martedì 18 ottobre 2011

Un patto Casarini - Vendola (per qualche seggio) come causa degli scontri?



Dal Corriere della sera

Un accordo siglato da una parte dei leader del movimento antagonista per ottenere qualche seggio parlamentare alle prossime elezioni nelle liste di Sinistra ecologia e libertà, il partito di Vendola, che li avrebbe portati a dire troppi «sì» alle imposizioni istituzionali; ultima quella di un percorso del corteo del 15 ottobre lontano dalle sedi della politica, dal Parlamento a Palazzo Chigi, alla residenza di Berlusconi. Per questo i «dialoganti» responsabili della manifestazioni ispirate alle proteste spagnole sono finiti nel mirino dei «duri», più affascinati dai fuochi delle rivolte greche. Niente infiltrati, ma due fronti che si conoscono bene, giovani emeno giovani che in queste ore e nei prossimi giorni discutono e discuteranno, accusandosi a vicenda. «Io più che con chi ha fatto gli scontri ce l’ho con chi li copre — diceva subito dopo i tumulti Andrea Alzetta detto “Tarzan”, uno dei capi del collettivo romano Action—senza nemmeno avere il coraggio di partecipare agli assalti. Gente che per mascherare la pochezza di un insurrezionalismo senza prospettive alimenta la rabbia incontrollata che non porta da nessuna parte «Non c’è nessun patto, né abbiamo intenzione di candidarci a livello nazionale», assicura. L’accusa è arrivata nella stessa serata di sabato sul sito Askatasuna.org: «Gli organizzatori dei comizi finali in piazza San Giovanni avevano desistito da tempo dallo sfilare verso i palazzi del potere romano, l’unica cosa incisiva in una giornata del genere». Subito dopo ecco il riferimento al patto segreto: «Oggi poteva solo succedere qualcosa in più dei piani prestabiliti, spiace che ci sia chi non ha voluto vedere e si è voluto coccolare il suo orticello fatto di qualche poltroncina con Sel alle prossime elezioni». I nomi più ricorrenti dei possibili deputati nelle file vendoliane per i «disobbedienti» oggi «indignati » sono quelli del padovano Luca Casarini e del romano Francesco Raparelli. I quali, pur rivendicando il diritto di interloquire con chiunque ritengano opportuno, smentiscono. Ma sul sito Globalproject. info, prima ancora della «reazione scomposta e violentissima della polizia in piazza San Giovanni», criticano quei «pochi» che «hanno messo in pericolo chi voleva manifestare e diviso il movimento, con pratiche di conflitto irresponsabili oltre che inutili (bruciare auto o cassonetti in via Labicana: altro che assedio ai palazzi del potere!)».
A questo punto, che il patto negato dagli interessati sia reale oppure una velenosa insinuazione conta poco:
Conta che se ne parli, come avviene sui social network che hanno sostituto le assemblee di un tempo. In un messaggio su Facebook si sostiene che l’accordo è stato raggiunto dopo una serie di incontri culminati nel raduno abruzzese di fine agosto chiamato «Tilt camp», e per conto di Sel i garanti sarebbero Gennaro Migliore e Nicola Fratoianni: «Tutto ciò non è andato giù agli esclusi: i torinesi, parte dei milanesi e dei romani e molta parte di un mondo che non è conosciuto quasi da nessuno ma che Casarini, Raparelli e Alzetta conoscono benissimo. Nelle liti nelle birrerie di via dei Volsci (sì, sempre lì, da oltre trent’anni), e per le strade romane e sulla Rete, sono nati gli scontri di sabato». A farla breve, l’accusa nei confronti dei «dialoganti » è di aver piegato la manifestazione alle pretese della questura e della prefettura, accontentandosi di una protesta poco più che folcloristica. E allora, contro chi vende un corteo per un seggio in Parlamento, fiamme e sampietrini a volontà. Così si spiegherebbe almeno una parte degli scontri, secondo un piano rivendicato da chi alimenta il dibattito attraverso la Rete: «Chi ha organizzato il 15 ottobre voleva una sfilata pacifica fino a una piazza lontana dai palazzi del potere con i soliti comizi finali. Un compromesso di comodo per alcuni. Non serviva essere particolarmente intelligenti per capire che non sarebbe andata così ».

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