NO ALL'UNITà NAZIONALE
di Giorgio Cremaschi.
L’Italia si è svegliata dal lungo e ottuso sogno berlusconiano, precipitando in un incubo. Dopo tre anni, nei quali si è negata la crisi o ci si è solo affidati al mercato per uscirne, sempre di più i conti affondano e la ripresa è cancellata persino dalle ipotesi possibili.
Il crollo del modello e delle politiche di Berlusconi, però, non apre ancora una prospettiva positiva. In tutta Europa il governo unico delle banche e della finanza sta imponendo, attraverso uno scellerato patto di stabilità, un massacro sociale senza precedenti. E’ cominciato in Grecia ma adesso, passando per Spagna, Portogallo e Irlanda, arriva anche da noi. (...)
Bisogna allora essere chiari, anche di fronte alle dichiarazioni del Presidente della Repubblica. Non accettiamo alcuna coesione o unità nazionale di fronte a una crisi che è provocata dalla finanza e dalla speculazione internazionale e nella quale per salvare le banche e i ricchi si distruggono lo stato sociale, il salario, i diritti.
Non stiamo nella stessa barca. Non accettiamo la medicina greca, così come non l’accettano i lavoratori di quel paese. Già l’accordo firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil sulle deroghe ai contratti nazionali e sulla limitazione del diritto di sciopero dimostra che, se si accetta il modello proposto dalle banche e dalla finanza, i lavoratori sono gli unici a pagare tutto.
Ora le misure del governo aprono la via ai tagli delle pensioni, della sanità, alla distruzione di ciò che resta dello stato sociale. Non c'è nulla che possiamo accettare di queste misure, la crisi va pagata dalle banche,m dalla finanza, dai ricchi, dall’evasione fiscale. Bisogna tagliare drasticamente le spese militari e i costi dei politici. Ci vuole un’altra politica economica che ripristini il controllo pubblico sui mercati e sulla finanza, in Italia come in Europa. Bisogna seriamente pensare a nazionalizzare le banche e a controllare la finanza. Per questo non c’è nessuna unità nazionale con i ricchi e gli speculatori da costruire, ma c’è un grande movimento di lotta che cambi le cose e faccia pagare la crisi a chi l’ha provocata.
11 luglio 2011
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