Articoli de "Il Tirreno" sui bidoni tossici nel Tirreno di fronte a Livorno
I fusti mancanti potrebbero essere lì
Il bidone agganciato dai pescatori in una zona mai setacciata
Il bidone agganciato dai pescatori in una zona mai setacciata
di Donatella Francesconi wVIAREGGIO Quando mancano pochi minuti all’una di notte il camion della Labromare lascia la banchina del Mercato ittico di Viareggio: a bordo, conservato in un contenitore apposito, c’è il fusto tossico pescato dal “Giaguaro”, barca di Filippo Artese, otto miglia ad Ovest della Gorgona, 23 dalla costa viareggina. Blu, in parte squarciato, il contenitore è stato riconosciuto come uno di quelli caduti dall’Eurocargo “Venezia” il 17 dicembre 2011 a largo di Livorno, mentre l’imbarcazione partita da Catania navigava diretta a Genova. Alessandro Russo, tenente di vascello in forza alla Capitaneria di Marina di Carrara, da dicembre è a Livorno per occuparsi del caso dei bidoni contenente materiale tossico finiti in fondo al mare. A lui il compito di effettuare un vero e proprio “riconoscimento” del contenitore ritrovato dal peschereccio. Armato di computer ha confrontato le foto raccolte in questi mesi e verificato lo spessore del fusto, prendendo a riferimento anche la simbologia sull’etichetta, in parte rimasta sull’esterno del bidone. Fino a concludere che era proprio lui, il settantesimo fusto mancante. Perché sembra impossibile, ma un carico di questo genere, trasportante merce che a contatto con l’aria è soggetto ad autocombustione, è dotato di etichette adesive e non impresse in maniera permanente sull’esterno. Del ritrovamento è stata informata la Procura di Lucca, (sulla vicenda indaga invece quella di Livorno) nella persona del pm Giuseppe Amodeo, uno dei due impegnati sul fronte del disastro ferroviario del 29 giugno a Viareggio, che ha dato disposizioni affinché il contenitore fosse sequestrato. «Questo ritrovamento - ha dichiarato Alessandro Russo, appena arrivato in porto a Viareggio - ci potrà dire molto sugli altri fusti che ancora restano da ritrovare». Quello pescato dal “Giaguaro”, infatti, non è il primo fusto che resta impigliato in una rete, ma è il primo «ad essere stato ritrovato fuori dalla zona individuata per le ricerche». Filippo Artese, sceso dal peschereccio visibilmente preoccupato del carico trasportato (nel corso della navigazione il marinaio a bordo ha continuamente tenuto bagnato il fusto) è stato ascoltato fino alle 23,30 negli uffici della Capitaneria di porto di Viareggio. «Avevamo detto a gran voce - ricordano i pescatori della cooperativa Copav alla quale Artese appartiene - che il “cerino” in mano sarebbe rimasto a noi... Che in questa storia rischiamo di rimetterci il nostro lavoro». Sulla vicenda interviene al senatrice Manuela Granaiola, tra i primi a seguire l’intera vicenda: «Ad oggi la Grimaldi Lines, proprietaria della nave, non ha ancora spiegato se e come cercherà di individuare i fusti ancora dispersi. È evidente che la vicenda è stata largamente sottovalutata e che bisogna al più presto assumere adeguate iniziative sia sul piano normativo che procedurale per evitare il ripetersi di fatti del genere; ma intanto bisogna che le operazioni di recupero continuino perché il Mar Tirreno corre un rischio incalcolabile».
I cassoni stoccati alla Labromare
Si discute se smaltirli o riciclare il contenuto. «Nessun pericolo negli spostamenti»
in porto
Si discute se smaltirli o riciclare il contenuto. «Nessun pericolo negli spostamenti»
in porto
di Giulio Corsi wLIVORNO Dopo quasi sette mesi dal giorno della partenza da Catania - il 15 dicembre 2011, a bordo del cargo Venezia della Grimaldi - i 127 bidoni recuperati a giugno dalla nave Sentinel stanno finalmente per toccare terra. Da 10 giorni i 127 bidoni e i 21 sacchetti fuoriusciti e fatti riemergere nelle operazioni di recupero, si trovano “parcheggiati” sul pontone Caronte della società Neri, in Darsena Uno, racchiusi in 17 cassoni stagni. Che ne sarà di tutto quel materiale? Il suo futuro doveva essere in Lussemburgo. Ma il percorso che dovrà seguire è ancora incerto. Perché c’è da capire come sarà catalogato quello che per mesi abbiamo chiamato veleno: rifiuti oppure no? In ballo c’è il valore economico degli ormai famosi catalizzatori che erano trasportati sui due rimorchi precipitati nel nostro mare durante il tragitto Catania-Genova. Valore notevole che all’armatore e al proprietario del carico non dispiacerebbe poter recuperare. Ad ogni modo si tratta di una questione che per Livorno è secondaria. Adesso il problema principale (dopo la priorità di ripartire con la ricerca degli 86 bersagli mancanti) è la gestione a terra, in porto, del materiale recuperato. Il piano di Grimaldi, presentato nei giorni scorsi in capitaneria, prevedeva che dopo l'attracco, tre cassoni alla volta sarebbero stati caricati su scarrabili di proprietà di Labromare e portati nello stabilimento della ditta livornese. La quale a sua volta aveva previsto la realizzazione di appositi spazi dove svuotare i cassoni dell’acqua di mare (in cui sono conservati i bidoni in modo da evitare il contatto con l’aria e cancellare i rischi di infiammabilità), estrarre ed aprire i fusti e poi procedere al campionamento per verificare lo stato dei catalizzatori e la possibilità di un loro nuovo utilizzo dopo la rigenerazione. Ma prima la Provincia e poi l’Arpat hanno dato l’alt. «Serviva una diversa razionalizzazione degli spazi all’interno della Labromare che permetta di conciliare l’attività quotidiana con l’arrivo dei contenitori», spiega il capo dell’Arpat livornese Stefano Rossi. Problema che Labromare ha immediatamente provveduto a risolvere. Intanto il tavolo istituzionale formato tra gli altri da capitaneria, Arpat, Provincia, Regione e Autorità Portuale, è in attesa di sapere da Grimaldi se c’è l’intenzione di fare in porto una verifica sulla condizione del materiale oppure si vuol procedere il prima possibile all’invio in Lussemburgo dei bidoni e dei sacchi all’interno dei cassoni. Prima di qualsiasi operazione l’Arpat provvederà comunque ad effettuare un campionamento del contenuto dei sacchi recuperati per accertare lo stato del catalizzatore, assicurando le opportune condizioni di sicurezza, tenuto conto della reattività con l'ossigeno del materiale (in altre parole la sua infammabilità a contatto con l'aria). Secondo l’agenzia e secondo gli esperti di Labromare non ci sono tuttavia pericoli di alcun tipo. «Nei prossimi giorni i cassoni saranno scaricati dal pontone e stoccati nei nostri impianti autorizzati dalla Provincia per questo lavoro», conferma il responsabile dell’area gestionale di Labromare, Eugenio Fiore. Poi arriveranno i test Arpat. E poi - si spera presto - quel carico maledetto prenderà la strada per il Lussemburgo o per lo smaltimento.
Comune e Provincia «E’ il momento della Marina»
Il bidone rimasto impigliato nella rete del peschereccio Giaguaro (siamo a 112 bersagli inquinanti tolti dal mare, ne mancano ancora 86; nel computo dei 148 bersagli recuperati ci sono anche 30 bidoni vuoti) lascia le porte aperte alla speranza: c’è ancora la possibilità di trovare i fusti-fantasma nel mare attorno alla Gorgona. E le operazioni condotte da Castalia a bordo di Minerva Uno e Sentinel non hanno esplorato tutti i fondali in cui si doveva cercare. Ora toccherà alla nave Magnaghi della Marina dare la caccia ai fusti dispersi. E la pesca fortunata del Giaguaro potrebbe rappresentare l’indizio decisivo per setacciare una nuova zona di mare in cui le correnti potrebbero aver portato tutti o una parte degli 86 bersagli mancanti. Sulla questione sono intervenuti ieri gli assessore Grassi e Nista di Comune e Provincia ed era intervenuto due giorni fa il senatore Filippi. «Torniamo a chiedere con estrema forza l'intervento della Marina Militare perché vengano recuperati tutti i bidoni dispersi dall'Eurocargo Venezia - dicono Grassi e Nista - Siamo contenti che la campagna di ricerca da parte della compagnia di navigazione abbia portato a recuperare la maggior parte dei 198 fusti dispersi. Ma l'operazione di recupero deve essere portata a termine. Se già avevamo messo in evidenza il pericolo di un inquinamento nel lungo periodo, ora è dimostrato che c'è anche un problema nell'immediato per l'incolumità di chi si trova a pescare casualmente i fusti, perché il contenuto dei bidoni a contatto con l'aria è infiammabile». Precedentemente il senatore Filippi era intervenuto nell’aula di palazzo Madama citando la petizione popolare “Togliete quei bidoni!” che ha già superato duemila firme in città e che ieri ha raccolto anche quella del regista Carlo Virzì e della moglie, ricordando al parlamento la vicenda, i ritardi, le omissioni di questi sette mesi e chiedendo l’interessamento del presidente del Senato Renato Schifani. (g.c.)

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