venerdì 21 settembre 2012

Grimaldi rifiuta di cercare gli altri fusti


Grimaldi rifiuta di cercare gli altri fusti 
La compagnia alla riunione in Prefettura: «Fatto tutto il possibile». Ma c’è l’ordine della Capitaneria di andare avanti 

VELENI IN MARE »LA CACCIA AI BIDONI TOSSICI 

parola di armatore Per risolvere il problema abbiamo speso 6milioni di euro È l’unico esempio simile nella storia 
della navigazione in Europa

da Il Tirreno


di Federico Lazzotti wLIVORNO Per la Grimaldi gli ottantasei bidoni tossici pieni di catalizzatori ancora dispersi in mare dopo l’incidente del 17 dicembre dello scorso anno resteranno negli abissi intorno all’isola di Gorgona, nonostante l’ordine della Capitaneria che, al contrario, obbliga l’armatore dell’eurocargo Venezia a «proseguire nelle ricerche fino a quando tutti i fusti non saranno individuati» e recuperati. Gli emissari della Compagnia genovese hanno ribadito la loro posizione ieri mattina durante la riunione fiume, è durata quasi tre ore, che si è svolta in Prefettura per fare il punto della situazione e alla quale hanno partecipato, tra gli altri, Comune, Arpat, Capitaneria e Ministero. Spiegava alla vigilia dell’incontro l’ammiraglio Ilarione Dell’Anna: «Grimaldi ci presenterà la relazione finale sulle operazioni condotte da gennaio, dalla ricerca al recupero (sono 144 i bersagli riemersi ndr), dalle analisi dei sedimenti a quelle della colonna d’acqua. In un secondo tempo, comunque stretto, dovrà presentarci il terzo piano per le ricerche del carico che ancora risulta disperso». Grimaldi ha preso tutti in contropiede spedendo la palla in tribuna e facendo trapelare così la volontà di fare ricorso contro il provvedimento della capitaneria sostenendo la tesi degli esperti della società Castalia, secondo cui non sarebbe possibile individuare più alcun fusto. «Abbiamo fatto tutto quello che era possibile fare», hanno detto i legali della Grimaldi quando è stato chiesto loro di dare un’idea di massima per una nuova campagna di ricerche. «La Compagnia – è la loro posizione già da giugno – ha già investito 6milioni di euro per risolvere il problema ed è l’unico caso simile nella storia della navigazione in Europa». Il flop della campagna effettuata ad agosto da parte della nave Magnaghi della Marina militare, che ha scambiato normale spazzatura con i bidoni dispersi, potrebbe essere un’ulteriore scusa per interrompere le ricerche. Le quattromila firme raccolte dal comitato di cittadini per recuperare i bidoni e la lettera spedita perfino al presidente del Consiglio un contrappeso da non sottovalutare. Ecco perché quello che si prospetta da adesso in avanti è un braccio di ferro tra le istituzioni e il Gruppo Grimaldi durante il quale a farne le spese potrebbe essere prima di tutto l’ambiente se è vero – come hanno spiegato più volte Arpat – che la situazione potrebbe peggiorare tanto più a lungo i fusti resteranno in acqua. «Prima o poi – scrivono dall’agenzia in uno dei report che hanno consegnato in questi mesi – per l’aggressività dell’ambiente marino la tenuta dei fusti verrà meno con conseguenze di rilascio di una quantità rilevante e concentrata di materiale inquinante. In questo caso – ecco la conseguenza – gli effetti sulla biodiversità essere gravi, per la presenza in quell’area di una rilevante nursey di naselli e per l’interessamento della zona della riserva marina, santuario dei cetacei». I primi a scendere in campo in quella che si prospetta una battaglia di responsabilità saranno Mauro Grassi e Nicola Nista, rispettivamente assessori all’Ambiente del Comune di Livorno e della Provincia. Per questa mattina alle 13 hanno infatti convocato una conferenza stampa nella quale «si farà il punto sullo stato delle ricerche e del recupero dei fusti perduti dall'eurocargo». ©RIPRODUZIONE RISERVATA 

L’INCHIESTA PENALE 
Spuntano altri due indagati E sui sequestri c’è il Riesame 

L’accusa per il capitano è quella di naufragio e disastro colposo. Ancora da chiarire la rotta del cargo e la brusca virata per evitare la collisione con un’altra nave


LIVORNO Spuntano altri due indagati nell’inchiesta penale sul disastro dell’eurocargo Venezia che la notte del 17 dicembre dello scorso anno ha perso 198 bidoni tossici al largo dell’isola di Gorgona durante la traversata che doveva portare la nave e il suo carico da Catania a Genova. La Procura di Livorno fino a ieri aveva sempre negato il coinvolgimento di altre persone oltre al capitano, Pietro Colotto, accusato di naufragio e disastro colposo. Invece l’indagine condotta dal pubblico ministero Luca Masini, si è allargata fin dall’inizio,tanto che nel mirino degli investigatori sono finiti anche altri due soggetti i cui nomi sono ancora top secret. Si tratterebbe di figure legate alla proprietà e allo stoccaggio dei bidoni. Dunque le verifiche degli investigatori sono andate nella direzione di accertare se la caduta potesse essere stata causata da una cattiva gestione del carico. Anche per questo lo stesso pubblico ministero ha disposto il sequestro probatorio di tutti i fusti recuperati in questi mesi per verificarne conservazione e contenuto. Un provvedimento contro il quale i legali dei tre indagati si sono opposti, da un lato per far risparmiare qualche euro ai propietari che devono pagare la ditta nella quale sono stati stoccati, un po’ per poter vedere le certe in mano all’accusa. Ieri mattina, proprio per questo, si è svolto in camera di consiglio l’udienza del Riesame davanti ai tre giudici dovranno decidere sulla legittimità del sequestro. Ma attorno a quello che è successo quella notte ci sono ancora diverse cose da chiarire. Perché a quanto è emerso dalle indagini sul Venezia, quella stessa notte in quello stesso mare si sarebbe rischiata la collisione tra due ro-ro. Dal tracciato radar, infatti, si apprende che, mentre il cargo della Grimaldi navigava in direzione Catania-Genova, sulla rotta opposta stava sopraggiungendo il cargo Cragside. Stando al tracciato, il Venezia avrebbe accostato a dritta di 25 gradi per far passare il Cragside. Il mare era forza dieci, con onde alte fino a dieci metri fatte impazzire da raffiche di vento a 120 chilometri orari in due direzioni, libeccio e ponente maestro. L'accostata avrebbe messo nei guai il Venezia, rollato poi di 37 gradi e non rovesciatosi solo grazie alla perizia del comandante che però avrebbe negato parte della manovra effettuata. (f.l.) ©RIPRODUZIONE RISERVATA 
Nube di gas sulla città
Ascuola paura e malori
Una cisterna tedesca perde acrilato di etile all’autolavaggio Nicola Matteucci
La sostanza è nociva e il Comune fa chiudere a tutti le finestre. Indagini in corso


La nube maleodorante si sprigiona
alle 9.15 come un fiume
invisibile. Con i suoi tentacoli
insidiosi, prende vita da una cisterna
che si presenta all’autolavaggio
di via Mastacchi. E da
lì si espande, attraversando i
quartieri nord, diretta verso il
centro e passando per San
Marco. Il punto dove quel puzzo
- poi si scoprirà che si tratta
di “acrilato di etile”, emulsione
che ha conseguenze simili
all’ammoniaca - si sente di più
è in via Galilei, dove gli studenti
dell’Iti hanno da poco terminato
la prima ora di lezione.
L’odore è infingardo e penetra
nell’istituto, senza bussare
dalla porta, ma aggredendo i
ragazzi anche attraverso gli interstizi
delle finestre. Inevitabilmente
quella sostanza viene
respirata. È panico. Una professoressa,
livornese di 58 anni
che soffre di asma, si sentemale
e va in crisi respiratoria. Lo
staff della scuola, a partire dalla
presidenza, interviene immediatamente,
attivando il sistema
di emergenza previsto
nell’istituto in queste situazioni.
Ma la prof sta male ed è necessario
l’intervento di un’ambulanza
della Misericordia. I
soccorritori, col dottore del
118, portano l’insegnante in
ospedale. Poco dopo, anche
un’altra docente è vittima di
unmalore.Ea ruota si sentono
male tre studenti. Davanti
all’Iti, nel frattempo, si accalca
una folla composta da genitori
allertati dai ragazzi e preoccupati,
ma anche di gente di passaggio
incuriosita e allarmata
per la situazione.
Nel giro di pochi minuti, in
via Galilei accorrono la polizia
municipale, la protezione civile
con il capo Leonardo Gonnelli,
l’Arpat, l’Asl, i vigili del
fuoco e il vicesindaco Bruno
Picchi. Sono i vigili urbani a comunicare
alla scuola che è necessario
tenere le finestre chiuse
per almeno due ore, come
prevede un’ordinanza emanata
a tempo di record dall’amministrazione
ed estesa per
precauzione a tutta la città.
Ma cosa è successo esattamente?
Alle 9 all’autovalaggio
Nicola Matteucci in via Mastacchi
319 si presenta una cisterna
tedesca che chiede di fare
un lavaggio interno. L’impianto,
come accertato dall’Arpat,
svolge proprio operazioni di lavaggio
interno di autobotticon
acqua calda o fredda e detergenti,
ed è provvisto di autorizzazione
per lo scarico nella fognatura
pubblica. Il punto, però,
è che al momento dell’apertura
del boccaporto del mezzo,
sono fuoriusciti dei vapori maleodoranti.
E immediato ha cominciato
a diffondersi un forte
odore, che in un attimo s’è
espanso in tutta la struttura e
nell’aria. Nel giro di pochi minuti,
una raffica di telefonate
fatte da decine di cittadini sono
arrivate al 115 dei vigili del
fuoco. Una squadra dal Comando
di via Campania vola
subito in via Mastacchi. E già
dai primi accertamenti, appare
chiaro che c’è qualcosa che
non torna. I pompieri allora avvertono
l’Arpat, che alle 9.30 è
già sul posto con una squadra.
I tecnici constatano che la nube
maleodorante è ormai in
viaggio su Livorno e si sta allargando,
avvolgendo il centro.
Gli esperti effettuano diversi
campionamenti e dai primi risultati
viene fuori che si tratta
di acrlato di etile, una sostanza
chimica, usata nelle vernici,
nei detersivi e così via, che, comel’ammoniaca,
provoca bruciore
agli occhi e alle mucose
del naso, problemi respiratori,
soprattutto a chi soffre di
asma, nausea emaldi testa.
Nel corso del sopralluogo,
mentre il titolare dell’autolavaggio
si difende dicendo che
il portellone dell’autobotte è
stato aperto dal camionista, in
via Mastacchi arrivano anche i
vigili urbani e i carabinieri, che
hanno aperto un’indagine penale
per accertare le eventuali
responsabilità: chi ha aperto il
portellone e perché? Poteva
farlo? Intanto, il camionista
della cisterna tedesca rischia
una sanzione. Provvedimento
che verrà stabilito dalla polizia
municipale, in base ai risultati
dei rilievi fatti ieri mattina.
©RIPRODUZIONERISERVATA

Fognature inquinate Intimata la bonifica dell’autolavaggio 
Il Comune ha emanato un’ordinanza che prevede di pompare le acque di raccolta e la pulizia delle condotte 



LIVORNO L’autolavaggio Nicola Matteucci di via Mastacchi deve effettuare la bonifica degli ambienti con «l’immediato allontanamento delle acque presenti nel sistema di raccolta e la pulizia delle condotte a monte dell'impianto». È quanto stabilito da un’ordinanza del Comune scaturita dai sopralluoghi fatti ieri mattina nella struttura da Arpat e Asl 6. L’ordinanza è stata resa nota al proprietario dell’autolavaggio con urgenza «per ragioni di incolumità e salute pubblica». La bonifica dovrà essere effettuata e certificata da una ditta specializzata, come prevede la legge. Lo scopo è pulire rapidamente l’area ed evitare nuovi rilasci nell’ambiente e nella fognatura pubblica dell’acrilato di etile, la sostanza che l’Arpat ha esaminato. «Chi inquina deve pagare - dice il vicesindaco Bruno Picchi - Concetto che deve passare sempre di più per la tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente, e che mi auguro sia di stimolo ai proprietari di impianti potenzialmente inquinanti perché investano in manutenzione e controllo». Ieri mattina Picchi s’è recato all’Iti, la scuola più colpita dal disagio creato dalla nube, insieme al responsabile della protezione civile Leonardo Gonnelli. «Il punto più significativo dove è stata avvertita la nube è stato l’Iti: forte disagio e malori per alcuni ragazzi. Ma abbiamo fatto sopralluoghi anche alle altre scuole di questa zona. Per fortuna l’allarme è rientrato velocemente. Ora sono in corso accertamenti sulla dinamica».(l.l.) 



L’AUTOLAVAGGIO 
Il proprietario: «Ha fatto tutto il camionista» 


LIVORNO «"Ha fatto tutto l'autista dell'autobotte, noi non c'entriamo niente. Ci scusiamo con i cittadini per il disagio che si è venuto a creare, ma non abbiamo avuto alcuna responsabilità al riguardo». È quanto afferma Nicola Matteucci, titolare dell'autolavaggio delle autocisterne di via Mastacchi. A causare la fuoriuscita della nube maleodorante, secondo la versione del proprietario, sarebbe stato il comportamento dell'autista del tir, che avrebbe aperto, da solo e senza permesso, i bocchettoni della cisterna. «Un'operazione - racconta Matteucci - fatta probabilmente per guadagnare tempo in attesa del turno per il lavaggio. Ma quando l'uomo ha aperto i bocchettoni è venuta fuori la nube che, complice il vento, si è propagata lungo mezza città. Noi siamo subito intervenuti e abbiamo mandato via l'autista con il suo tir». Matteucci ha detto di non essere in grado di risalire al proprietario del mezzo, del quale non avrebbe annotato la targa. «Se ci avesse aspettato - conclude il titolare dell'autolavaggio - noi non gli avremmo dato il permesso di aprire la cisterna perché su di essa vi erano poste alcune etichette che ci avrebbero consigliato di non svuotarla. Il rispetto della regolare procedura, insomma, avrebbe evitato l'inconveniente». Per poter ricostruire l'accaduto e risalire all'identità della sostanza che si sarebbe sprigionata dall'autobotte, sarà fondamentale l'esito dei rilievi compiuti dall'Arpat, presente ieri sul posto già da metà mattina. Per ora è emerso che si tratterebbe di acrilato di etile. Gli addetti ai lavori di Arpat hanno confermato che l'impianto di via Mastacchi ha una regolare autorizzazione per lo scarico delle sostanze contenute nelle autocisterne. Sulla dinamica dell'evento ci sono però ancora alcuni dubbi. In particolare, in tarda mattinata il cattivo odore nel piazzale era ancora forte. Cosa che farebbe ipotizzare, oltre alla fuoriuscita nell'aria, anche ad uno sversamento del liquido contenuto nell'autobotte. Per questo l'Arpat ha realizzato un campionamento della rete fognaria, per rilevare l'eventuale presenza di materiali tossici e una possibile corrispondenza con quelli che potrebbero aver sprigionato il cattivo odore. Da una prima analisi, però, gli esperti hanno smentito la notizia emersa nelle prime ore della mattina, e cioè che potesse trattarsi di una nube di ammoniaca. Intanto i vigili urbani e i carabinieri stanno svolgendo le indagini per ricostruire la dinamica e accertare le eventuali responsabilità. Giorgio Carlini
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