mercoledì 19 ottobre 2011

Giustizia: una nuova Legge Reale?... no grazie


Giustizia: una nuova Legge Reale?... no grazie


http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/giustizia-una-nuova-legge-reale-no-grazie

www.linkontro.info, 19 ottobre 2011

Antonio Di Pietro ha evocato una legge Reale bis per fronteggiare e colpire i devastatori del 15 ottobre. Mai citazione fu più improvvida. Quella legge costituì il primo tassello di una legislazione penale dell’emergenza che travolse il diritto penale ordinario e liberale. Per lunghe 48 ore si poteva essere fermati dalla polizia senza controllo giurisdizionale, anche laddove non si era stati colti in flagranza di reato.
A seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, le 48 ore sono divenute 24, e nei successivi due giorni vi deve essere la convalida dell’arresto. In quelle 24 o 48 ore di opacità all’interno delle caserme o dei commissariati si consumano le violenze, si calpesta l’habeas corpus. Lo dicono i più significativi cultori del diritto penale classico, lo affermano gli organismi interazionali che si occupano di prevenzione della tortura.
Il fermo di polizia non controllato dai giudici è pericoloso. È l’impianto scelto da Bush e Blair per fronteggiare i combattenti criminali senza affidarsi al diritto e alle Corti. A Guantanamo vi erano e vi sono individui fermati e mai sottoposti a giudizio di convalida. Il fermo di polizia prolungato assomiglia a una detenzione arbitraria. Evocare una legge Reale bis significa di fatto estendere il fermo di polizia e l’uso della armi oltre quanto già avviene.
Negli anni 70 troppi sono stati i giovani finiti in caserma a soggiornare senza un plausibile motivo che non fosse la barba lunga o l’eskimo. Il diritto penale che piace a Di Pietro è un diritto penale caro alla destra. A noi piace un diritto penale che, nel rispetto delle garanzie costituzionali, giudichi i fatti e non le idee o gli stili di vita. Non è possibile, inoltre, evocare nuove leggi a ogni occasione. Non si deve legiferare mai sull’onda dell’emotività. I fatti di sabato scorso richiedono una riflessione politica. Infine la nostra solidarietà a Pannella che 33 anni fa, con un referendum, cercò di abrogare la legge Reale.

Il ruolo delle polizie durante le manifestazioni

In questi giorni si è discusso in modo approssimativo e superficiale di violenza e di non-violenza. Commentatori improvvisati e poco credibili (vedi Gasparri e Alemanno) hanno fatto il loro consueto predicozzo contro la sinistra, genericamente intesa, accostandola alla violenza. Non è di questo che vogliamo parlare bensì del ruolo che la polizia dovrebbe avere in occasioni come quella dello scorso sabato 15 ottobre. Il ruolo delle forze dell’ordine in uno stato democratico di diritto deve essere quello di proteggere le persone e assicurare loro l’esercizio dei diritti costituzionali.
Esiste un bel documento del Consiglio d’Europa che ben spiega agli Stati come le forze di polizia debbano comportarsi nelle manifestazioni pubbliche, come debbano prevenire le violenze, quale debba essere il loro linguaggio, finanche come debbano marciare o muoversi in luoghi pubblici. Fare i caroselli con i blindati o marciare compatti urlando all’unisono è una brutta simbologia. Sarebbe bello se su ogni divisa ci fossero un nome e un cognome. Le polizie devono essere i soggetti istituzionali promotori e protettori dei diritti umani. Da loro siamo tristemente abituati invece a difenderci, a nasconderci anche quando non abbiamo niente da nascondere, anche quando stiamo esercitando diritti fondamentali che le stesse polizie avrebbero dovuto per tempo garantire.
Sabato scorso non ci sono state le brutalità di altre occasioni. Ma ancora una volta si è avuta l’impressione che le forze dell’ordine non stessero svolgendo il loro ruolo in modo neutro. Nel nostro paese è accaduto che esse si siano messe a disposizione del potere reazionario. Non è questo che dovrebbe accadere in una democrazia avanzata. La violenza nelle manifestazioni di massa è una eventualità che va sempre tenuta in conto. Non si può non prevedere. Non prevederla, lasciarla sfogare assomiglia tanto al comportamento di quei poliziotti penitenziari che lasciano aperta la cella di un pentito per farlo pestare da un altro detenuto. L’anomalia italiana è anche questa: non riuscire a fidarsi di chi ha un ruolo pubblico così importante.

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