guardatevi attorno che ci sono altri siti inquinanti davvero»). Mentre Antonio Padalino, citando l'articolo della Costituzione a tutela del diritto al lavoro, spara a zero: «Giuro che, se ostacolano nuovi posti di lavoro, denuncio dal Presidente della Repubblica in giù!». E Angelo Melani rincara: «Credo che tutto ciò che possa portare lavoro». Attenzione, però a non fare autogol, invita Valerio Giust: «Svilupare questo tipo di industria in zona portuale con il poco spazio disponibile è una follia». E dopo aver enumerato tutte le ciminiere inquinanti chiede polemico: «E si vuol fare di Livorno un porto turistico? Non era meglio l' Ikea?».(m.z.) 

I Bellabarba vendono l’azienda 
Società sull’orlo del fallimento: «Pericoloso investire qui». Ipotesi concordato. Tremano i dipendenti 



LIVORNO «Cose vuole che le dica: tanto tuonò che piovve. Se non puoi rientrare dagli investimenti fatti, alla fine ti ritrovi nel dramma, sono due anni che lo diciamo…». La conferma arriva da Paolo Bellabarba, al timone dell’azienda di via dei Materassai insieme al cugino Federico: la società Bellabarba è in vendita e rischia il fallimento. Non stiamo parlando di una società qualsiasi, ma di un colosso dell’imprenditoria edile locale, nato più di quarant’anni fa. Un colosso sano, che ha dato lavoro a un centinaio di addetti (considerando l’indotto) fino a quando, nel 2009, è scattata l’operazione Limoncino: dopo un iter durato quasi quattro anni, gli imprenditori ottengono dalla Provincia (con parere favorevole di altri enti del territorio, Comune compreso) tutte le autorizzazioni necessarie per realizzare una discarica per rifiuti inerti, speciali nell’ex cava del monte La Poggia. La notizia scatena subito le reazioni di una parte di città: nascono comitati contro, arrivano i blocchi dei camion, scendono in strada gli stessi lavoratori, i politici litigano, scattano denunce su denunce. Finché il 20 ottobre, a impianto praticamente pronto, la procura dispone il sequestro. Partono gli avvisi di garanzia a dirigenti, progettisti, imprenditori. Al Limoncino si ferma tutto, all’interno della società crescono i guai. I Bellabarba hanno investito una somma importante nella costruzione della discarica e ora le banche sollecitano il conto: si parla di almeno sei milioni di euro nel mirino del ceto creditorio. Un mese fa il gruppo ha ceduto a Di Gabbia la Biagi Pierino e la sua ventina di dipendenti: una realtà sanissima sotto il profilo finanziario, che è servita a fare cassa e a soddisfare qualche creditore. Oggi dalla Bellabarba srl dipendono ancora una quarantina di lavoratori diretti che, fanno sapere i sindacati, non riscuotono da maggio: sono tutti in ferie forzate, in attesa di andare in cassa integrazione. Pochi giorni fa i rappresentanti dei dipendenti hanno incontrato i vertici della società nella sede dell’Associazione degli industriali per capire quale strada intendono percorrere gli imprenditori. A breve ci sarà un nuovo faccia a faccia. Nella sede la preoccupazione è alle stelle: lo stipendio che manca non è uno scherzo e la rabbia per come si è arrivati a questo naufragio è tanta, anche nei confronti del mondo della politica e delle istituzioni. Paolo Bellabarba conferma che «ci sono in piedi trattative per vendere la società». A quanto risulta, a farsi avanti per primi sono stati Bottoni e Abate, ma la contrattazione sembra tutta in salita. Ecco perché la società sta valutando anche l’ipotesi del concordato: ipotesi che potrebbe portare a un piano di rientro con i creditori, ma anche alla messa in liquidazione. Strada che terrorizza i lavoratori, che temono di vedere congelati gli stipendi ancora in stand by. «Le commesse in campo edile ci sarebbero – racconta Bellabarba – ma i soldi per finanziare i lavori sono in cima a quel monte...». Senza contare i lavori che si sono trasformati in rimessa: «Da Edilporto, per gli interventi a Salviano 2, dobbiamo ancora riscuotere quasi un milione di euro». «L’operazione Limoncino – riprende Bellabarba – era nata proprio per diversificare le attività della società». Per non dipendere solo dal mondo edile, che fino a quel momento era stato il vero core business aziendale: «Ti dicono di investire, ma poi ecco cosa succede...». Bellabarba è una furia: «Le istituzioni latitano e si nascondono chi dietro alla magistratura, chi dietro ai tecnici, chi dietro al Palazzo vicino per non assumersi le responsabilità. Investire a Livorno ormai, non è solo impossibile: è pericoloso». «La nostra famiglia – si lascia andare – ha sempre vissuto per l’azienda, per noi gli operai non sono numeri, valuteremo con attenzione tutte le strade. Sono due anni che chiediamo aiuto: è come se ci avessero sparato. Già cedere la Biagi Pierino è stato come perdere un braccio. I tempi della politica e della magistratura – chiude – non sono quelli delle aziende e delle banche. Chi deve fare da arbitro lo faccia». Juna Goti

Già ceduto il 50% della discarica 
La metà delle quote di Bellabarba Ambiente è nelle mani di una fiduciaria 


LIVORNO Sul tavolo delle trattative c’è finita la storica Bellabarba srl, nata con Gaetano e Luciano e andata avanti con i figli. Non la Bellabarba Ambiente, ovvero la società nata per occuparsi della discarica del monte La Poggia. Una sorta di costola creata ad hoc per gestire la partita del Limoncino con previsioni super redditizie: basti pensare che il piano economico presentato a suo tempo agli enti locali sfiora i 40 milioni di euro ed è chiaro che i Palazzi pubblici tremerebbero nel caso in cui la magistratura mettesse sul piatto di Bellabarba le condizioni per rivalersi su chi ha rilasciato le autorizzazioni. Ma solo oggi si viene a sapere che il 50 per cento della Bellabarba Ambiente - nei fatti il 50 per cento della discarica - non è più di Bellabarba. È stato ceduto alcuni mesi fa a una fiduciaria che fa capo al gruppo Cabel, che riunisce un pool di banche di credito cooperativo toscane. La comunicazione è arrivata per scritto agli uffici di Palazzo Granducale, sede della Provincia, ovvero l’ente che dopo avere acquisito una serie di pareri dagli enti indicati dalla legge – Comune, Arpat... – ha rilasciato a suo tempo l’Autorizzazione integrata ambientale. Per ora non è dato sapere chi ci sia dietro la fiduciaria, che ovviamente protegge la privacy dei clienti. Bellabarba si affretta a dire che «si tratta semplicemente delle banche che hanno finanziato il progetto» e che «eventuali imprenditori potrebbero subentrare solo nel caso in cui noi non riscattassimo le quote».

Nessun commento:

Posta un commento

ShareThis

Ultimo numero:

ViceVersa n.35

Post più popolari