10. Note
critiche
Di quanto socialismo
ha bisogno un partito di sinistra?
Ogni realtà è
per prima cosa spazio
Fernand Braudel
Il quanto di socialismo può essere affidato alla evoluzione
della grande crisi, al rivelamento progressivo dei suoi caratteri (dittatura
dei mercati, svuotamento dei processi democratici, radicalizzazione dei
comportamenti sociali ecc.) oppure a una scelta consapevole dei gruppi
dirigenti, fino a superare il macroscopico paradosso attuale, dato dall’assenza
di un movimento esplicitamente socialista ma dalla presenza della più grande
crisi del capitalismo.
La ragione politica consiglia, secondo me,
la seconda opzione; ma allora è necessario legare la scelta ad un confronto
approfondito. La grande crisi, tra i tanti effetti negativi, ha anche un
aspetto terapeutico positivo: riporta le questioni ai loro fondamenti e
accelera tutte le dinamiche. E sulle ragioni, che vengono da lontano, conviene ragionare, fare il “punto
nave”, come gli antichi naviganti.
In un grafico di fulminante potenza simbolica Pierluigi
Ciocca, introducendo un suo lavoro [Il
tempo della economia], fotografa il principale problema del nostro
tempo: la linea che stima la crescita economica e la linea che stima l’eguaglianza
sociale dell’ultimo secolo, negli ultimi decenni si divaricano progressivamente,
e oggi viaggiano ormai in direzione opposta.
L’eguaglianza, per la sinistra
socialista, non rappresenta un optional adattabile, ma la sua ragione d’essere,
il suo imperativo, per dirla con Norberto Bobbio.
Franco Modigliani,in un grande
studio,dimostra come una distribuzione egualitaria del reddito,sia condizione
essenziale di uno sviluppo continuo e sostenuto.
Cogliere cause ed
implicazioni-tecnologiche, produttive, sociali, politiche, culturali che
presiedono e governano tale tendenza diventa essenziale ancor più quando si
ragiona di un partito nuovo.
Nel suo grande affresco sull’oggi, Manuel
Castells parla di una Terza
Marca di capitalismo, il capitalismo informazionale, dopo il
capitalismo del laissez-faire e il capitalismo keynesiano.
Nella sostanza, un nuovo modo di produrre
- un nuovo paradigma tecno-economico - sta rivoluzionando i quadri temporali, spaziali,
istituzionali, sociali di tutti i continenti.
Dopo Manchester (nascita della prima
rivoluzione industriale), dopo Detroit (nascita del fordismo), la Silicon Vallej
è diventata il centro di irradiazione della “nuova tempesta di distruzione
creatrice”.
Siamo, secondo gli studiosi di scuola
schumpeteriana, nel pieno del quinto ciclo di Kondratieff (cotone, carbone, acciaio, petrolio,
microprocessore).
Risorse di calcolo (computer) e di
comunicazione (telefonia, reti di computer, internet), di potenza sempre
maggiore e, a costi via via decrescenti, costituiscono la rete su cui scorre la
transizione dal fordismo al nuovo modo di produrre; ma calcolo e comunicazione sono
risorse la cui particolarità sta nel produrre organizzazione, alimentando
relazioni, ordinando dati, creando significati.
Un modo di comunicare, è anche un modo di
organizzare.
L’ultima rivoluzione della comunicazione
(telegrafo, cavo sottomarino, telefono, ferrovia, radio, televisione,
satellite, calcolatore etc.) decide del passaggio dall’età moderna all’età
globale.
Le prime vittime, secondo un’antica
regola, dell’onda d’urto sprigionata dal nuovo modo di produrre - un vero e
proprio tsunami - sono proprio i sistemi più organizzati e strutturati: ciò
vale sia per i sistemi di pensiero che per le realtà produttive o
politico-istituzionali.
L’onda d’urto ha avuto un effetto
micidiale sull’insieme del discorso strategico socialista; ad andare in pezzi
sono stati soprattutto due pilastri:
– il lavoro
come dimensione collettiva;
-
lo Stato-nazione come luogo storico e strumento
principe delle politiche di
cittadinanza.
Nel linguaggio strategico, l’individualizzazione
del lavoro configura un processo di destrutturazione dello spazio sociale, la
globalizzazione dei mercati, specie dei capitali, con lo svuotamento dello
Stato-nazione, configura una destrutturazione dello spazio politico.
L’effetto combinato della
destrutturazione dei due pilastri sconvolge il triangolo Stato/nazione -
democrazia politica/cittadinanza sociale - che ha rappresentato lo spazio
politico, l’arena, all’interno della quale, in un secolare scontro/confronto -
si è costruito l’edificio dei diritti sociali, ”stecche del corsetto” della
cittadinanza democratica e, insieme, campo di forze del movimento socialista,
principale artefice di tale processo.
Ragionare a fondo su tale spiazzamento
strategico, mi sembra essenziale proprio perché una possibile controffensiva ha
di fronte a sé due bivi non aggirabili: il primo bivio implica una scelta tra “Partito
della territorialità” e” Partito della globalizzazione”, per usare la
distinzione utilizzata dallo storico Charles Maier; il
secondo bivio rimanda al principio guida che deve reggere le politiche sociali:
meriti e bisogni (Claudio Martelli) oppure capacità (capabilities) e diritti? (Bruno Trentin).
All’inizio l’analisi va posta sulle nuove
fratture sociali, perché come la frattura sociale è stata alla origine di tutte
le versioni della sinistra del Novecento, così ad essa rimarrà legato il suo
destino storico.
Anche oggi la sinistra quindi, non solo o
è sociale o non è, ma la sua forza ed il suo destino si commisurerà in definitiva,
a tale ragione originaria.
Quali sono le nuove faglie sociali,
intrinseche al nuovo modo di
produrre? Chiederselo è imprescindibile, coglierne le linee di tendenza è
essenziale, perché solo in questo modo è possibile fare i conti con l’affermarsi
del nuovo paradigma tecnologico-produttivo.
a) Si diceva della
destrutturazione dello spazio sociale
Nella suo grande opera sul capitalismo informazionale, la
sistemazione forse più profonda sulla terza marca di capitalismo, Manuel
Castells evidenzia come all’interno del nuovo modo di produrre emergano due
grandi faglie sociali, fenomeni confermati anche da tante analisi di caso: la
prima riferita al lavoro, la seconda alla condizione sociale.
Il lavoro sta vivendo una profondissima
metamorfosi. Un primo aspetto riguarda il processo di individualizzazione,
aspetto su cui si è concentrata particolarmente l’attenzione, cioè il passaggio
dal lavoro-posto al lavoro-percorso; ma c’è anche un secondo aspetto, ancor più
importante, la tendenza crescente alla sua interna polarizzazione: da una parte
cioè una specie di riartigianalizzazione del lavoro, un lavoro Microsoft,
dall’altra un lavoro generico, dequalificato, un lavoro McDonald.
Inoltre, il lavoro non solo si
individualizza e si polarizza, ma subisce un’ulteriore trasformazione; perde
parte della sua potenza e della sua capacità di integrazione sociale. In
termini politico-sociali le implicazioni sono formidabili non solo perché
proprio nel lavoro e con il lavoro si è realizzata la grande opera di integrazione
sociale dell’era moderna, ma perché l’individualizzazione, ma soprattutto la
polarizzazione del lavoro, spinge potentemente il lavoro stesso sulla china
dell’autodifesa, se non della corporativizzazione.
Il nuovo modo di produrre permette, infatti,
contemporaneamente sia l’integrazione del processo lavorativo, sia la
disintegrazione della forza-lavoro.
Le tecnologie informatiche ed
elettroniche - una volta si sarebbe detto l’uso capitalistico delle macchine- rendono possibile la disintegrazione e
la dispersione delle antiche comunità di lavoro.
Delocalizzazioni e ristrutturazioni
diffondono insicurezza.
L’obsolescenza rapida dei saperi e dei
mestieri genera erosione biografica. (Richard Sennet)
La seconda faglia si configura come un
ritorno della vulnerabilità inedita e su larga scala, cioè l’emergere e
l’estendersi del fenomeno definito esclusione sociale. In termini di struttura
sociale, tempo fa si parlava della “società dei due terzi”. Una società
”industriale” che vedeva la gran parte dei suoi membri integrata verso l’alto,
che si lasciava dietro però una fascia residuale di povertà, fascia non ancora
pienamente coinvolta dal processo di sviluppo, che affrontata però con politiche
opportune, sostanzialmente redistributive, lasciava intravedere la possibilità
di un qualche riassorbimento.
Oggi, invece, alcuni parlano di società
“dei quattro quinti” con un nucleo ristretto, collocato molto in alto in termini
di occupazione e di reddito, circondato da una grande area di precarietà e di
vulnerabilità che naviga faticosamente tra lavoro precario, occupazione
intermittente, disoccupazione.
Altri ancora di società dei “tre terzi”:
un terzo di “privilegiati”, un terzo di “deboli”, un terzo di “precari”.
Tutte le interpretazioni puntano ad
evidenziare che la marginalità non indica tanto una area periferica in via di
più o meno lento assorbimento, quanto il prodotto della “destabilizzazione
degli stabili” per dirla con Manuel Castells, l’effetto a cascata cioè
dell’onda della crisi del “centro” della società, in particolare del lavoro
salariato.
Il senso del mutamento sociale in corso,
configura una nuova questione sociale i cui elementi di fondo possono così
riassumersi: drastica riduzione della mobilità sociale verso l’alto,
destabilizzazione degli stabili, polarizzazione del lavoro e del sociale,
perdita del potere di integrazione del lavoro.
Il tema della povertà, tema eminentemente
economico e che rimanda a politiche distributive, si mescola e viene
progressivamente sovrastato dal tema della esclusione sociale, tema
eminentemente relazionale, che rinvia al la questione ben più complessa del
legame sociale, della sua rottura e della sua ricostruzione.
L’imperativo strategico per la sinistra
sta nella necessità di tenere insieme “deboli e precari”.
Ma tenere insieme deboli e precari
significa una profonda innovazione teorica ed organizzativa: si tratta di fare
i conti con i caratteri nuovi, sia della configurazione del lavoro, sia della
configurazione sociale e tutto ciò in un contesto in cui le grandi migrazioni e
l’insicurezza spingono alla etnicizzazione e alla corporativizzazione del
conflitto sociale.
Significa sinteticamente una impresa
politica che solo un nuovo “inquadramento culturale”, una profonda reinvenzione
strategica ed organizzativa del campo di forze della sinistra -politica e
sociale - possono rendere possibile.
b) Si diceva della
destrutturazione dello spazio politico
Sostiene Jurgen Habermas che la questione oggi più
importante è quella di sapere se la forza del capitalismo planetario - forza
esplosiva in senso produttivo, sociale, culturale - possa essere ricondotta
sotto controllo sul piano sopranazionale e globale, ossia al di là dei confini
nazionali.
Tale possibilità decide nella sostanza
del rapporto tra politica e mercato, se la politica “riguadagna terreno”
rispetto agli automatismi del mercato, oppure se continua a svolgere solo una
funzione ancillare; se, in definitiva, il capitalismo globalizzato possa essere
“addomesticato” o semplicemente “smorzato”.
La costruzione di “Entità Statuali
Continentali” diventa il banco di prova e insieme la condizione per innalzare
ad una nuova scala la potenza della politica.
L’esaurimento dello Stato/nazione mette
la sinistra di fronte ad un bivio: disarmo dello Stato sociale o riarmo dello
Stato-nazione; o accettare una erosione degli standard pubblici di solidarietà
sociale, oppure delineare un balzo in avanti per pensarsi e proporsi come forza
propulsiva del nuovo Stato federale europeo, sia per garantire la difesa e
l’avanzamento della strategia della cittadinanza democratica, sia per costruire
una prospettiva di governo del processo di globalizzazione.
In un saggio recente, Massimo D’Alema
sostiene che “un forte potere democratico sopranazionale non è mai stato
assunto come carattere distintivo dai partiti socialisti europei”; la radice di
tale orientamento sta probabilmente nell’errore di aver concepito la
globalizzazione come interdipendenza invece che come “rottura di confini, come
sconfinamento”, errore che non è stato certamente irrilevante per i partiti
socialisti europei, quando, al governo in tredici stati su quindici, non hanno
chiuso la partita della costruzione dello Stato federale europeo.
La globalizzazione, dal punto di vista
sociale si è rivelata come polarizzazione tra ricchi globalizzati e poveri
localizzati, dal punto di vista spaziale, come polarità tra locale e globale.
Per riportare “sotto controllo” la
potenza del capitalismo planetario, forma dalla crisi più indurita nei suoi
scopi, ma incomparabilmente più flessibile nei suoi mezzi delle forme
precedenti, è indispensabile riordinare lo spazio politico, “rifissare i
confini”.
Mentre la globalizzazione sembra
dispiegarsi attraverso una doppia dinamica (mondializzazione dei mercati -
riterritorializzazione degli interessi) una politica socialista dovrebbe
separarsi rapidamente dallo Stato-nazione ed uscire dalla cattiva polarità
locale-globale e identificarsi con il progetto dello Stato federale europeo.
Se infatti lo Stato-nazione
strategicamente è una “trincea abbandonata”, la polarità locale-globale
configura una doppia negatività, una dimensione locale sostanzialmente
ininfluente, o peggio ancora uno scivolamento verso le piccole patrie, con una
dimensione globale sostanzialmente inafferrabile.
Solo un “Partito socialista della
globalizzazione” può proporsi di rideterminare una nuova spazialità politica
come arena della contesa tra mercato e politica; può assumere lo Stato federale
europeo come suo nuovo spazio politico; può, ad un tempo, ridare allo spazio
locale la funzione di pietra angolare progressiva e, allo spazio europeo, la
potenza necessaria per un controllo multipolare del processo di
globalizzazione.
c) Si diceva
della faglie sociali
Se le faglie sociali davvero fondamentali, intrinseche al
nuovo modo di produrre sono rappresentate dalla scissione tra lavoro Microsoft
e lavoro McDonald, da una parte, e dall’affermarsi dell’esclusione sociale
dall’altra, il banco di prova per la sinistra socialista sarà rappresentato
dalla sua rinnovata capacità di produzione e strutturazione del legame sociale.
In tale prospettiva, politiche
neosocialiste come quelle derivabili dal filone teorico che va da Karl Polanj ad Amartya Sen possono
risultare particolarmente fertili.
Il tema tocca tanto le politiche sociali
che la forma Partito.
Se la struttura sociale postfordista
presenta molte analogie con la struttura sociale prefordista, straordinaria
importanza vengono ad assumere quelli che il miglior pensiero sociologico
chiama i condensatori sociali, cioè
istituti ed istituzioni che funzionino, ad un tempo, da argine versus l’atomizzazione sociale, da
produttori di azione sociale e socialità collettiva.
Condensatori sociali vecchi e nuovi vanno
pensati o riformati alla luce delle nuove faglie.
L’invenzione di nuovi istituti (Carta del
lavoro alla Alain
Supiot), la trasformazione e la riorganizzazione di istituzioni storiche
come il sindacato e la cooperazione, “l’investimento in quella che Lester Salomon chiama “Rivoluzione
Associativa”, lo sviluppo di un alto grande attore sociale come il “Movimento
Consumerista”, lo sviluppo di grandi reti comunitarie e cooperative,
rappresentano momenti essenziali della riformulazione del discorso strategico
socialista.
L’etero direzione del mercato, la
riattualizzazione continua della cittadinanza sociale e democratica
rappresentano sempre il cuore della questione che un partito socialista europeo
ha davanti, nella ridefinizione del suo profilo e del suo ruolo.
Concentrare l’analisi sui condensatori sociali vecchi e nuovi
diventa oltremodo dirimente nella riformulazione di una strategia neosocialista
per due ragioni di fondo; la prima politica, la seconda sociale: Mentre infatti
l’impresa fordista, concentrando il lavoro concentrava allo stesso tempo la
forza del suo interlocutore, l’impresa a rete, disperdendo il lavoro, lo rende
più debole e vulnerabile modificando di per sé i rapporti di forza. In secondo
luogo, l’emergere della grande faglia della esclusione sociale, cioè di un
fenomeno principalmente relazionale.
Ma la risposta ad un fenomeno
eminentemente relazionale non può esaurirsi in politiche redistributive, come
verso la povertà, ma richiede la costruzione-ricostruzione delle cosiddette
“Reti Primarie” di solidarietà, reti che la costruzione del Welfare classico ha
sostanzialmente relegato ai margini (lo statalismo ha marciato di pari passo
con l’individualismo).
Tale impresa dipenderà in definitiva,
dalla capacità di riordinare il suo intero campo di forze.
Reinventare strategia ed organizzazione
alla misura della “nuova marca” di capitalismo e delle nuove faglie sociali
rappresenta per tutti gli “insiemi” che costituiscono la sinistra l’occasione
per misurare le proprie forze e per sfuggire ad un destino da replicanti.
Il modello di partito socialista europeo
a cui pensare, europeo perché l’Europa è la patria della politica, deve
proporsi come centro motore di tale innovazione.
Per mettere mano a tale macchina politica
bisogna però individuare bene il punto di crisi e il motore della ripresa di un
partito della sinistra.
La mia convinzione è che
l’autocombustione del partito politico, avvenuta in questi anni, può
rappresentarsi nella separazione, segmentazione e spesso nella opposizione tra
militanza politica in senso stretto, militanza sociale, militanza culturale.
Senza un lavoro di ricongiunzione
(teorico, politico, organizzativo) tra queste tre dimensioni il partito
politico perde inesorabilmente il connotato della trasformazione e acquisisce
progressivamente quello della amministrazione, innescando un cortocircuito
distruttivo tra strategia e struttura.
L’errore di fondo della idea di partito
proposta al Lingotto ,cioè di un partito liberal mentre stava deflagrando la
più grande crisi del capitalismo, sta nella assenza del Presente come Storia.
Pensare di sostituire al militante,
all’iscritto, l’elettore o ancora di più il candidato, come sembra proporre Salvatore
Vassallo, può sembrare una risposta, ma sposta soltanto in avanti il problema:
solo il “partito socialista della globalizzazione” - che non può che essere il
frutto di un lavoro profondo e pianificato - capace di innervare un multiforme campo di forze, può reggere
la sfida con la nuova marca di capitalismo ed affrontare, con probabilità di
successo, i problemi nevralgici che Pierluigi Ciocca, plasticamente, ci indica
con il suo diagramma e che la crisi attuale esaspera nei suoi elementi di
fondo.
La legge antica del parallelogramma delle
forze vale per le coalizioni, ma vale anche per i singoli partiti; come si sa,
se i componenti tirano in direzioni diverse - dormono nello stesso letto ma non
fanno gli stessi sogni, per dirla con Ciu En Lai - la risultante tende a zero.
Qui siamo.
20 febbraio 2012
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