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Crisi iraniana, crisi di sistema ed investimenti italiani a Teheran
Da un paio di settimane il rapporto tra l'Iran ed il mondo Occidentale è tornato ad inasprirsi. Finito lo sdegno politico per la dura repressione manu militari del Presidente Ahmadinejad, la tensione torna a salire a seguito del rapporto dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica.
Lo scorso 8 novembre i 35 membri dell'Agenzia ed il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno ricevuto un report sul governo di Teheran, il quale sarà analizzato al meeting di Vienna in programma per giovedì 17 novembre; lo comunica lo stesso sito dell'AIEA.
La posizione piu' risoluta a seguito dell'ennesimo stallo arriva dalla Gran Bretagna che tiene a fare sapere per bocca del ministro degli esteri William Hague, per due volte in una settimana, che "tutte le opzioni sono allo studio", compresa quindi quella militare.
L'Europa si era espressa maggiormente sulle posizioni concilianti e diplomatiche assunte in primis da Russia e Cina: i governi di Berlino e Parigi, trascinatori del Vecchio Continente, si erano schierati esplicitamente contro una risoluzione violenta del conflitto, pur considerando "inevitabili" le sanzioni economiche di rito. L'interesse geopolitico come è facilmente intuibile è enorme, così come l'instabilità dell'intera area: Israele, vicino di casa di Teheran, detta la linea sulla politica estera ai sempiterni cugini americani ed inglesi con il loro stuolo di seguaci. L'ultimo baluardo verso Est del cosiddetto mondo libero occidentale punta ad una escalation programmata della situazione, forse anche per lenire la frustrazione del recente riconoscimento da parte dell'UNESCO dello Stato di Palestina.
L'Europa divisa tra l'asse russo-cinese e l'imperialismo atlantico USA-GB, l'Europa che solo venti giorni fa ha bocciato il "South Stream" del Cremlino come opera transcontinentale per appoggiare l'omologo "Nabucco", appare sempre piu' ondivaga.
Maggior risolutezza verso una posizione di forza è arrivata solamente a seguito delle dichiarazioni del titolare degli Esteri a Mosca, Sergej Lavrov, il quale considera "finito il tempo delle sanzioni" per l'Iran. Dopo essersi scottato con la contrarietà all'intervento in Libia, il Cremlino non intende perdere il (molto probabile) prossimo conflitto geopolitico e conseguente spartizione di ricchezze. E l'Europa, a stretto giro, si adegua gioco forza. La crisi di sistema pare mettere tutto il padronato d'accordo.
In questo contesto si inserisce il nostro Paese, fragile settima potenza mondiale in via di ristrutturazione, che sulla questione iraniana può essere tutto tranne che neutrale: solo nel 2008 il 60% della produzione di petrolio nel Paese è stata fornita dalla solita ENI. Una situazione che ricorda molto, economicamente parlando, quella in Libia di neanche un anno fa.
L'ICE, l'Istituto per il Commercio Estero italiano, si è già espressa molto esplicitamente su Teheran, valutando "negativamente l'ipotesi di sanzioni internazionali contro l'Iran, perchè ostacolano pesantemente gli investimenti stranieri nel settore dell'energia (petrolio e gas) limitando anche la presenza dei gruppi italiani interessati (Eni-Enel-Edison-Tecnimont).
Non solo colossi nostrani: i settori interessati si allargano a trasporti (Alitalia), energia (Ansaldo, Elettra), sviluppo tecnologico ed ingegneristico (SAIPEM gruppo ENI, ALCATEL Italia, PEDRINI SPA) e settore metalmeccanico (DANIELI & C. Officine Meccaniche).
La lista parziale stilata dall'ICE curiosamente dimentica di citare ENEL, proprio nel Paese mediorientale tra i piu' avanzati nella costruzione di dighe e centrali idroelettriche, strutture fondamentali in un'area colpita duramente dalla siccità per tutto l'anno. Se, è il caso di dirlo, si vuole "raschiare il barile" per accaparrarsi i pochi giacimenti petroliferi raggiungibili rimasti, è altrettanto sicuro che le future guerre delle oligarchie padronali ruoteranno intorno ad acqua e terre rare.
L'aumento di miliardi della spesa militare, primo capitolo di esborsi in tempi di crisi strutturale, deve avere presto uno sbocco di utilizzo del materiale prodotto. La guerra è l'unica soluzione per il capitalismo, ad ogni livello. Dalla cancellazione dei diritti di lavoratrici e lavoratori sino all'eliminazione vera e propria di interi Paesi. Per la classe operaia non c'è altra soluzione che l'emancipazione di sè stessa.
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