mercoledì 19 ottobre 2011

Cosa non ha funzionato, e cosa ha funzionato, il 15 Ottobre - la lettera di una compagna

Riceviamo da una compagna e volentieri pubblichiamo



Il 15 ottobre ha secondo me portato a galla una enorme quantità di problemi che affliggono non tanto il solo movimento, ma anche le associazioni, i partiti e i sindacati sia che si rifacciano alla cosiddetta sinistra istituzionale, sia non.
Prima di tutto Roma 15 ottobre ha dimostrato la volontà del Coordinamento del 15 ottobre di costruire una manifestazione guidata, proprietà privata dei romani: assemblee senza diritto di intervento o organizzate la mattina di un mercoledì qualsiasi non facilitano la partecipazione di altri compagni. A questa grave chiusura aggiungo la volontà del coordinamento del 15 ottobre di proporre un corteo sfilata, palloncini e sorrisi, lontano dai palazzi del potere per finire ad ascoltare il bel comizio. Questo non lo ritengo tanto un errore quanto una dimostrazione pratica di come gli organizzatori del corteo non abbiano minimamente idea del clima che si vive in Italia (oppure lo si è volutamente ignorato): che il 15 ottobre era una miccia pronta ad esplodere lo avevano capito anche i bambini. Che si volesse andare davanti ai palazzi del potere e restarci era intenzione chiara. Ma si è preferito costruire una piazza che potesse dire agli italiani che Vendola e Di pietro, volatilizzati non appena vista la mal parata, avevano l'appoggio di quei 500mila
Sacrosantamente ritengo che qualcuno non ci sia stato a farsi sfruttare strumentalmente per la sfilata elettorale e abbia deciso di fare altro: non ci vedo nulla di male, se gli obiettivi scelti per la manifestazione sono frutto di una chiusura. Una manifestazione pacifica avrebbe stonato in maniera inquietante rispetto alla rabbia che affligge molto di noi, stanchi di veder sparire i servizi, stanchi di precariato, sfruttamento, repressione e incertezza. Non mi rivendico certamente tutto: a Roma c'è stata un tipo di violenza che amo definire controrivoluzionaria, perchè priva di obiettivi politici e di rivendicazioni. Non la violenza di Roma 14 dicembre o della Val di Susa 3 Luglio quindi che invece rivendico appieno come forma di conflitto sociale. Ma c'è da domandarsi chi siano questi violenti. Gente che lo fa per divertimento? Figli di papà annoiati? Non saprei, ma mi paiono definizioni banali. C'è da riconoscere che, ci piaccia o no, c'era della rabbia: rabbia figlia di una politica esasperante che scatena il conflitto sociale e lo governa a suon di repressione, rabbia figlia di condizioni di vita sempre più precarie e quartieri ghetto che cominciano a ricordare le banlieu parigine dove ti rincrudisci e accumuli schifo e odio. Lo stato produce dei “mostri” che poi condanna quando se li vede spuntare in piazza a rovesciare la loro legittima rabbia. Semmai più che concentrarci sul come hanno usato violenza c'è da domandarsi, sia per il movimento sia per i cosidetti partiti “comunisti” italiani, come mai c'è stata solo rabbia e non conflitto sociale. Prendiamoci l'enorme responsabilità di non essere riusciti a entrare in contatto con questi giovani e non essere riusciti a incanalare la loro rabbia verso una violenza che avesse un senso. Un fallimento per tutti.

Ci tengo a precisare che comunque Roma 15 ottobre è da separare nettamente in due momenti: la azioni in via Cavour sono state in parte organizzate in parte inizio di questa violenza fine a se stessa di cui parlo. Ma Piazza San Giovanni è stata altro: dovrebbero rivedersi meglio i video tutti coloro che gridano alla “minoranza che si è presa la piazza e ha scippato la manifestazione”. San Giovanni è stata difesa di piazza: la polizia ha chirurgicamente diviso il corteo dopo i Cobas, incastrando in una piazza che stava per essere caricata (senza motivo) pacifisti e realtà più atte al conflitto. E se qualche pacifista si intestardisce a dire che loro non volevano trovarsi nel mezzo degli scontri beh, che dire, gli do ragione: ma i blindati che sfrecciavano a 70 km orari contro la gente non erano dei “black block”, ma delle forze del dis-ordine. E anzi chissà cosa sarebbe successo se non ci fossero state in piazza realtà capaci di organizzare cordoni e di resistere a cariche e lacrimogeni: avrei voluto vedere che succedeva se un'orda di gente non atta al conflitto e disorganizzata si trovava in mezzo ai caroselli. Ma questo è spaccare il capello il 4.

Eppure anche gli eventi a piazza San Giovanni sono stati il via alle scomposte reazioni del post Roma (forse era meglio fermarsi a pensare, poi mettere mano alla penna)che hanno portato a galla realtà inquietanti che non possono , secondo me, che essere l'inizio di una frattura.
Anzitutto vediamo spuntare di nuovo il mito dei black block: è tutta colpa dei black block. Un tempo una certa sinistra, quella che era stata a Genova 2001, se l'era rivendicata e ogni anno ricorda Giuliani, ripeteva a pappagallo che i black block sono una fantasia, una costruzione per rendere alieni persone che tolto il casco hanno l'età di tuo figlio, o di tua sorella e vanno a scuola o lavorano. Oggi il lavaggio del cervello mediatico è arrivato a far digerire questa definizione anche ad appartenenti alla sinistra che si definisce classista (mentre gli amici del popolo viola, tanto incazzati coi media, queste categorie se le sono sempre bevute). Questo rappresenta un arretramento culturale enorme nel panorama della sinistra e tra l'altro del tutto inaspettato: dopo aver passato l'inverno nell'esaltazione delle rivolte tunisine, egiziane, greche, londinesi si sente dire che le stesse cose sono teppismo in Italia. Troppe posizioni di comodo sono state prese da chi, non vedendo l'ora di tornare in parlamento, deve mantenersi entro il solco della legalità e della Costituzione (qualcuno si ricorda che le leggi sono forme di autoconservazione del sistema?). Per alcuni è invece stato proprio questo attaccamento alle leggi, questa savianizzazione e travaglizzazione del pensiero sinistroide a portare al fatto più grave di tutti quelli accaduti durante e post manifestazione:l'essere arrivati alla delazione. Io pensavo che fosse chiaro che si può anche sbagliare, da esseri umani, ma che comunque fosse presente quale sia il nemico: e invece i benpensanti pacifisti, che sciorinano sequele di lamentazioni contro il mal governo e la crisi economica, hanno poi la brillante idea di invocare a gran voce la polizia perchè pesti gli incappucciati (diceva il buon vecchio Malcom x: i media di faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori) e di aprire gruppi e pagine per denunciare i violenti. Contro i violenti, arrabbiati contro il sistema, si è preferita la violenza ordinatrice, repressiva dello stato. Cito Mazzini che cade quanto mai a pennello: finchè la violenza di stato si chiamerà giustizia, la giustizia del popolo si chiamerà violenza. Ve lo dice lui, il buon vecchio Mazzini, che mentre sbraitate contro lo stato vi calate nei suoi panni e guardate dal suo punto di vista. Allora, questo è un consiglio che mi permetto, umilmente, di dare ai pacifisti: non concentratevi tanto sulle modalità di stare in piazza, perchè prima avete da lavarvi dalla testa i pidocchi della “verità ufficiale”, quelle verità preconfezionate mainstream che passano dalla foto del celerino che accarezza la ragazza (mentre il collega lancia sampietrini e investe la gente con blindato), agli infami gruppi di delazione (che dire infine di chi si incazza per un sampietrino lanciato, poi vota partiti che fanno bombardare Libia, Afghanistan, Iraq, Kosovo? Che concetto di violenza avete?)

Infine, pensando più alle realtà organizzate, sia che siamo nei movimenti o nei partiti della sinistra anticapitalista, abbiamo da imparare molto: comunicazione e coordinazione sono quanto di più importante esista per organizzare una mobilitazione che si preannuncia di importanza epocale. Franchezza nelle assemblee, comunicazione costante, organizzazione di piazza (riprendiamo gli anni 70, non idealmente o culturalmente parlando, ma nella gestione fisica della piazza), assemblee aperte.
Alla sinistra comunista, pur sapendo che vi sono posizioni diverse, ricordo che una visione classista comporta la presa d'atto dell'odio di classe e quindi il vedere come strumento utile alla lotta politicail conflitto sociale. Invece di dire 99% pacifici ,1% bestie domandatevi come mai siete lontani dai movimenti, chiusi nel vostro terrore dell'autonomia, incapaci di incanalare la rabbia. Di questo sono certa: in quella piazza a me è mancato un partito comunista serio, capace di indirizzare la rabbia, di organizzarla. Mi sono trovata in piazza dei partiti “comunisti” che invece hanno deciso di rinnegarla proprio quella rabbia, con uno stridio assordante tra le parole usate e i concetti espressi.

Occorre assolutamente ora ricostruire una mobilitazione che rischia di morire appena nata: credo però che, prendendo atto degli eventi del 15 ottobre, una frattura si sia consumata entro il movimento, lungo linee (conflitto/non conflitto) che solo apparentemente solo di pura pratica: in realtà celano dietro il livello di legittimazione dello stato, e quindi dell'apparato repressivo, che si ha in mente. Io questo sistema di rigida gerarchia tra sfruttati e sfruttatori, che vi sia o meno una crisi economica, non lo legittimo e quindi non ho intenzione di ragionare secondo le sue leggi ne di lasciargli il monopolio della violenza.


Una militante comunista

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