mercoledì 25 gennaio 2012

L’università è un bene comune, difendiamola


 L’università è un bene comune, difendiamola
Mentre il viceministro Martone ci chiama “sfigati” il governo Monti si prepara a fare l’ennesimo regalo al mercato e a confindustria a danno del sitema universitario italiano, già gravemente compromesso. Discutendo dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, il governo dimostra di condividere con l’ex-ministro Gelmini lo stesso immaginario, fatto di studenti di serie A, che potranno permettersi certi atenei, e di studenti di serie B, che dovranno frequentare atenei sottofinanziati e avranno scarse o nulle prospettive di lavoro e di vita.
Il valore legale del titolo di studio non è un orpello che mina l’efficienza del sistema universitario, ma una garanzia di equità e di qualità dell’istruzione. Abolirlo significa precipitare in un sistema alla statunitense, fatto di mercato concorrenziale tra atenei e di competizione serrata tra studenti, costretti a indebitarsi per decenni con qualche prestito d’onore (nuovo prodotto finanziario). L’incoraggiare il proliferare di titoli di studio truffa e di corsi di laurea iper-specialistici è stato ed è parte integrante di questa strategia di demolizione delle poche garanzie che conferiva il valore legale del titolo di studio, la cui definitiva eliminazione è solo funzionale ad aumentare la discrezionalità di chi assume in un paese già privo di tutele nell’accesso al mondo del lavoro.
L’università che immaginiamo noi è un’altra, e altre sono le cose da fare:
  • potenziamento del diritto allo studio e delle borse di studio, per garantire agli studenti la piena libertà di scelta nel percorso di studi indipendentemente dalle condizioni economiche, abolendo quello scandalo tutto italiano dei borsisti senza borsa
  • riparametrazione delle borse di studio e dei limiti di accesso in base al reale costo della vita (indice Istat) e progressivo ridimensioanmento del “merito” per il mantenimento delle stesse
  • investimento in edilizia studentesca per sottrarre migliaia di giovani al mercato nero degli affitti
  • internalizzazione di tutti i servizi esternalizzati e de-aziendalizazione delle ARDSU
  • scardinamento del sistema medioevale di potere interno all’accademia attraverso la democratizzazione degli organi (accesso delle categorie escluse, principio di eguaglianza) e una spinta al ricambio generazionale (pensionamenti anticipati) col riconoscimento del lavoro svolto dai migliaia di precari sottopagati che reggono il sistema e stabilizzazione degli stessi
  • investimenti nella ricerca di base ovvero valorizzazione della ricerca e tutela dell’indipendenza dalle ingerenze degli interessi privati.
  • presa d’atto del fallimento sostanziale degli obiettivi del sistema 3+2; insegnamento di qualità ovvero liberazione dalla follia dei crediti, rimodulazione dei programmi e della durata dei corsi di studio in base alle esigenze delle materie trattate non delle tabelle Europee del processo di Bologna; vincolo al mantenere una stretta connessione tra ricerca e didattica.
Diciamo ancora una volta che la crisi la deve pagare chi non ha mai pagato, e diciamolo insieme a tutte le forze sociali e culturali che lottano per il cambiamento. Costruiamo tutti insieme l’opposizione del mondo della conoscenza a questo governo e alle sue misure

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