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venerdì 29 aprile 2016
martedì 26 aprile 2016
venerdì 22 aprile 2016
ACQUA: IL RE E’ NUDO
ACQUA: IL RE E’ NUDO
Non sono passati più di tre giorni dalla rivendicazione da parte di Renzi dell’astensionismo nel referendum sulle trivellazioni (“referendum inutile”, come certamente hanno capito gli abitanti di Genova), che il governo e il Pd compiono l’ulteriore atto di disprezzo della volontà popolare.
Il tema questa volta è l’acqua e la legge d’iniziativa popolare, presentata dai movimenti nove anni fa, dopo aver raccolto oltre 400.000 firme. Una legge dimenticata nei cassetti delle commissioni parlamentari fino alla sua decadenza e ripresentata, aggiornata, in questa legislatura dall’intergruppo parlamentare in accordo con il Forum italiano dei movimenti per l’acqua.
La legge è stata approvata ieri alla Camera, fra le contestazioni dei movimenti e dei deputati di M5S e SI, dopo che il suo testo è stato letteralmente stravolto dagli emendamenti del Partito Democratico e del governo, al punto che gli stessi parlamentari che lo avevano proposto hanno ritirato da tempo le loro firme in calce alla legge.
Nel frattempo, procede a passo spedito l’iter del decreto Madia (Testo unico sui servizi pubblici locali) che prevede l’obbligo di gestione dei servizi a rete (acqua compresa) tramite società per azioni e reintroduce in tariffa l’”adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, ovvero i profitti, nell’esatta dicitura abrogata dal voto referendario.
Un attacco concentrico, con il quale il governo Renzi prova a chiudere un cerchio: quello aperto dalla straordinaria vittoria referendaria sull'acqua del giugno 2011 (oltre 26 milioni di “demagoghi” secondo la narrazione renziana), sulla quale i diversi governi succedutisi non avevano potuto andare oltre all'ostacolarne l'esito, all'incentivarne la non applicazione, ad impedirne l'attuazione.
Il rilancio della privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici risponde a precisi interessi delle grandi lobby finanziarie che non vedono l'ora di potersi sedere alla tavola imbandita di business regolati da tariffe, flussi di cassa elevati, prevedibili e stabili nel tempo, titoli tendenzialmente poco volatili e molto generosi in termini di dividendi: un banchetto perfetto, che Partito Democratico, Governo Renzi e Ministro Madia hanno deciso di apparecchiare per loro.
Ma poiché la spoliazione delle comunità locali attraverso la mercificazione dell’acqua e dei beni comuni, necessita una drastica sottrazione di democrazia, ecco che lo stravolgimento della legge d’iniziativa popolare sull’acqua e lo schiaffo al vittorioso referendum del 2011 non rappresentano semplici effetti collaterali di quanto sta accadendo, bensì ne costituiscono il cuore e l'anima.
A tutto questo occorre rispondere con una vera e propria sollevazione dal basso, con iniziative di contrasto in tutti i territori e l’inondazione di firme in calce alla petizione popolare per il ritiro del decreto Madia, promossa dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua all’interno della stagione appena aperta dei referendum sociali.
Oggi più che mai, si scrive acqua e si legge democrazia.
Marco Bersani (Forum italiano dei movimenti per l’acqua)
QUATTRO FIRME PER LA SCUOLA PUBBLICA GIUSTA
#SCUORUM
Il Referendum per la scuola pubblica
Anche a Firenze è iniziata la campagna
QUATTRO FIRME PER LA SCUOLA PUBBLICA GIUSTA
Dal 9 aprile scorso è iniziata la raccolta firme per QUATTRO QUESITI REFERENDARI SULLA SCUOLA, promossi da insegnanti, studenti, genitori e lavoratori della scuola, con lo scopo di abrogare il peggio della c. d. Buona Scuola (Legge 107/15) e ripristinare una Scuola Giusta.
I primi mesi del 2015 sono stati caratterizzati da proteste, mobilitazioni e proposte alternative, per cambiare il progetto di legge del governo Renzi, ma nonostante ciò quel progetto è andato in porto, sordo al dialogo con chi la scuola la vive quotidianamente.
All'atteggiamento di chiusura del governo i promotori intendono rispondere facendo appello alla partecipazione popolare, consapevoli delle difficoltà, ma convinti anche della necessità di restituire ai cittadini la dovuta centralità democratica.
Nel dettaglio:
Primo quesito: abrogazione dei finanziamenti privati alle singole scuole, incremento per le statali
Secondo quesito: abrogazione del potere dei presidi di scegliere e confermare (o meno) i docenti, a sua discrezione
Terzo quesito: abrogazione dell'obbligo del monte ore obbligatorio (200 ore per i Licei, 400 ore per Tecnici e Professionali) che gli studenti devono svolgere fuori dalla scuola nell'alternanza scuola/lavoro, in modo tale da lasciare le scuole libere di programmare le ore secondo le loro esigenze.
Quarto quesito: abrogazione del potere del preside di scegliere arbitrariamente i docenti da premiare
La raccolta firme è promossa a livello nazionale da sindacati come Flc Cgil, Gilda-Unams, Cobas Scuola; associazioni e movimenti come LIP per la Scuola della Repubblica, UDS, UDU, Coordinamento nazionale Scuola della Costituzione, Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica.
A livello fiorentino partecipano anche il Tavolo regionale per la difesa della scuola statale, la Rete degli Studenti Medi e partiti politici come Sinistra Italiana e Rifondazione Comunista.
Altri Referendum Sociali
Contestualmente alla promozione dei quattro quesiti sulla scuola, i promotori hanno anche lanciato la raccolta firme per altri due quesiti referendari, in sintonia con associazioni e movimenti che lottano per il rispetto dell'ambiente, i Beni Comuni, un nuovo modello energetico.
Un quesito per fermare nuove attività di Trivellazione
Un quesito per bloccare vecchi e nuovi Inceneritori
Infine viene lanciata una petizione popolare per la Gestione pubblica e partecipativa dell'Acqua
La campagna di raccolta firme verrà illustrata alla stampa
GIOVEDI' 21 APRILE
ore 12,30
Piazza della Vittoria, di fronte al Liceo Dante
Firenze
giovedì 21 aprile 2016
I nuovi tagli per la spesa sanitaria che verranno
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lunedì 18 aprile 2016
mercoledì 13 aprile 2016
Insistere oggi con l’estrazione di petrolio e gas rappresenta un danno per il Paese
REFERENDUM 17 APRILEPerché andiamo a votare e votiamo SìInsistere oggi con l’estrazione di petrolio e gas rappresenta un danno per il PaeseIl prossimo 22 aprile capi di Stato e di governo convocati dal Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, firmeranno, per renderlo definitivamente operativo, l’Accordo di Parigi, risultato dell’ultima Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro ONU sui Cambiamenti Climatici tenutasi a Parigi lo scorso dicembre. L’accordo è stato raggiunto all’unanimità da 195 paesi più l’Unione Europea e rappresenta l’avvio definitivo del passaggio dai combustibili fossili (petrolio, carbone, gas responsabili principali del cambiamento climatico oggi in atto) alle energie rinnovabili, all’efficienza e al risparmio energetico e a tutte le straordinarie innovazioni presenti in questo campo nonché allo stimolo scientifico e tecnologico per produrne di nuove. Tutta la comunità scientifica internazionale è consapevole che non si può continuare sulla strada della dipendenza dalle fonti fossili e che l’inazione costituisce il rischio peggiore che non fa che aggravare la situazione attuale.Tutto il mondo deve investire in un nuovo modello energetico e tutti, istituzioni, settore privato e società civile, devono essere attori del cambiamento.In questo quadro non ha alcun senso per un paese come l’Italia insistere con investimenti per continuare con l’estrazione di petrolio e gas, anzi riteniamo che questa azione rappresenti ormai un danno.Innanzitutto perché l’utilizzo delle fonti fossili provoca inevitabilmente l’aggravarsi dei cambiamenti climatici con effetti nefasti sui territori, sulla salute, sulla sicurezza delle popolazioni, e una crescita costante dei costi per riparare ai danni conseguenti.Ma ci sono anche precise ragioni energetiche, economiche, occupazionali, ambientali, etiche e culturali che ci obbligano a sottolineare che è interesse di tutti muoversi con lungimiranza e determinazione verso una società sempre più libera dall’utilizzo dei combustibili fossili.Le ragioni energetiche.Il quantitativo di petrolio e di gas naturale fornito al nostro Paese dalle piattaforme entro le 12 miglia non supera rispettivamente lo 0,9% ed il 3% dei consumi nazionali.Una quantità irrisoria, anche perché il consumo dei combustibili fossili è in continuo calo (- 22% di gas e -33% di petrolio negli ultimi 10 anni), grazie al boom delle fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico, eolico, geotermico, biomasse) che hanno già contribuito a cambiare il sistema energetico italiano ed oggi coprono il 40% della domanda elettrica. Questa è la vera risorsa del paese sulla quale investire concretamente e che ci permetterà di ridurre sempre più la dipendenza energetica dall’estero e di fornire un contributo alla lotta ai cambiamenti climatici.La sfida oggi è certamente rappresentata dalla transizione energetica. Per avviarsi su questa strada serve però conoscere i problemi nella loro complessità, conoscere le potenzialità della ricerca e delle nuove tecnologie. Serve ad esempio sapere che già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi e che il potenziale per il biometano, che può essere immesso in rete, è in Italia di oltre 8 miliardi di metri cubi: il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme oggetto del referendum.Le ragioni economiche.Il successo delle rinnovabili in Italia ha ridotto drasticamente il prezzo dell'energia elettrica, ben prima che i prezzi del petrolio crollassero, portando concorrenza nel mercato, riduzione delle bollette (dove, per sfatare un altro mito, ovvero che le rinnovabili sarebbero pagate care in bolletta, va detto che gli incentivi alle rinnovabili pesano solo per lo 0,3% nel bilancio di una famiglia media italiana), miglioramento della bilancia energetica e aprendo una nuova importantissima filiera industriale. Oggi tutto sta cambiando: le rinnovabili costituiscono il presente ed il futuro dello sviluppo e rappresentano la prima voce di investimento nel mondo, mentre le fonti fossili rappresentano il passato e gli investimenti in questo settore sono crollati e il 35% delle compagnie petrolifere, secondo l’ultimo rapporto della società di consulenza Deloitte, è ad alto rischio di fallimento già a partire dal 2016, con un debito accumulato complessivamente di 150 miliardi di dollari.Inoltre, al contrario di quanto si dice, le estrazioni petrolifere non rappresentano una risorsa significativa per le casse dello Stato, anche perché le società godono di royalties tra le più basse al mondo e franchigie molto vantaggiose.Le ragioni occupazionali.Il tema occupazionale è un tema delicato e importante, ma va affrontato senza intenti propagandistici, sapendo che la transizione energetica porterà inevitabilmente a una grande ristrutturazione industriale. Al di là del balletto delle cifre, a cui abbiamo assistito in queste settimane, le stime ufficiali (fonte Isfol) riguardanti l’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia parlano di 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme oggetto del referendum. Parliamo di un settore già in crisi da tempo, indipendentemente dal referendum, per la riduzione dei consumi nazionali di gas e petrolio e la mancanza di una seria politica energetica nazionale. Se vince il Sì, le piattaforme non chiuderanno il 18 aprile ma saranno ripristinate le scadenze delle concessioni rilasciate, esattamente come previsto prima della Legge di Stabilità 2016. Lo smantellamento obbligatorio delle piattaforme, inoltre, potrà creare nuova occupazione. Piuttosto, per le politiche volute dagli ultimi governi ed aggravate dal governo Renzi, nel 2015 si sono persi circa 4 mila posti nel solo settore dell’eolico e 10mila in tutto il comparto. L’unico modo per garantire un futuro occupazionale duraturo è quello di investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Tutte le previsioni parlano di un settore delle rinnovabili in espansione, che in Italia potrebbe generare almeno 100mila posti di lavoro al 2030, cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia.Le ragioni ambientali.Le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi possono avere un impatto rilevante sull’ecosistema marino e costiero. L’attività stessa delle piattaforme può rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose, come olii, greggio (nel caso di estrazione di petrolio), metalli pesanti o altre sostanze contaminanti (anche nel caso di estrazione di gas), con gravi conseguenze sull’ambiente circostante. Va poi considerato che i mari italiani sono mari “chiusi” e un eventuale incidente sarebbe fonte di danni incalcolabili.Inoltre la ricerca di gas e petrolio, che utilizza la tecnica dell’air gun, può incidere in particolar modo sulla fauna marina e su attività produttive come la pesca. Infine da non sottovalutare è il fenomeno della subsidenza nell’Alto Adriatico, per il quale l’estrazione di gas sotto costa resta il principale contributo antropico che causa la perdita di volume del sedimento nel sottosuolo generando un abbassamento della superfice topografica, che accresce l’impatto delle mareggiate e delle piene fluviali e l’erosione costiera, con perdita di spiaggia ed effetto negativo sulle attività turistiche rivierasche.Le ragioni etiche e culturaliInvitare all’astensione in una consultazione democratica è sempre un atto di irresponsabilità civile e politica, che non può che aggravare la grande malattia delle democrazie contemporanee: l’astensione dilagante. Inoltre questo referendum, al di là del significato letterale del quesito, e del rapporto con i ricorrenti fenomeni di corruzione, che sono emersi di nuovo in questi giorni, chiede di assumerci una personale responsabilità per il futuro del nostro paese sul fronte dei cambiamenti climatici e del futuro di noi tutti : la produzione di idrocarburi ci fa rimanere legati a un sistema energetico ormai obsoleto che causa l’alterazione delle dinamiche del sistema climatico . Un problema su cui il nostro governo ha un atteggiamento schizofrenico, perché da un lato sottoscrive accordi internazionali e si impegna a perseguire le politiche Europee sulla transizione energetica, dall’altro, però, continua a sostenere, sul fronte interno, le lobby delle società petrolifere boicottando le rinnovabili e favorendo le trivellazioni.Per tutte queste ragioni il voto del 17 aprile ha un significato importantissimo: siamo chiamati a dire se vogliamo continuare una politica energetica basata sugli idrocarburi e legata al passatoo se vogliamo che l’Italia si incammini senza incertezze lungo la strada della transizione energetica alle rinnovabili.Votiamo Sì perché vogliamo che il governo intraprenda con decisione la strada della transizione energetica per favorire la ricerca e la diffusione di tecnologie e fonti energetiche che ci liberino dalla dipendenza dai combustibili fossili.Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto ClubLuca Mercalli, Presidente Società Italiana di MeteorologiaFlavia Marzano, Professore Metodologie e tecniche della ricerca sociale alla Link Campus UniversityGiorgio Parisi, Professore Ordinario di teorie quantistiche all’Università La Sapienza di RomaVincenzo Balzani, Professore emerito dell’Università di Bologna e Accademico dei LinceiMario Tozzi, geologo, Primo ricercatore CNREnzo Boschi, già Presidente Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia (INGV) e professore Geofisica della Terra Università di BolognaMarcello Buiatti, già Professore di Genetica all’Università di FirenzeStefano Caserini, Professore mitigazione del cambiamento climatico, Politecnico di Milano, Coordinatore “Climalteranti.it”Nicola Armaroli, Chimico, Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle RicercheGiuseppe Barbera, Professore Ordinario di Colture Arboree all’Università degli Studi di PalermoMassimo Bastiani, Coordinatore Tavolo Nazionale Contratti di FiumeAlberto Bellini, Professore associato presso Università degli studi di BolognaGiorgio Bignami, già Direttore Laboratorio Fisiopatologia di organo e di sistema, Istituto Superiore SanitàFerdinando Boero, Professore Ordinario di Zoologia e Biologia Marina all'Università del SalentoRaffaele Boni, DVM PhD Department of Sciences Università della BasilicataFederico Butera, Professore Ordinario di Fisica presso il Politecnico di MilanoGemma Calamandrei, Biologa, Primo ricercatore, Istituto Superiore di SanitàDonatella Caserta, Professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia Università di Roma SapienzaSergio Castellari, Ricercatore, Risk Assessment and Adaptation Strategies, Centro EuroMediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC)Mauro Ceruti, Professore Ordinario di Filosofia della scienza, IULMCarmela Cornacchia, Ricercatore CNRAnnalisa Corrado, Ingegnere energeticoPier Luigi Cristinziano, Ricercatore, Università degli studi della BasilicataMariateresa Crosta, INAF - Osservatorio Astrofisico di TorinoMario Cucinella, Architetto e designerAntonio Di Natale, Segretario Fondazione Acquario di GenovaPaolo Fanti, Professore Associato, Dipartimento di Scienze - Università della BasilicataMarco Frey, Professore Ordinario di economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore S. Anna di PisaMario Gamberale, Ingegnere energeticoBeppe Gamba, Esperto sviluppo sostenibileMarino Gatto, Professore Ordinario di Ecologia al Politecnico di MilanoGianvito Graziano, GeologoGiuseppe Grazzini, Professore Ordinario di Fisica Tecnica, Dipartimento Ingegneria Industriale, Università di FirenzeMaurizio Lazzari, Ricercatore CNRMario Malinconico, Ricercatore CNR, Istituto Polimeri compositi e BiomaterialiEleonora Barbieri Masini, Professore emerito Facoltà di Scienze Sociali Università GregorianaAndrea Masullo, Direttore Scientifico di GreenaccordGianni Mattioli, FisicoMassimo Moscarini, già Direttore Dipartimento Materno e Infantile Università La Sapienza RomaBeniamino Murgante, Professore associato Università degli studi BasilicataGabriele Nolè, Ricercatore TD, Imaa CNRAngela Ostuni, Ricercatrice, Università degli Studi della BasilicataFranco Pedrotti, Professore Emerito dell’Università di CamerinoValentino Piana, Direttore dell'Economics Web InstituteSandro Polci, SociologoFrancesco Ripullone, Scuola di Scienze Agrarie, Forestali Alimentari ed Ambientali, Università degli Studi della BasilicataGianluca Ruggieri, Ricercatore Università dell'InsubriaValerio Sbordoni, Professore ordinario di Zoologia Università Tor Vergata RomaMassimo Scalia, FisicoAngelo Tartaglia, Professore Fisica generale Politecnico di TorinoValerio Tramutoli, Professore associato di Fisica del Sistema Terra e del Mezzo Circumterrestre presso la Scuola di Ingegneria della Università della Basilicata – PotenzaSergio Ulgiati, Professore Analisi ciclo di vita Università degli Studi Parthenope di NapoliBoris Zobel, Psicopedagogista
venerdì 8 aprile 2016
martedì 5 aprile 2016
lunedì 4 aprile 2016
Rolling Stones y Cuba: ese extraño país donde para censurar el rock organizan 13 festivales cada año
Rolling Stones y Cuba: ese extraño país donde para censurar el rock organizan 13 festivales cada año
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http://www.cubainformacion.tv/index.php/lecciones-de-manipulacion/68146-rolling-stones-y-cuba-ese-extrano-pais-donde-para-censurar-el-rock-organizan-13-festivales-cada-ano
Ver este mismo video en Youtube
http://www.cubainformacion.tv/index.php/lecciones-de-manipulacion/68146-rolling-stones-y-cuba-ese-extrano-pais-donde-para-censurar-el-rock-organizan-13-festivales-cada-ano
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José Manzaneda, coordinador de Cubainformación.- En Cuba hay bandas de rock en todos sus géneros: desde el heavy metal al hardcore (1), pasando por el death metal, el rock alternativo o el punk (2). Agrupaciones locales e internacionales participan en 13 festivales (3), como el Caimán Rock (4), el Brutal Fest (5) o el Festival Metal HG (6). Como experiencia única en el mundo, existe una Agencia Cubana del Rock (7), propiedad del Estado, que favorece la distribución y contratación de bandas (8).
Por eso, escuchar esto en el canal español La Sexta, en su cobertura sobre el reciente concierto de The Rolling Stones en La Habana, es casi alucinante: “Cuba ha vibrado al son de sus `satánicas majestades´ (…) enseñando su característica lengua por esos 40 años de censura del rock en la Isla” (9).
Otro canal español, Cuatro, repetía este mismo disparate. Pero ahora la supuesta “censura” se limitaba a la música de la banda británica: “Porque la música de la legendaria banda de rock británica había estado prohibida en Cuba hasta ahora” (10).
La misma mentira era repetía por Antena 3, otro canal español: The Rolling Stones “desplegaron su energía en la misma Isla donde sus acordes estaban prohibidos hasta hace poco”. (11)
Otros medios no llegaban a tanto. Pero repetían, con machacona precisión, un mismo mensaje: ahora no, pero hace décadas la Revolución cubana “censuró” (12), “discriminó” (13) o “prohibió” el rock (14). “Tras la Revolución de 1959, las bandas de rock como The Rolling Stones eran consideradas subversivas y sus discos estaban prohibidos”, decía el canal alemán Deutsche Welle (15).
Es cierto que, en los primeros años de la Revolución y hasta la mitad de la década de los 70, el rock en idioma inglés no era programado en las radios (16). Pero jamás estuvo prohibido (17).
Desde aquel período, han pasado ya 40 años. Por ello, si una persona con 45 años –como la escritora cubana Wendy Guerra, en un artículo en El País- nos cuenta que “nos prohibieron (la música de los Stones) durante un tiempo tan largo como su propia carrera” sencillamente está mintiendo (18).
Los medios internacionales repetían, además, un segundo mensaje: que el concierto se debió a una supuesta “transición”, a una “apertura”, incluso a una "primavera" política en Cuba. “Un concierto que marcó la apertura cultural de Cuba” (Deutsche Welle TV) (19). “Un evento histórico que demuestra que la apertura de Cuba hacia Occidente, aunque lenta, es ya imparable” (Cuatro TV) (20). “Hay que añadir (a este concierto) la dimensión histórica, en una Cuba que parece estar en transición, con muchos cambios” (Antena 3 TV) (21).
Pero si The Rolling Stones –y otras grandes bandas- no actuaron antes en la Isla no fue por obstáculos desde Cuba, que no fueran los económicos. Ya hubo grandes conciertos gratuitos en La Habana, como el de Manic Street Preachers en 2001 (22) y el de Audioslave en 2005 (23). Todos –como ahora el de los Stones- fueron costeados por los artistas (24). No es Cuba la que está realizando una apertura cultural al mundo. Lo que ha cambiado realmente es que el Gobierno de EEUU –y los medios de comunicación que le acompañan- han relajado su agresión política a Cuba. Y ahora, para una banda como The Rolling Stones actuar en la Isla ya no supone un alto riesgo de represalias y campañas de desprestigio (25). Sino más bien todo lo contrario.
Una última reflexión: en casi todas las noticias se asocia este gran concierto con los absurdos e incomprensiones hacia el rock que ocurrieron en los años 60 en Cuba. En aquellos mismos años, en EEUU, existían –por ejemplo- leyes de segregación racial, que fueron abolidas en 1965 y tardaron aún años en ser aplicadas en todo el país (26). ¿Por qué los medios no hacen mención de esta parte de la historia cuando informan sobre las frecuentes muertes de ciudadanos negros a manos de la policía de EEUU (27)? ¿En qué escuela de periodismo enseñan a aplicar este curioso doble rasero?
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