Sul fondale scoperti trenta bidoni In azione la nave della Marina
Il materiale, individuato a nord ovest della Gorgona, ora dovrà essere esaminato Se l’esito risulterà positivo, saliranno a 179 i contenitori finora trovati tra fusti e sacchetti
Il materiale, individuato a nord ovest della Gorgona, ora dovrà essere esaminato Se l’esito risulterà positivo, saliranno a 179 i contenitori finora trovati tra fusti e sacchetti
da Il Tirreno
LIVORNO Altri trenta fusti tossici trovati nei fondali della Gorgona, a 8.5 miglia a nord ovest dell’isola. Li ha scovati ieri la nave idrografica “Ammiraglio Magnaghi” della Marina militare, che dal 21 luglio sta setacciando il mare a caccia del carico perso dall’Eurocargo Venezia. La motonave, lo scorso 17 dicembre, al largo di Livorno, in un'area nei pressi dell'isola Gorgona, aveva perso 198 bidoni contenenti materiale tossico quali catalizzatori di nichel e molibdeno. Con il nuovo ritrovamento, salirebbero a 179 i contenitori (cosiddetti “bersagli”) trovati in mare, tra fusti e sacchetti. Finora, infatti, sono stati individuati: 91 fusti pieni (di cui uno pescato da un privato a Viareggio), 21 sacchetti pieni, 37 bidoni vuoti (uno dei quali individuato durante una pesca scientifica volta all’analisi dei pesci). La differenza tra i fusti vuoti (37) e i sacchetti pieni (21) trovati, è di 16 sacchetti non ancora trovati. Cosa crea perplessità: la speranza è che vengano individuati al più presto i sacchetti mancanti per scongiurare il rischio che il contenuto dei bidoni si sia disperso in mare. Intanto la nave della Marina (dotata di sofisticati strumenti quali il side scan sonar e il magnetometro) sta continuando nel lavoro di localizzazione dei fusti non ancora individuati in mare. E ieri nel corso dell’attività di ricerca è stata trovata, come spiegano dalla Marina, una grossa concentrazione di «circa trenta anomalie sonico-magnetiche concentrate sulla direttrice nord-sud (parallela alla costa), a circa 4-6 miglia, sintomo della probabile presenza dei fusti tossici». Il materiale trovato ha dunque caratteristiche riconducibili ai fusti tossici. Ma ora le sostanze trovate andranno a analizzate per verificare se si tratta proprio dei bidoni persi dall’Eurocargo Venezia. A partire da oggi, al termine di questa prima fase di ricerca, il lavoro della Marina sarà dunque volto all’analisi dei fusti: per accertarlo, sarà necessario l’uso di un robot o comunque di un apparecchio dotato di telecamera in grado di vedere esattamente di che bidoni si tratta e che cosa contengono, nel caso siano pieni. In questi giorni, la nave Magnaghi ha esplorato un’area di 12 chilometri quadrati, in una zona nuova rispetto alla precedenti ricerche, più a nord ovest dell’isola di Gorgona. In quella zona sono state condotte attività di preparazione per l’impiego dello stesso sonar. Nelle ultime ore, inoltre, la nave Magnaghi ha iniziato una fase di investigazione più fitta delle aree non investigate nelle precedenti ricerche. L'area esplorata è stata stabilita dopo studi analitici da parte dell’istituto idrografico della Marina militare. Sono state valutate le correnti e le possibili derive che avrebbero potuto seguire i fusti. Una fase che potrebbe essere conclusa oggi. E si stima che al termine delle operazioni, la Magnaghi avrà perlustrato circa 18 chilometri quadrati. Lara Loreti
Operai Mtm bloccano l’interporto
LIVORNO Sono scesi in strada armati di volantini e per più di due ore hanno rallentato l’ingresso dei camion. Ieri, dalle 10 a mezzogiorno, circa settanta lavoratori della Mtm - azienda di Guasticce che installa impianti Gpl sulle auto -hanno bloccato l’ingresso ovest dell’Interporto. La situazione all’interno dell’azienda - come spiegano a turno i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil - si sta facendo sempre più delicata. Gli operai, in tutto 135 (circa un terzo è in cassa integrazione) sono in sciopero di venerdì e stamani si riuniranno in assemblea in vista dell’incontro tra organizzazioni sindacali e vertici aziendali in programma per oggi alle 27. «L’azienda – ripetono i rappresentanti dei lavoratori – non ha rispettato l’accordo del giugno scorso sui premi di produzione: quello del 2011 doveva essere erogato a tutti a luglio (770 euro), invece non è stato dato per intero a chi ha è stato in cassa integrazione». «Intanto – fanno sapere – ci è stato chiesto un aumento produttivo di almeno due auto a linea». Le linee sono cinque. «L’azienda – chiudono – si sta dimostrando inaffidabile. Vediamo se ci sarà davvero l’incontro, intanto i lavoratori si riuniranno in assemblea».
Nell'agosto di sangue morì la democrazia
di Mauro Zucchelli wLIVORNO Aver strappato il Comune ai "rossi" 90 anni fa con un blitz paramilitare non è stata una smargiassata di provincia: Livorno è uno degli ultimi municipi socialisti a cadere. Ma è un uragano di violenze squadriste a travolgere nel 1922 il traballante Stato sabaudo-liberale: è una escalation di attacchi che si susseguono di mese in mese, di giorno in giorno, per preparare la marcia su Roma (mito fondativo del nuovo potere fascista, in realtà, nient'altro che una esibizione muscolare per legittimare un trapasso di regime già prestabilito). Basta leggere i giornali dell'epoca: a fine maggio viene occupata Bologna, più tardi Cremona, Novara e Savona, le squadracce espugnano i municipi a Firenze come a Milano, a Pistoia come a Varese. E quasi sempre senza che le forze dell'ordine intervengano, anche se magari talvolta sono già sul posto (e abbiano l'ordine di arrestare chi si oppone ai fascisti). Figuriamoci se poteva esserne esclusa Livorno: doppiamente simbolo perché luogo di nascita del Partito comunista e perché città in mano a una giunta rossa. L'elezione del sindaco socialista Uberto Mondolfi nel novembre 1920 è uno choc per il notabilato locale fra l'esaurirsi del ruolo degli Orlando (Rosolino come sindaco e Salvatore come senatore per un quindicennio) e l'ascesa della sinistra come classe di governo (neanche la scissione comunista proprio qui in città farà saltare la giunta rossa che aveva Ilio Barontini come assessore). Livorno non ha campagna e dunque non conosce il fascismo dei possidenti agrari, ma non risulta neppure legato a quegli aspetti dannunziano-generazionali che in altre città avevano visto seguire la parabola dell'ex socialista Benito Mussolini da parte di una leva di studenti, intellettuali stregati dal futurismo, sindacalisti degli ambienti più radicali. Invece qui da noi, la base di reclutamento sembra esser stata in particolare negli ambienti militari mentre, al posto degli agrari, recita una parte non trascurabile il "partito del mattone": si pensi alla nascita della piccola "City finanziaria" di via Cairoli dopo l'avvento del fascismo là dove alle spalle del duomo c'era un rione plebeo i cui abitanti verranno sbattuti nella periferia nord, a Shangai (dentro palazzoni tutti con il portone affacciato su un cortile ben sorvegliabile). Non è un caso se i socialisti scelgono Livorno per il congresso della scissione. Dipende dal fatto che la città sembra più sicura: per via del sindaco socialista e perché lo squadrismo ha meno presa che altrove. Anzi, rispetto alle altre città il fascismo mette radici più tardi. La prima riunione è del novembre 1920: lo stesso giorno in cui il sindaco socialista mette piede per la prima volta in Comune. Nel gennaio successivo esce il primo numero di "A noi!", il giornalino dei Fasci di Combattimento labronici: in contemporanea con la nascita del Pci a Livorno. E se questa potrebbe essere una reazione dell'arcipelago della destra locale, assume ben altro rilievo il fatto che la prima "adunata" pubblica ufficiale del Fascio a Livorno sia il congresso regionale del debutto dei Fasci di Combattimento in Toscana: marzo 1921. La regia è nelle mani di Dino Perrone Compagni, grande capo delle squadracce toscane, che da Firenze spedisce a comandare il fascio labronico Marcello Vaccari, suo uomo di fiducia nella "Disperata". All'inizio di agosto del '22 c'è il salto di qualità: ma è perché il fascismo toscano nel suo complesso mette nel mirino Livorno. Siccome gli squadristi livornesi fino a quel momento non l'hanno spuntata contro gli antifascisti (anzi, il leader Vaccari le ha buscate più di una volta), Perrone Compagni chiama a raccolta mezza Toscana nera per dare l'assalto al municipio rosso: come ricorda Mario Baglini, accorsero a dar man forte da Grosseto e Pisa, da Santa Maria a Monte, Cecina, Calci, Santa Croce, Volterra, Navacchio e San Romano più altri da Firenze. Con il Comune assediato, Perrone Compagni dà al sindaco Mondolfi due ore di tempo per lasciare la guida della città in mano ai fascisti e abbandonare Livorno «altrimenti vi impiccherò in piazza», riporta il discorso ufficiale riportato dalla propaganda fascista. In realtà, Mondolfi sembra abbia comunicato al prefetto che erano i suoi familiari a esser minacciati di morte: a distanza di così tanti anni, rimbalza ancora (e non si sa quanto verificabile) nelle memorie tramandate negli ambienti antifascisti che un congiunto del sindaco socialista fosse stato preso in ostaggio. Era da mesi - ricorda Danilo Conti rievocando la storia dell'"arditismo" antifascista - che Mondolfi veniva quotidianamente minacciato, la sua abitazione veniva presa a sassate, a revolverate. Qualcosa del genere accadeva agli altri consiglieri socialisti quando rincasavano dopo le riunioni politiche: bastonato Armando Raugi, Luigi Gemignani ucciso sparandogli in volto. La notte prima della presa del Comune, la violenza nera entra nella casa di via Santo Stefano del consigliere comunista Pietro Gigli per sterminarne la famiglia: uccide lui e il fratello Pilade, in fin di vita la madre. Nel giro di quattro giorni le squadracce uccidono otto persone, compreso un ragazzo, Bruno Giacomini, in via San Carlo, e l'"ardito" anarchico Filippo Filippetti dopo una battaglia a revolverate per fermate le scorrerie notturne. Un bagno di sangue per domare una città che non si era arresa di fronte agli aggressori.

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