martedì 17 luglio 2012




[redazione sito Rete28Aprile - www.rete28aprile.it]


16.7.2012 - "Monti non si emenda. Ci vuole conflitto vero"  
Lunedì 16 Luglio 2012 10:44
[intervista a Giorgio Cremaschi di Francesco Piccioni - tratto da Il Manifesto 
di domeni 15 luglio 2012]

 Giorgio Cremaschi e il paradosso del presente: «Abbiamo il governo socialmente 
più di destra della storia e poche lotte sociali» Cgil e Pd incarnano un 
riformismo degli anni '80 e '90 ormai morto. Ma anche noi siamo ancora troppo 
esitanti.
Quale futuro per il movimento dei lavoratori? Giorgio Cremaschi, presidente 
del Comitato Centrale della Fiom, si è sempre posto da un punto di vista 
originale. E anche stavolta non delude.
Il quadro legislativo sul mercato del lavoro è completamente mutato...
Trovo delle terribili somiglianze con la Francia di Petain, all'inizio del 
'40. La riduzione del danno, come oggi, era lo slogan anche di quei tempi. 
Anche l'Italia è un paese occupato, per fortuna non militarmente, da banche e 
finanza. E Monti è il rappresentante di questo potere. Siamo di fronte a una 
crisi della democrazia senza precedenti, cui corrisponde una passività senza 
consenso, una fuga dalla difesa dei diritti di massa. C'è il governo 
socialmente più di destra della storia, ma il conflitto sociale più basso della 
storia recente. 
C'è una via d'uscita?
Non può che essere la rottura con tutto questo modo di pensare, con il 
petainismo sociale, politico, culturale; e porsi in sintonia con tutti quei 
movimenti e forze che si mobilitano per rovesciare l'Europa delle banche, non 
per emendarla.
Come si fa una «rottura» quando invece c'è una «passività di massa»?
Questo è il lavoro di costruzione che devi fare, non si può dare colpa alla 
gente. Lo scoramento enorme, che si traduce anhe nel voto di protesta a Grillo 
- con cui peraltro bisogna misurarsi e discutere - richiede una risposta 
innanzitutto da parte dei gruppi dirigenti. Siamo di fronte alla fine di un 
trentennio di «concertazione sindacale» e alla crisi del «riformismo» di 
centrosinistra. Entrambi sono morti che camminano.
Eppure le imprese avevano tratto grandi vantaggi dalla concertazione...
È stata sostanzialmente uno scambio. Il concetto fondamentale era che si 
rafforzava il ruolo politico e istituzionale del sindacato, che in cambio 
consentiva il peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Sono sempre stato 
totalmente critico su questo, proprio perché ha disgiunto il destino del 
sindacato da quello dei lavoratori; originando la burocratizzazione sindacale 
di questi anni. Fino all'inizio di questa crisi avevamo la dinamica salariale 
peggiore dell'Ocse e i sindacati organizzativamente tra i più forti dell'Ocse.
La spia che qualcosa non va...
Monti la mette in discussione da destra, noi da sinistra. Lui ha bisogno di 
mostrare che il sindacato viene umiliato, così lo «sconta» in borsa. «Deve» 
peggiorare le condizioni dei lavoratori, e farlo in modo che si veda. Non può 
fare come Padoa Schioppa nel 2006, che diceva: «siamo d'accordo con la 
Thatcher, però ci mettiamo più tempo perché vogliamo mantenere la 
concertazione». Monti è l'espressione del modello dello spread, del rating, 
della finanza, della fine della sovranità nazionale e anche della sostanziale 
eutanasia della nostra democrazia. Lui deve poter dire: «ho umiliato i 
sindacati, quindi fate abbassare lo spread». La concertazione è morta come il 
riformismo degli anni '80 e '90, cui invece si aggrappa ancora il Pd.
Il fiscal compact toglie ogni margine al riformismo?
Possono pensare alla sopravvivenza degli apparati per un po'. E trovare 
qualche mezza vittoria elettorale finché dall'altra parte c'è una figura 
sgonfia e superata come Berlusconi. Ma sono politiche che non portano da 
nessuna parte perché accettano la subalternità all'occupazione finanziaria. Non 
si può parlare di «centralità del lavoro», come fa Fassina e la «sinistra del 
centrosinistra», se accetti il fiscal compact.
Prevede vent'anni di tagli...
Si tratta di accettare che il lavoro diventi una variabile totalmente 
dipendente dalla politica del debito. Dietro il fiscal compact c'è l'idea della 
destra liberale alla Draghi, che vuol distruggere il modello sociale europeo 
per ricostruire la «competitività» dell'Europa con una società low cost. 
Fornero, Monti, Marchionne sono la stessa identica cosa.
Come giudichi la reazione fin qui della Cgil?
Mi pare evidente che agli occhi dei lavoratori il sindacato, la Cgil, ha delle 
responsabilità gravissime. Il suo gruppo dirigente si è perso senza combattere. 
Nel giro di 9 mesi c'è stata una serie di colpi: le pensioni, l'art. 18, le 
tasse, ecc. C'è stata una «macelleria sociale» senza nessuna visibile reazione, 
soprattutto senza nessuna capacità di costruire una rottura e un'alternativa. 
Le battute in tv contro Monti o Fornero diventano persino irritanti per un 
sindacato, se non corrisponde loro nulla sul piano dell'iniziativa. 
Paradossalmente, il sindacato più forte d'Europa è diventato il sindacato più 
inutile d'Europa. Agli occhi dei lavoratori è una cosa terribile, perché 
aumenta la passività, la voglia di arrangiarsi...
Ma la Fiom non è stata passiva...
La Fiom è stata un punto di contrasto importantissimo. Due anni fa, il «no» 
della Fiom a Pomigliano è stato un messaggio universale, non «di fabbrica». Si 
era intuito che Marchionne era non il «dopo Cristo», ma Giovanni Battista che 
annunciava l'avvento. Allora Bersani disse che Pomigliano si poteva accettare 
purché fosse un eccezione; con la stessa ottusità con cui oggi dice Monti può 
essere «solo una parentesi». Non è così. Sono processi strategici contro cui 
bisogna costruire rottura e alternativa. Ripeto: la Fiom l'aveva cominciata, 
però mi pare che abbia rinunciato. Perché non si possono fare queste scelte 
come «emendamento» al centrosinistra, senza porsi il problema di cambiare 
totalmente la Cgil. Le scelte di rottura richiedono profondi cambiamenti di 
assetti politici, gruppi dirigenti, linee di fondo. Credo che uno degli errori 
fatti in quest'ultimo periodo dal gruppo dirigente sia quello di lasciare 
«appese» le sue dichiarazioni di fondo e non trarne le conseguenze sul piano 
delle scelte dentro la Cgil, sul piano dei rapporti sociali con i movimenti. 
Forse riproduce un errore che è tipico delle forze a sinistra del Pd. Che 
vogliono tutte essere «unitarie», ma da sole.
Non cercano di fare fronte?
Bisognerebbe mettere assieme un fronte di tutti coloro che sono a sinistra del 
Pd, che non accettano più la concertazione sindacale e la «riduzione del 
danno». In Italia non si è prodotto un fenomeno come Syriza perché, nei momenti 
di crisi, l'aspetto soggettivo è decisivo. C'è ancora un'autoferenzialità in 
tutti coloro che pure lottano, e che impedisce l'idea del fronte comune. E c'è 
una parte non piccola di forze di sinistra, sociali e politiche, che pensa 
ancora che si possa avere il cambiamento in alleanza con il Pd.
È possibile una polarità indipendente, politica e sindacale?
Sul piano sindacale bisogna lavorare per la rottura con la politica di questi 
trent'anni di concertazione e ricostruire una pratica conflittuale, su un 
programma economico di fatto «anticapitalista». Penso a una drastica riduzione 
di orario, a un investimento pubblico che vuol dire metta mano alle banche... 
Un sindacato, se vuole ripartire, deve avere un grande programma economico di 
rottura anticapalistica. Penso che la stessa cosa debba avvenire a livello 
politico e che non si può farlo insieme a chi accetta Monti. Da Rete28aprile 
ora siete Opposizione organizzata. Perché?
Per due cose: una è accentuare, rispetto ad altri pezzi critici della Cgil, la 
pratica dell'opposizione. Oggi chi non è d'accordo con la linea prevalente in 
Cgil deve essere visibile, deve fare delle cose. I lavoratori devono sapere che 
c'è. C'è un malessere profondo. Due giorni fa l'assemblea sul contratto della 
gomma plastica, a Roma, è finita nel caos. Il gruppo dirigente di Cgil, Cisl e 
Uil ha rifiutato tutti gli emendamenti che venivano dai luoghi di lavoro, la 
gente ha abbandonato la sala... Quindi occorre ripartire con una pratica in cui 
i lavoratori, i delegati, pesano e si organizzano. Occorre una vera e propria 
autorganizzazione del dissenso Cgil. Secondo: bisogna lavorare per l'unità di 
tutte le forze che non ci stanno con la concertazione, dentro e fuori la Cgil, 
fra i movimenti sociali e i sindacati di base, senza settarismi. Poi, c'è anche 
una questione di carattere politico. Molti di noi fanno parte anche del 
movimento «No debito». Pensiamo che, senza smanie elettorali, sia compito della 
sinistra sindacale anche operare per costruire una sinistra politica 
alternativa al Pd.
Tra la resistenza e la resa può esistere una via di mezzo?
Non c'è. La resistenza è anche un progetto. Per esempio la riduzione 
generalizzata dell'orario di lavoro, drastica, in tutta Europa, è il solo modo 
per affrontare la disoccupazione di massa. Non ce ne sono altri. Ma qui occorre 
riaprire il conflitto con il profitto. Non c'è nessuna collaborazione possibile 
oggi con chi cerca di uscire dalla crisi con il supersfruttamento del lavoro e 
ripristinando le condizioni del profitto. L'altra linea, quella cui allude il 
gruppo dirigente di Cgil e Cisl, l'«alleanza dei produttori» - Camusso e 
Squinzi contro Monti - mi pare una linea in cui i lavoratori pagherebbero 
ancora dei prezzi. Ma che non avrebbe nemmeno nessuna vera credibilità 
politica. E' un percorso obbligato, il nostro; ma non vuol dire che ci si 
riesca perché, purtroppo, il guasto economico e morale prodotto in questi 
ultimi trent'anni è enorme.
[fonte: http://www.contropiano.org/it/sindacato/item/10263-monti-non-si-emenda-
ci-vuole-conflitto-vero ]

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