sabato 24 marzo 2012

SAVIANO, TRA IGNORANZA E SERVILISMO


SAVIANO, TRA IGNORANZA E SERVILISMO
Il guru dei "progressisti" allergico alle rivoluzioni
 

di Adriano Lotito (*)

Il materialismo storico (e l’esperienza concreta di tanti secoli) insegna come in un dato contesto sociale, la cultura e i suoi portatori, gli intellettuali, siano espressioni più o meno dirette degli interessi della classe dominante. Questa semplice affermazione lungi dal voler essere un refrain dogmatico è uno degli assunti dal quale centocinquant’anni fa Marx scatenò la sua critica all’ordine sociale esistente ed è lo stesso assunto sul quale Gramsci impostò un’attenta analisi del servilismo degli intellettuali nei regimi borghesi.
Questa constatazione, utile per demistificare le parvenze ideologiche della “società civile”, vale ancora di più ai giorni nostri, giorni di crisi ma anche di lotte infuocate che attraversano il continente europeo (e non solo) e non accennano ad arrestarsi. Giorni turbolenti per gli interessi del grande capitale, che vuole cercare la ricetta migliore per anestetizzare le masse e procedere alla macelleria sociale. Ed ecco che nelle situazioni più difficili ritornano i cari amici intellettuali (o presunti tali) e giornalisti, sempre disposti a spargere un po’ di pace e riformismo sul fuoco della lotta di classe. E se il giornalista in questione, ma anche intellettuale (o sedicente tale), profeta e intoccabile guru mediatico, si chiama Roberto Saviano, allora si capisce che bella trovata sia stato il suo articolo pubblicato su Repubblica del 28 febbraio scorso. Il titolo è già un programma (prevedibile): “Elogio dei riformisti”. Più esplicito di così, non si può!

I cattivi comunisti contro il povero e pacifico TuratiNell’articolo in questione, Saviano recensisce un saggio di un giovane professore di sociologia, Alessandro Orsini, intitolato “Gramsci e Turati. Le due sinistre”. La comune tesi di fondo è che le lotte che stanno conducendo i lavoratori, gli studenti e con loro il popolo valsusino, siano espressioni di una cultura politica intollerante, prodotto storico della tradizione rivoluzionaria del comunismo italiano, "da sempre maggioritaria" (noi non ce ne siamo mai accorti) e caratterizzata da un unico dogma: “l’odio per i riformisti” e in particolare per il loro indiscusso leader, Turati.
Saviano si lancia così in una sperticata lode del riformismo, dei suoi principi di tolleranza e dialogo, della sua (presunta) volontà di migliorare poco a poco le condizioni di vita dei lavoratori (si tratta del famoso programma minimo che rinvia alle calende greche la presa del potere; un programma, all'insaputa di Saviano, già archiviato da due secoli di esperienza concreta del movimento operaio). “I riformisti (...) non credono nella società perfetta, ma in una società migliore che innalzi progressivamente il livello culturale dei lavoratori e migliori le loro condizioni di vita anche attraverso la partecipazione attiva alla gestione della cosa pubblica”.
Ecco riesumata una concezione della politica priva del minimo realismo e totalmente inadatta tanto più oggi, dal momento che persino i minimi spazi di "riforma" sono stati progressivamente riassorbiti dalla stessa borghesia che li aveva concessi in momenti di maggiore prosperità, quando la situazione economica permetteva la concessione di qualche briciola alle classi subalterne; briciole che in tempo di crisi sono le prime ad essere tolte dalla tavola.
Nelle parole di Saviano, Turati diventa così il martire che si è sacrificato sull’altare del riformismo, nella sua “eresia” di coniugare il socialismo e il liberalismo: “La violenza, l'insulto e l'intolleranza rappresentano la negazione del socialismo”. Qui la falsificazione storica e politica raggiunge l’apice: Saviano si riferisce forse allo stesso Turati che appoggiò la carneficina della prima Guerra Mondiale, sostituendo la lotta di classe con le sue nauseanti esternazioni patriottiche? Parla di quel Turati che s’impegnò nella smobilitazione degli operai dalle fabbriche occupate nel Biennio Rosso, firmando un compromesso farsesco con i padroni e i liberali e aprendo di fatto le porte alla rappresaglia fascista? Ebbene si, Saviano si riferisce proprio a lui e non c’è nemmeno tanto da stupirsi se si pensa che questo nuovo eroe dei giorni nostri, il ragazzo "che ha sfidato la camorra", ha anche impiegato tanto inchiostro per spiegarci come lo Stato sionista di Israele, con le sue leggi razziste e i suoi muri, sia “un luogo di libertà e accoglienza”.
Questo ultimo esercizio intellettuale non è che un’ulteriore conferma di quello che sapevamo già da tempo: cioè che Saviano, nuovo maitre à penser della sinistra "progressista", è in realtà uno dei più fedeli e servili (per usare un termine che avrebbe impiegato Gramsci) intellettuali di regime, tanto più efficace quando più venerato da larghe schiere di fan, ideologo del nulla avvolto in fiumi di retorica buonista, paladino dei giovani e di (finte) battaglie etiche, lautamente stipendiato dalla borghesia buona, quella che alterna Prodi e Monti a Berlusconi (sempre con lo scopo di colpire studenti e lavoratori).

Gramsci e Togliatti: un po’ di confusione...Ma chi sono questi comunisti violenti e intolleranti a cui Saviano attribuisce quel sano e naturale odio di classe che in questi mesi stanno manifestando i lavoratori di tante parti del mondo? Il primo imputato è Gramsci, accusato di denigrare e offendere gli avversari politici, facendosi così portavoce di una “pedagogia dell’intolleranza” che a Saviano (e ai padroni) proprio non va giù. E su questo anche noi non abbiamo nulla da controbattere: si, Gramsci è stato giustamente intollerante contro i grandi industriali e contro i deputati liberali che avevano condotto milioni di lavoratori italiani al massacro nella Grande Guerra, che avevano mandato l’esercito a sgomberare le fabbriche occupate dagli operai, che avevano dato adito (e finanze) alle camicie nere in funzione repressiva antioperaia. Gramsci è stato un autentico rivoluzionario, tanto da meritarsi l’elogio di Lenin che vide in lui e nella corrente da lui rappresentata alla fine degli anni Dieci, l’Ordine Nuovo, un costruttore di quel partito realmente rivoluzionario che potesse portare anche il proletariato italiano alla conquista del potere.
Ma, dopo aver sistemato Gramsci, Saviano si rivolge nientemeno che a Palmiro Togliatti, e qui dimostra tutta la sua ignoranza storica mista a grandi dosi di confusione politica. Per Saviano anche Togliatti è nella lista dei cattivi, cioè dei rivoluzionari. Ma basterebbe leggere qualche libro di storia (di quelli non falsificati) per sapere che Togliatti in realtà è stato il fondatore di un riformismo molto più subdolo ed efficace di quello dell’ingenuo Turati: non a caso è stato proprio il segretario del Pci a darsi da fare per impedire la rivoluzione in Italia negli anni Quaranta, deviando e disarmando la Resistenza secondo le direttive della burocrazia stalinista (di cui fu uno dei massimi esponenti), accordandosi con i democristiani e guadagnandosi la poltrona ministeriale da cui concesse l'amnistia ai fascisti, passaggio preliminare alla ricostruzione dell'apparato statale borghese. Insomma, Togliatti è proprio un’altra storia, molto più simile a quella di Turati che non a quella di Gramsci. Non a caso fu Togliatti a isolare politicamente Gramsci in carcere e a fare in modo che non ne uscisse, rimuovendo così un ostacolo alla stalinizzazione del Pci (e poi utilizzando la figura imbalsamata di Gramsci e capovolgendone l'opera per farne il presunto ideatore della riformista "via italiana al socialismo"). Se Saviano conoscesse la storia, Togliatti dovrebbe piacergli tanto quanto gli piace Turati.
 
La reazione degli stalinisti: Rivoluzione? Ma anche no!Fin qui l'articolo di Saviano. Ma all’indomani della pubblicazione si è scatenata la reazione di quel che rimane dello stalinismo italiano. La risposta dell’Associazione MarxXXI (animata tra gli altri dall'ex area dell'Ernesto, uscita dal Prc per confluire... nel Pdci, unito nella Fed col Prc), attraverso vari articoli, è ancora più ambigua e contraddittoria delle tesi cui si vuole ribattere ed è una efficace dimostrazione di quel che Lenin chiamava “filisteismo” riformista. Ebbene gli stalinisti cosa fanno davanti ad un attacco così plateale diretto contro il concetto stesso di rivoluzione? Naturalmente cercano in ogni modo di difendere Gramsci (e Togliatti)… dalla accusa di essere dei rivoluzionari! Ecco così che le parole con cui Gramsci decapitava il riformismo turatiano divengono degli errori infantili di “un giovane polemista dalla penna troppo tagliente”, parole assolutamente sbagliate ma che si giustificano tenendo conto del contesto storico rovente (sic!).
Non è a tutti evidente come questa sia una chiara concessione all’opportunismo? D’altra parte è utile ricordare le parole di Lenin ne “Il fallimento della II Internazionale” (1915), per comprendere il senso della pubblicistica neostalinista: “Lo sviluppo dell’opportunismo nei partiti socialdemocratici (leggi rivoluzionari, ndr.) favorisce tale rielaborazione del marxismo (in chiave riformista, ndr.), che viene adattato in modo da giustificare qualsiasi concessione all’opportunismo”.
E Togliatti? Gli stalinisti si affrettano a ricordare, per chi non lo sapesse, che Togliatti è stato “uno dei padri della democrazia e della Costituzione italiane” (infatti, aggiungiamo noi: un pezzo di carta in cambio del tradimento della Resistenza) e più che un rivoluzionario può essere dunque considerato “alla stregua di un prudente Cavour del Novecento”. Ecco finalmente una cosa su cui concordiamo con gli stalinisti: definire Togliatti "un Cavour del Novecento" ben sintetizza la celebre "doppiezza" togliattiana: rivoluzionario a parole e opportunista nei fatti.
Quanto a Gramsci e alla rivoluzione, non ci si può aspettare che vengano difesi da chi fino a ieri appoggiava i governi borghesi e antioperai in parlamento e votava la precarietà, le guerre e i lager per gli immigrati.
In conclusione, pur senza accorgersene, gli stalinisti e Saviano convergono nel rifiutare nei fatti, pur con parole diverse, la rivoluzione, che entrambi considerano in definitiva come una cosa vecchia e frutto "dell'intolleranza". Purtroppo per loro gli "indignati" di mezzo mondo si alimentano appunto da quella sana intolleranza per il capitalismo che già sta mobilitando in questi mesi milioni di operai e di giovani. Purtroppo per loro le rivoluzioni non sono una cosa del passato ma fanno parte di un possibile futuro che è già iniziato nelle piazze. Con buona pace di Turati e di Togliatti, ma anche di Saviano, Vendola, Diliberto e Ferrero.
 
(*) coordinatore Giovani di Alternativa Comunista
 
 

Partito di Alternativa Comunista
Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

www.alternativacomunista.org

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