martedì 19 luglio 2011

Sará dura L’insegnamento della lotta in val di Susa

Sará dura
L’insegnamento della lotta in val di Susa

La TAV in Val di Susa ha portato alla luce tutta una serie di questioni chiave italiane ed europee.
Chi scrive non pensa che non si possa costruire infrastrutture soltanto perché “deturpano”: qualsiasi costruzione, dalle discariche alle industrie, dalle ferrovie alle case, lascia un segno nell'ambiente circostante, lo modifica con tutti gli aspetti positivi e negativi che ciò comporta. La costruzione di qualsiasi cosa deve essere basata su un paragone tra i benefici che una determinata opera comporta e gli svantaggi, e più l'opera in questione è grande, più i vantaggi devono essere superiori agli svantaggi.
Quando parliamo della TAV in Val di Susa, non parliamo di una semplice ferrovia, o di costruire una galleria in una montagna. Parliamo della costruzione di tre gallerie per un totale di circa 90km, di un cantiere lungo 3 km in una valle che larga poco più di un km, in una montagna dove, dai documenti della società incaricata della costruzione della parte italiana (RFI), si trovano anche amianto ed uranio. La costruzione dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) durare 15 anni. Quindi stiamo parlando di 15 anni di lavori, di cantieri, di tir che percorrono una valle strettissima, di falde acquifere destinate ad essere prosciugate (l'esperienza del Mugello insegna), di quantità enormi di materiali da trattare in sicurezza.
L'opera costa circa 14 miliardi di euro (preventivato nel 2006 dal governo italiano e francese), dei quali circa 9 miliardi a carico dell'Italia, senza considerare l'adeguamento dei costi, le opere tecnologiche necessarie, i lavori necessari allo snodo di Torino ed i materiali rotabili che poi dovrebbero effettivamente servire alla linea. Stiamo parlando di una delle opere più grandi e più costose mai costruite in Italia.
La Val di Susa, oltre ad essere percorsa da un traliccio e da un'autostrada, e percorsa anche da una ferrovia. Questa ferrovia potrebbe sopportare un traffico doppio rispetto a quello esistente, in una tratta tra l'altro che vede una costante diminuzione del traffico anno dopo anno (“Tav: le ragioni liberali del No” di Andrea Boitani - cattedra di Economia politica dell'Università Cattolica di Milano- Marco Ponti e Francesco Ramella, 2007).
Di fronte a questi dati (per informazioni più approfondite rimando alla lettura di “ALTRE 150 BREVI RAGIONI TECNICHE CONTRO IL TAV IN VAL DI SUSA
” a cura di Mario Cavargna, Presidente di Pro Natura Piemonte e master di ingegneria ambientale) viene da chiedersi: chi deve svolgere i lavori? Di chi si dovranno fidare i Valsusini? Chi tratterà quantità enormi di amianto ed uranio in sicurezza? E soprattutto chi prenderà i soldi per costruire questa opera?
La società incaricata della costruzione è la Ltf (Lyon Turin Ferroviaire), partecipata a metà da Rete Ferroviaria Italiana e Réseau Ferré de France. Il direttore di questa società è stato fino a poco tempo fa Paolo Comastri. Paolo Comastri è stato condannato a 8 mesi di reclusione in Tribunale in primo grado a Torino per turbativa d’asta, per avere cercato di pilotare l’appalto per la costruzione della discenderia di Venaus, propedeutica alla costruzione del tunnel.
A certi personaggi non dovrebbe essere consentito neanche costruire un castello di costruzioni per bambini.
Di fronte ad un'opera dannosa, costosa ed inutile, i Valsusini non sono stati a guardare. I No Tav sono stati molto chiari: hanno detto che il problema non è la costruzione della galleria in Val di Susa, è la costruzione della galleria e basta. Non si tratta di localismi, si tratta di ripensare seriamente ad un altro modello di sviluppo, che non veda gli abitanti dei territori come qualcosa da spostare da un'altra parte per costruire infrastrutture che fanno crescere il PIL, ovvero i guadagni dei soliti noti. Di fronte a questa volontà di resistenza il governo non ha potuto fare altro che militarizzare la valle, usando la sola lingua che il potere parla quando è in difficoltà, lacrimogeni e manganelli.
Dopo la grande manifestazione del 3 luglio tutta la stampa in blocco ha condannato le violenze. Tutti i politici si sono affrettati a riversare nelle redazioni dichiarazioni stucchevoli di condanna degli scontri, chiedendo ai manifestanti di “isolare i violenti”, dicendo che “c'era gente che non c'entrava niente con la Val di Susa” - come se cittadinanza non significasse anche interessarsi dei problemi che non sono nel nostro orto -, che “c'erano i black block” questi fantomatici personaggi che compaiono dove il potere mostra la sua natura repressiva.
Anche qui i No TAV sono stati chiarissimi: hanno rivendicato tutto quello che è successo, hanno urlato alla stampa “libera” (..libera di parlare solo delle prostitute del premier e non degli affari mafiosi che stringono sulle nostre teste) che la vera violenza è quella di chi vuole imporre opere inutili e dannose, di chi archivia come terrorismo tutto ciò che è dissonante con il canto delle cicale del profitto.
Il mantra “la TAV la vuole l'Unione Europea” è stato portato come prova dell'obbligatorietà dell'opera. Nessuno si è chiesto a quali poteri risponde Unione Europea - visto che i commissari dell'UE non sono neanche eletti dei cittadini ma nominati –. L'immagine dell'Unione Europea come baluardo di legalità, come ancora di salvataggio da questa classe politica, non ci deve far dimenticare che le uniche leggi alle quali risponde sono quelle del profitto, sono quelle delle ricette anticrisi greche, quelle delle privatizzazioni, dei tagli ai salari ed alle pensioni.
L'Unione Europea come è ora, non è la cura ai vari Berlusconi e Bossi, ma è la malattia del profitto a tutti i costi. Una volta che ci siamo liberati di questa, scompaiono anche i sintomi, le classi politiche corrotte e le opere inutili. La strada per trovare il vaccino è ancora lunga, ma in Val di Susa hanno fatto un altro passo avanti.
Kirov

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