giovedì 6 ottobre 2011

Affari e (pochi) controlli al Pirellone

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-10-05/affari-pochi-controlli-pirellone-064005.shtml?uuid=AaULk59D

Nei cassetti della Procura presso la Corte dei conti lombarda giace dal 2008 una denuncia sui trucchi utilizzati dagli amministratori dell'Arifl, l'Agenzia regionale per il lavoro, per spostare da un capitolo all'altro del bilancio i fondi concessi dall'Unione europea con un preciso vincolo di destinazione. La denuncia porta la firma del collegio dei revisori, che ha bocciato il bilancio dell'Arifl nel 2006 e nel 2007 muovendo trentuno rilievi. Nel 2008, poi, il ministero dell'Economia ha sguinzagliato i suoi ispettori. Che hanno redatto una relazione (l'ultima è del febbraio 2010) tuttora all'esame della magistratura contabile. Pesanti le accuse: illegittima assunzione di dirigenti, illegittimo affidamento di incarichi di collaborazione studio e consulenza (per complessivi 4 milioni di euro) e irregolare affidamento di compiti di direzione a un collaboratore che, combinazione, era l'attuale presidente della Compagnia delle opere di Milano, Massimo Ferlini. Stiamo parlando del braccio economico di Comunione e liberazione, il movimento religioso di cui è esponente di primissimo piano il governatore Roberto Formigoni.
«Pensavo che la Regione Lombardia fosse un modello di efficienza: mi sono dovuto ricredere», dichiara una fonte che chiede l'anonimato. Aggiunge: «Un esempio su tutti è il portale della Borsa lavoro, costato 19 milioni, che dovrebbe favorire l'incontro tra domanda e offerta».
Il paradosso è che la quasi totalità dei dipendenti dell'Arifl svolgeva lavori di segreteria, mentre la realizzazione dei progetti era affidata a uno stuolo di consulenti in pianta stabile, nella maggioranza dei casi vicini a Cl, tanto per cambiare. La loro retribuzione raggiungeva punte comprese tra i 100 e i 200mila euro.
Quello dell'Agenzia per il lavoro non è un esempio isolato.
Formigoni, che impera sulla Lombardia dal '95, ha svuotato l'amministrazione, accentrando su di sé il controllo e trasferendo le funzioni strategiche a società ed enti pubblici economici. Dice Pippo Civati, il rottamatore lombardo del Pd, autore con l'ex consigliere Carlo Monguzzi di un libro grigio sulla Regione, diffuso sul web: «La giunta, gli assessorati, il consiglio sono stati depotenziati; la gestione di parti delicate, come gli appalti e la tesoreria, trasferita alle varie Finlombarda, Infrastrutture lombarde, Lombardia informatica, nei cui consigli d'amministrazione siedono uomini di osservanza formigoniana».
Centralista a Milano, federalista a Roma; in preda alla sindrome cesarista, ma con l'aplomb ecumenico di chi ambisce a succedere a Silvio Berlusconi: così dipingono Formigoni i suoi avversari politici e alcuni dei suoi più stretti collaboratori. Con una evidente schizofrenia si predica il valore della sussidiarietà, cioè l'idea che i servizi debbano rispettare il criterio di prossimità e avvicinarsi alle persone, e poi si adotta un modello di Regione pigliatutto che con i voucher instaura un rapporto diretto con il cittadino per scavalcare gli enti locali. Nel ruolo di salvatore della patria lombarda, ora Formigoni si candida a rilevare il San Raffaele, il gruppo ospedaliero di don Luigi Verzè che affoga nei debiti nonostante i quasi 450 milioni l'anno di rimborsi per prestazioni sanitarie versati dalla Regione.

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