Articolo di Giorgio Cremaschi, Alternative per il socialismo
Secondo l'Istat la dinamica attuale dei salari è la peggiore da trent'anni. È un dato che corrisponde tanto alla realtà quanto al vissuto del mondo del lavoro: sono trenta anni che si va all'indietro. È un dato che è comune tutti i grandi paesi occidentali, ma con due caratteristiche nostre. La prima è che la nostra dinamica sociale è tra le peggiori, la seconda è che per un lungo periodo all'arretramento del potere contrattuale dei lavoratori e al progressivo deterioramento della loro condizione sociale, ha corrisposto un rafforzamento del potere istituzionale e della stessa forza organizzata delle grandi confederazioni sindacali. I lavoratori stavano sempre peggio, il sindacato come organizzazione no.
La parola concertazione ha definito un sistema di relazioni tripartite tra governo, padronato e CGIL CISL e UIL a partire dagli anni 90. Ma già alla fine degli anni 70, in corrispondenza della politica di unità nazionale del Pci, la CGIL compie la svolta della moderazione rivendicativa in cambio di una ripresa dello sviluppo economico. Il segretario della Uil Giorgio Benvenuto annuncia in una intervista che il sindacato deve restituire il troppo ottenuto. La conferenza dell'Eur sancisce la svolta per tutto il movimento sindacale.
La sconfitta alla Fiat dell'ottobre 1980 non solo abbatte il potere dei lavoratori e segna la svolta a favore dell'impresa nei rapporti di forza nelle aziende, ma colpisce il ruolo e la funzione d'avanguardia di massa della FLM, il sindacato unitario dei metalmeccanici, cambiando l'equilibrio interno al movimento sindacale a favore delle forze più moderate.
Gli anni 80 sono percorsi dal lungo conflitto sulla scala mobile dei salari, il cui abbattimento è essenziale per la flessibilità dei contratti e dunque della prestazione di lavoro. Così come sono segnati dal primo accordo di esplicito patto sociale, nel 1983, che con il lodo del ministro del lavoro Scotti reintroduce per la prima volta da più di un decennio le assunzioni con contratto a termine.
Gli anni 80 segnano anche la comparsa del sindacalismo extraconfederale che contesta da sinistra, anche se spesso da un punto di vista di categoria professionale, il moderatismo di CGIL,CISL e UIL. I cobas si affermano in particolare tra gli insegnanti, i macchinisti delle ferrovie e gli operai dell'Alfa Romeo di Milano.
Con l'accordo capestro del 1992 il sistema di relazioni sindacali subisce un colpo di assestamento decisivo. Il governo di Giuliano Amato impone a CGIL CISL UIL una resa senza condizioni di fronte al precipitare della crisi economica, come farà Monti sulle pensioni nel novembre 2012.
Allora viene definitivamente cancellata ogni autonomia della contrattazione del salario sia rispetto alle compatibilità di sistema sia a quelle aziendali. Le retribuzioni non possono che inseguire il poter d'acquisto nei contratti nazionali e la produttività in quelli aziendali. Il sistema pensionistico pubblico viene colpito pesantemente, anche qui per la prima volta da decenni.
Dopo questa sconfitta Bruno Trentin si dimette da segretario della CGIL, ritirerà queste dimissioni nell'autunno, nel pieno di una rivolta di massa nelle piazze sindacali contro quell'intesa. Rivolta che non riuscirà a cambiar il corso sindacale, ma farà capire alla borghesia italiana più avveduta che non è il momento di sfidare il sindacato confederale sulle sue stesse ragioni di esistenza.
Il successivo accordo del luglio 93,voluto dal governo Ciampi, formalizza la concertazione e restituisce potere istituzionale al sindacato confederale in cambio della piena conferma della subordinazione del salario a tutte le compatibilità. Ed infatti da allora comincia la regressione senza pause del reddito del lavoro dipendente.
In ogni caso il sindacato confederale assume un ruolo politico senza precedenti per il coincidere della formalizzazione del modello concertativo con la crisi politica di tangentopoli e della prima repubblica. Nel vuoto della crisi dei partiti, CGIL CISL UIL occupano per un decennio vasti spazi istituzionali e i due tentativi di Berlusconi, nel 1994 e nel 2001, di ridurli falliscono. La prima volta con la risposta unitaria delle tre confederazioni, la seconda con quella della sola CGIL di Sergio Cofferati. Nel marzo 2002 milioni di persone realizzano a Roma una gigantesca manifestazione a difesa dell'articolo 18: è il momento di massima forza e prestigio della CGIL, che sembra assumere su di sé il ruolo della opposizione sociale e della stessa alternativa politica.
Ma anche in quegli anni la ritirata continua ed i suoi passaggi più significativi avvengono proprio quando il sindacato confederale è chiamato al tavolo della concertazione con i governi tecnici e di centrosinistra.
Colpita alla radice l'autonomia del salario, l'offensiva restauratrice delle classi dominanti si rivolge verso il rapporto e la prestazione di lavoro da un lato, lo stato sociale dall'altro.
Il pacchetto Treu liberalizza tutto il regime delle assunzioni, legalizzando il precariato di massa, l'avviso comune tra sindacati e Confindustria sugli orari ne accoglie la piena flessibilità in subordinazione al ciclo aziendale. E la riforma delle pensioni del governo Dini cancella le principali conquiste del della fine degli anni sessanta e apre la strada ai fondi pensionistici integrativi e privati.
Tutte queste "riforme" liberiste sono concertate con il sindacato da governi di centrosinistra. Sono esse che spalancano il campo della flessibilità del lavoro e dei diritti sociali in funzione della competitività. I governi di destra aggravano e incattiviscono quelle misure, spesso con scopi di caratterizzazione politica, piuttosto che per un compiuto progetto liberista.
Nel 2006, appena insediatosi come ministro dell'economia nel governo di centrosinistra, Tommaso Padoa Schioppa rilasciò una lunga intervista al Corriere della Sera ove chiariva la sua filosofia di fondo. Egli affermava che i suoi obbiettivi di politica economica e sociale non erano diversi da quelli realizzati dalla signora Thatcher in Gran Bretagna. La vera differenza stava nel metodo. Da noi si doveva concertare quel percorso con le grandi organizzazioni sindacali, il che comportava rallentamenti e aggiustamenti per mantenere la pace sociale, ma non il cambiamento della sua direzione di fondo, che restava la stessa indicata dal primo ministro britannico.
Nel corso di questi trenta anni è profondamente cambiata la figura del dirigente sindacale. La progressiva marginalizzazione della cultura del conflitto e la istituzionalizzazione, hanno debilitato la funzione dell'organizzatore sociale a favore di quella del distributore di tutele e di consenso.
Nel corpo dei sindacalisti di professione, cresciuto a dismisura, la percentuale di coloro per i quali l'azione sindacale consiste nel lavoro di costruzione della rivendicazione, con le riunioni, le piattaforme, le assemblee, le lotte e il sacrificio personale, questa percentuale si riduce. Mentre cresce quella di funzionari spoliticizzati e sprovvisti dell'antico concetto della militanza, capaci di erogare i servizi che sono previsti. Ai livelli medio alti questa funzione diventa quella del mediatore politico, capace di districarsi tra assessori, sindaci e presidenti, come parte sempre più organica del ceto politico.
La diversità della FIOM rispetto al resto del sindacalismo confederale, quale si afferma pubblicamente negli anni duemila, deriva non solo dalle scelte politiche del suo gruppo dirigente, ma anche dalla diversità del suo apparato, ancora in gran parte formato da organizzatori sociali.
Ma la mutazione va avanti, anche nei luoghi di lavoro. Va progressivamente in pensione la generazione del sindacato dei consigli, che ha continuato a lottare nel nome del protagonismo di base anche quando il sindacato dei consigli è stato cancellato.
Le prime rsu, nonostante un sistema elettorale ancora peggiore di quello delle vecchie commissioni interne, sono ancora rappresentanze aziendali nel quale il peso del sindacato apparato deve misurarsi con il protagonismo e l'indipendenza dei delegati. Ma il tempo passa e la selezione procede. Man mano i rappresentanti aziendali dei lavoratori sono sempre più selezionati sulla base della fedeltà alla organizzazione e ai suoi gruppi dirigenti. Il delegato aziendale cambia così progressivamente la sua natura. Da rappresentante dei lavoratori nel sindacato diventa sempre più il fiduciario dell'organizzazione nel luogo di lavoro.
Così, di pari passo con il cambiamento del sistema politico, anche il sistema sindacale si trasforma. La struttura di vertice conta sempre di più, le organizzazioni si personalizzano e i gruppi dirigenti si costruiscono sulla base della catena della fedeltà. Al pluralismo formalmente ammesso si aggiunge così un rifiuto pratico della diversità, della esperienza e del protagonismo che non rientrino nel quadro previsto. A volte penso che una rivolta operaia come quella della fine degli anni sessanta sarebbe affrontata dal sindacato confederale di oggi con una marea di condanne ed espulsioni.
Ma il sistema non si è affatto stabilizzato su questi equilibri, la grande crisi iniziata nel 2007 rimette in discussione tutto.
In tutto il mondo occidentale e in Europa in particolare, la crisi prodotta dalla globalizzazione liberista viene affrontata con una accentuazione della politica economica che l'ha provocata. La flessibilità, il taglio della spesa pubblica, prima di tutto di quella sociale, le privatizzazioni sono gli strumenti per recuperare competitività. Una nuova stagione di "riforme" viene lanciata in tutto il continente sotto la forma delle politiche di austerità e rigore. Tutto il movimento sindacale europeo viene aggredito, non ci sono aree o modelli immuni.
Le controriforme le fanno i padroni, i governi, le istituzioni comunitarie. In Germania e Svezia è la Corte di giustizia europea che sentenzia la fine della rigidità contrattuale, liberalizzando le assunzioni dei migranti secondo le condizioni del paese d'origine. La Grecia diventa la cavia del più esteso massacro sociale del dopoguerra. Ovunque la reazione liberista si diffonde.
In Italia la squilla è suonata dall'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, già accreditato come esponente della borghesia illuminata.
Nel 2010 ai lavoratori di Pomigliano viene posto il semplice e brutale aut aut. O essi abbandonano il contratto nazionale e accettano la totale flessibilità della loro condizione, rinunciando anche alla idea del conflitto, oppure si chiude per andare verso forza lavoro più disponibile. Di fronte a questo affondo il sistema di relazioni ed equilibri della concertazione crolla come un castello di carte.
Solo la FIOM dice no davvero, la CGIL traccheggia, il PD la CISL e la UIL sono per accettare. Alla fine il diktat passa e il suo esempio dilaga come un contagio. Nel giro di un paio di anni tutti i principali contratti e accordi firmati, in gran parte da tutto il sindacato confederale, assumono il modello Marchionne di totale subordinazione del lavoro alla impresa. La posizione della FIOM viene messa ai margini.
Con la crisi del debito e dello spread quel modello finisce per ispirare le scelte principali del governo Monti. La sottomissione alla competitività estrema della globalizzazione in crisi passa dalla fabbrica alla società.
Il governo Monti attua le controriforme delle pensioni e dell'articolo 18 ignorando volutamente CGIL,CISL e UIL. La loro umiliazione va spesa sul l'altare dei mercati finanziari.
Così Monti rompe con la pratica concertativa dei governi tecnici e di centrosinistra che lo hanno preceduto. Contrariamente a quanto affermava Padoa Schioppa, ora non si tratta più solo di avere gli stessi obiettivi strategici della signora Thatcher, ma anche di mostrare ai mercati la stessa fermezza nel perseguirli. La concertazione viene quindi rifiutata esplicitamente, come uno dei mali del nostro sistema politico.
Se la crisi della prima repubblica aveva visto accrescersi il ruolo istituzionale del sindacato, quella della seconda produce un effetto contrario. Il sindacato confederale viene sempre più avvicinato ai partiti in crisi e sempre più presentato come forza conservatrice residuale.
Così questa volta il nuovo attacco alle condizioni dei lavoratori non dà origine a scambi. La ritirata è anche per il ruolo e il potere del sindacato confederale. La terza repubblica nasce antisindacale e non per opera della politica rozzamente reazionaria della destra di Silvio Berlusconi, ma per l'azione concreta della grande borghesia manageriale e multinazionale. La reazione neoliberista alla crisi dilaga dalla fabbrica alla società passando da Marchionne a Monti.
Il sindacato confederale continua ad inseguire intese che gli restituiscano il passato ruolo. Ma questo non avviene, anche se si firmano patti su patti.
Nel febbraio 2009 c'è l'accordo senza la CGIL sul sistema contrattuale. Il 28 giugno 2011 lo stesso accordo viene riscritto questa volta con la firma della CGIL. Nel dicembre 2012 nuovo accordo separato sempre sulla stessa materia, questa volta con il dichiarato obiettivo della produttività del lavoro.
È probabile che, se il centrosinistra vincerà le elezioni, un nuovo patto sia siglato in primavera, questa volta con tutte e tre le confederazioni.
OLa realtà è che questi reiterati accordi sono solo la caricatura di quelli dei primi anni 90: fanno danni ai lavoratori, ma non arrestano di un millimetro il declino sindacale.
Ora si tenta di reagire con un altro vecchio strumento dei sindacati in crisi, il collateralismo verso gli schieramenti politici. La CISL si affida al neo centrismo montiano, la CGIL,investe tutta la sua immagine sulla vittoria di Bersani. È una strada stretta e corta . Il sindacato americano che l' ha perseguita investendo enormi risorse nelle campagne del partito democratico ,è oggi il più debole dell’Occidente.
La verità è che la ritirata ordinata è finita. Ora o c'è la rotta disordinata, o la costruzione di una ripresa che deve mettere in discussione tutte le politiche sindacali degli ultimi i trent'anni.Ci vuole una rottura profonda con il modello sindacale attuale e con il suo percorso.
Il capitalismo in questi anni ha vinto sapendo recuperare lo spirito delle sue origini. Oggi che questo capitalismo brutale diffonde la sua crisi, tocca al movimento operaio e sindacale il compito di ritrovare il proprio spirito originario.
L'antagonismo delle organizzazioni e il protagonismo delle persone in carne ed ossa, il rifiuto delle compatibilità, la ricerca e la costruzione di una alternativa di sistema assieme a tutte le forze che si muovono nella stessa direzione, o si lavora per questo o non c'è altro che la disfatta dei lavoratori e la triste ritirata della burocrazia sindacale nelle caste residue.
Tutte le forze sindacali che hanno contrastato la ritirata trentennale e non intendono rassegnarsi ora, a questo punto hanno il dovere di individuare e costruire un percorso comune.
Il sindacato confederale continua ad inseguire intese che gli restituiscano il passato ruolo. Ma questo non avviene, anche se si firmano patti su patti.
Nel febbraio 2009 c'è l'accordo senza la CGIL sul sistema contrattuale. Il 28 giugno 2011 lo stesso accordo viene riscritto questa volta con la firma della CGIL. Nel dicembre 2012 nuovo accordo separato sempre sulla stessa materia, questa volta con il dichiarato obiettivo della produttività del lavoro.
È probabile che, se il centrosinistra vincerà le elezioni, un nuovo patto sia siglato in primavera, questa volta con tutte e tre le confederazioni.
OLa realtà è che questi reiterati accordi sono solo la caricatura di quelli dei primi anni 90: fanno danni ai lavoratori, ma non arrestano di un millimetro il declino sindacale.
Ora si tenta di reagire con un altro vecchio strumento dei sindacati in crisi, il collateralismo verso gli schieramenti politici. La CISL si affida al neo centrismo montiano, la CGIL,investe tutta la sua immagine sulla vittoria di Bersani. È una strada stretta e corta . Il sindacato americano che l' ha perseguita investendo enormi risorse nelle campagne del partito democratico ,è oggi il più debole dell’Occidente.
La verità è che la ritirata ordinata è finita. Ora o c'è la rotta disordinata, o la costruzione di una ripresa che deve mettere in discussione tutte le politiche sindacali degli ultimi i trent'anni.Ci vuole una rottura profonda con il modello sindacale attuale e con il suo percorso.
Il capitalismo in questi anni ha vinto sapendo recuperare lo spirito delle sue origini. Oggi che questo capitalismo brutale diffonde la sua crisi, tocca al movimento operaio e sindacale il compito di ritrovare il proprio spirito originario.
L'antagonismo delle organizzazioni e il protagonismo delle persone in carne ed ossa, il rifiuto delle compatibilità, la ricerca e la costruzione di una alternativa di sistema assieme a tutte le forze che si muovono nella stessa direzione, o si lavora per questo o non c'è altro che la disfatta dei lavoratori e la triste ritirata della burocrazia sindacale nelle caste residue.
Tutte le forze sindacali che hanno contrastato la ritirata trentennale e non intendono rassegnarsi ora, a questo punto hanno il dovere di individuare e costruire un percorso comune.
Nessun commento:
Posta un commento