CREMASCHI. ISTAT : 8 MILIONI DI POVERI .SERVE SOLO GIUSTIZIA SOCIALE/ DA LIBERAZIONE 14.7.2011- LETTERA RSU-RSA /ASSEMBLEA DELEGATI LA CGIL CHE VOGLIAMO/
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15.07.11 - 8 milioni di poveri: la coesione nazionale è un puro imbroglio!
Venerdì 15 Luglio 2011 14:33
di Giorgio Cremaschi - Più di 8 milioni di poveri, dice l’Istat, ci sono oggi in Italia. Di questi 3 milioni sono addirittura poverissimi, non in grado cioè di provvedere nemmeno ai bisogni alimentari fondamentali. Su questi 8 milioni di poveri e su tutto il Paese si abbatte la manovra economica voluta dal governo unico delle banche europee. Sarà un terribile massacro sociale che renderà drammatiche le condizioni di vita per milioni di persone, pensiamo solo a chi dovrà rinunciare a una visita medica perché non ha i 10 euro necessari per il ticket o, addirittura, a chi rinuncerà a presentarsi al pronto soccorso per non doverne pagare 25, in caso di codice bianco. (...)
A questi 8 milioni di persone se ne aggiungeranno altre, coloro che perderanno il posto di lavoro, coloro che vedranno tagliate le retribuzioni, come in questi giorni stanno facendo Fiat e Fincantieri nel nome del legame tra salario e produttività, santificato dal catastrofico accordo tagliadiritti del 28 giugno.
I lavoratori dipendenti e i pensionati pagheranno più tasse, avranno mutui più alti, subiranno un’inflazione che cresce mentre il potere d’acquisto cala. Tutto questo, e ancor di più e peggio, per pagare la speculazione bancaria, per difendere un sistema europeo che non è più difendibile se non a prezzo della distruzione della civiltà del continente. La medicina greca, che sta distruggendo quel paese, viene oggi somministrata, a dosi minori inizialmente, ma crescenti nel tempo, anche all’Italia. Dopo anni di crisi e stagnazione quella medicina per il nostro paese è una catastrofe economica e sociale. Per questo ribadiamo che non ha alcun senso sociale, economico e anche morale parlare di coesione nazionale. Non c’è coesione che tenga quando 8 milioni di persone sono povere mentre il 10% della popolazione italiana detiene una ricchezza impressionante, ancora oggi in crescita. Non c’è coesione tra ricchi e poveri, tra padroni e lavoratori che perdono il posto, tra le banche e la finanza e i bisogni economici e sociali. Non c’è coesione e non ci deve essere, in questa condizione la coesione nazionale è un puro imbroglio. Occorre invece costruire un movimento di lotta che ribalti la coesione voluta dai ricchi e costruisca una vera giustizia sociale, unica condizione per uscire dalla crisi.
15 luglio 2011
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Giovedì 14 Luglio 2011 20:45
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Lettera degli autoconvocati, Liberazione 14 luglio 2011 (...)
Siamo delegati Rsu e Rsa, semplici lavoratori e lavoratrici, precari e precarie che in questi anni si sono mobilitati contro il tentativo di padroni, governo, Cisl, Uil e Ugl di cancellare ogni diritto nel mondo del lavoro e di trasformare il sindacato in soggetto complice. Negli ultimi mesi abbiamo lottato contro il modello Marchionne, consapevoli che a Pomigliano e Mirafiori si giocava una partita generale per i lavoratori e le lavoratrici, per sostenere le rivendicazioni dei precari e di tutti i lavoratori a cui si vogliono far pagare i costi di questa crisi dell'economia di mercato. Abbiamo fatto tutto ciò sostenendo la necessità di una pratica sindacale democratica e conflittuale con al centro i diritti e i bisogni dei lavoratori, non quelli dell'impresa. L'ipotesi di un nuovo patto sociale, sottoscritto anche dalla Cgil il 28 giugno, invece accetta il modello Marchionne e regala a Cisl-Uil una vittoria senza precedenti vanificando le battaglie di questi mesi dentro e fuori la Cgil. Non potremo più votare gli accordi che ci riguardano, non si potrà più lottare contro un accordo separato truffa perché obbligati a rispettarlo, la rappresentanza non sarà in mano ai lavoratori, subiremo le deroghe ai Ccnl spostando la centralità sui contratti aziendali, i salari saranno sempre più vincolati ai parametri di produttività decisi unilateralmente dalle aziende e dai governi. Non possiamo permettere di farci cancellare con un tratto di penna le lotte di questi ultimi due anni. Per questo ci siamo mobilitati da subito protestando sotto la sede della Cgil e abbiamo raccolto in pochi giorni più di 300 firme tra le maggiori Rsu delle fabbriche del paese, dalla Marcegaglia a Milano alla Piaggio di Pontedera, dalla Same di Bergamo agli stabilimenti Fiat di Cassino e Mirafiori, dalla Ferrari a Fincantieri e Marghera. A queste si sono affiancate decine di adesioni dal commercio al pubblico impiego, dai call center e dalle cooperative. Uomini e donne di tutte le categorie e di tutti i sindacati protagonisti degli scioperi di questi mesi. Delegati e iscritti della Fiom e della Cgil soprattutto, ma anche di Usb, Cub e Cobas. Senza strumentalizzazioni di sigla tutti pretendiamo il ritiro della firma della Cgil e la costruzione di una piattaforma generale del mondo del lavoro contro quella di padroni, governo e Bce. Questo ci unisce, al di là della tessera sindacale di ciascuno di noi. E se il sindacato decide di abdicare al suo ruolo, dobbiamo ribadire che il sindacato siamo noi. Già gli accordi di luglio '93 provocarono una ferita ancora sanguinante nel corpo sindacalizzato. Ora siamo di fronte a un momento altrettanto grave col maggiore sindacato del paese che è sordo alle richieste della parte "peggiore" del paese secondo Brunetta: i lavoratori che lottano. Il modello sindacale che ha in mente Camusso evidentemente non prevede la rappresentanza delle voci dirette di milioni di precari e operai che dai tetti sono scesi nelle piazze per difendere diritti sacrosanti per tutti.
Per questo abbiamo deciso di autoconvocarci in ogni azienda, in ogni luogo di produzione di profitto, di saperi, di interessi, per ricostruire la nostra capacità di difendere e riprenderci tutto quello che ci stanno togliendo, unendoci su obiettivi comuni e non in base alla nostra collocazione sindacale o contrattuale. Come già hanno fatto i movimenti referendari che, di fronte alle sordità e alle collusioni liberiste dei maggiori partiti, si sono autoconvocati e hanno vinto una battaglia importantissima per tutti: la ripubblicizzazione di servizi e risorse essenziali.
La pesante crisi economica sta già provocando massicce ristrutturazioni, chiusure aziendali, licenziamenti di precari, cassa integrazioni, abbattimento di salari e pensioni, povertà crescente. Nessuno può sentirsi escluso o garantito. Per anni abbiamo ingrassato col nostro lavoro le tasche di imprenditori, amministratori e speculatori che hanno tenuto alti i propri profitti grazie alla flessibilità e alla deregolamentazione selvaggia del mercato del lavoro. I sindacati finora non hanno saputo dare sbocco a quella forte spinta dal basso che chiedeva nelle piazze l'unificazione di queste mille vertenze dei lavoratori dipendenti che vedono a rischio il proprio posto e salario, dei precari intermittenti senza tutele e reddito, degli studenti ridotti a manodopera flessibile in formazione e degli immigrati vittime del lavoro nero e del caporalato. E ora, finita una stagione di mobilitazioni, ci troviamo di fronte questo nuovo nefasto patto sociale che ci riporta indietro di anni.
Non possiamo permetterlo. Dobbiamo rilanciare una percorso di lotta contro le misure di austerity che unisca i lavoratori flessibili e la generazione precaria. Gli scioperi fittizi di 4 ore o di una parte combattiva ma minoritaria del mondo sindacale non ci bastano più. La prospettiva di uno sciopero vero nei luoghi di lavoro e lo sciopero precario, di cui si comincia a parlare da qualche mese, devono essere due facce della stessa medaglia dialogando nel blocco della produzione e della circolazione in una grande giornata di lotta e di resistenza sociale. L'azione comune di chi ogni giorno produce la ricchezza ed è costretto nel ricatto del lavoro senza diritti e garanzie come condizione da sempre tipica (e non certo "atipica") di questo modello economico-sociale.
Lanceremo questo messaggio ciascuno nel proprio sindacato e dalla propria postazione di lotta.
Intanto continueremo a raccogliere adesioni alla mail scioperogenerale@gmail.com e cercheremo di allargare il movimento che in tutto il paese deve opporsi unitariamente all'accordo interconfederale del 28 giugno.
Delegati Rsu e Rsa, lavoratori e lavoratrici, precari e precarie
Liberazione, 14/07/2011
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