giovedì 1 marzo 2012

No alla libertà di licenziare. Nemmeno per "ragioni economiche"


Uscire dalla logica liberista di Monti e di Draghi
No alla libertà di licenziare. Nemmeno per "ragioni economiche"
Fornero ripete: "Se l'accordo non ci sarà il governo andrà avanti. Come Draghi considero finito il 'modello sociale europeo'"
Abbandonare il finto tavolo delle trattative e proclamare lo sciopero generale

Non cambia direzione la "trattativa" per la "riforma" del "mercato del lavoro". Per le lavoratrici e per i lavoratori, per i giovani precari si prepara una mazzata simile e forse ancora più pesante della controriforma pensionistica varata alcuni mesi fa dal governo della grande finanza, della Ue e della macelleria sociale, senza nemmeno sentire il parere dei sindacati.
Le riunioni tra il ministro del Welfare, Elsa Fornero, le associazioni padronali e i sindacati confederali si susseguono, per giovedì 1 marzo è previsto un nuovo round presso il ministero del Lavoro, senza particolari e sostanziali novità positive per i lavoratori. Nel senso che il governo propone e ribadisce la sua linea ferocemente liberista sui temi in discussione con due obbiettivi principali: la modifica peggiorativa, se non proprio la cancellazione dell'articolo 18 in modo da ottenere, come richiesto da sempre dal grande padronato, maggiore flessibilità in uscita e più libertà di licenziamento. E la "riforma" degli "ammortizzatori sociali" con eliminazione della cassa integrazione straordinaria, compresa quella in deroga, e della mobilità e l'introduzione di un misero sussidio di disoccupazione di breve durata (8-10 mesi). Unica concessione, per quest'ultimo aspetto, data la crisi economica e la recessione produttiva ancora in atto e che si protrarranno non si sa ancora per quanto tempo, la data di entrata in vigore che dovrebbe essere, salvo smentite, il 2017.
Nell'altalena delle dichiarazioni la disinvolta e sempre di più sorridente Fornero ora dice che lavora per fare l'accordo con le "parti sociali" e che farà di tutto perché questo avvenga. Ma subito aggiunge che in ogni caso il governo andrà avanti lo stesso e a fine marzo presenterà la sua "riforma" in parlamento, magari ponendo la fiducia come già sta facendo, su altri provvedimenti, in modo sistematico. Qualche giorno prima aveva detto addirittura che il governo sarebbe andato avanti anche senza il consenso del PD che del governo è una parte fondamentale della maggioranza, Un accordo che comunque deve avvenire solo ed esclusivamente sulle posizioni del governo, non sulla base di un compromesso. E a costo zero per le casse dello Stato. Il governo non metterà un euro, per dirne una, per l'estensione dei nuovi (e magri) "ammortizzatori sociali" ai settori che attualmente non ne beneficiano. Il costo di essi dovrebbero pagarli, attraverso la "contribuzione sociale", lavoratori e imprese.
Fa ridere e insieme fa rabbia sentire la Fornero ma anche Monti affermare che questa linea di drastica riduzione dei diritti dei lavoratori, che loro chiamano "privilegi" da abbattere, è finalizzata a modernizzare il "mercato del lavoro" a dare un futuro occupazionale ai giovani. Ma intanto li invitano a dire addio al "posto fisso" e gli preparano un contratto di inserimento triennale con un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti nazionali di lavoro e senza la tutela dell'articolo 18, dunque licenziabile in ogni momento. Quanto allo sfoltimento delle forme di lavoro precario, a proposito dei giovani condannati al supersfruttamento, il discorso rimane nel vago e in secondo piano.
Non ci può essere un esito diverso da questo se non si esce dalla logica liberista di Mario Monti e di Mario Draghi, rispettivamente presidente del Consiglio italiano e governatore della Banca centrale europea (Bce). Quest'ultimo ricordiamolo, fu colui che insieme a Trichet inviò all'allora governo Berlusconi una lettera con l'ordine di attuare in breve tempo radicali "riforme" liberiste in campo economico, sociale e del lavoro, con in testa quella pensionistica e quella del "mercato del lavoro" per introdurre la libertà di licenziamento.
Draghi, in una intervista al Wall Street Journal, è arrivato ad affermare che "il modello sociale europeo è finito". Per superare la crisi nell'Eurozona occorrono "riforme strutturali" e una profonda revisione del modello sociale. Ossia, una drastica riduzione delle tutele del Welfare e del lavoro. Per lui infatti, la "riforma" del "mercato del lavoro" liberista è uno dei pilastri. È questa revisione. È questa la sua ricetta che dovrebbe servire a superare il dualismo del mondo del lavoro, da una parte i giovani con contratti precari e dall'altra la parte "protetta che ha salari che aumentano non in base alla produttività ma all'anzianità".
Dopo i dati resi noti dall'Istat sugli stipendi e i salari dei lavoratori italiani che sono la metà di quelli tedeschi e olandesi, molto lontani da quelli francesi e inferiori persino a quelli erogati in paesi come la Grecia, la Spagna e il Portogallo, l'affermazione di Draghi è una falsità.
La Fornero la pensa allo stesso modo: "Come Draghi considero finito il modello sociale europeo", ha detto in una intervista a la Repubblica. Per non dire di Monti che non per caso si è speso in giudizi elogiativi verso il decreto sulla "riforma" del lavoro varato dal nuovo governo di "centro-destra" spagnolo guidato dal democratico Rojoy. Che contiene, per dire solo delle misure principali, la decadenza dei contratti di lavoro nazionali dopo due anni dalla loro scadenza; la priorità ai contratti aziendali che possono differire da quanto stabilito nei contratti nazionali; la riduzione dell'indennità dei licenziamenti senza giusta causa e di quelli attuati per motivi economici, libertà di licenziare i dipendenti pubblici per più di un quinto del totale.
Se le cose stanno così, e così stanno, cosa aspettano i sindacati e in particolare la CGIL ad abbandonare questo finto tavolo delle trattative e a proclamare la mobilitazione generale dei lavoratori? Non sono soddisfacenti e all'altezza di quanto è necessario fare le decisioni assunte nella riunione del comitato direttivo nazionale del 27 febbraio. Dove sono stati ribaditi i punti fermi contenuti nella piattaforma unitaria assunta con CISL e UIL, minimamente presa in considerazione, detto per inciso, dal governo; in particolare la riduzione della precarietà, l'estensione degli "ammortizzatori sociali" con il criterio dell'universalità e l'intangibilità dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, "una norma di civiltà inderogabile - si legge nel documento finale - il cui valore va oltre la tutela del licenziamento ingiustificato e costituisce un deterrente verso ogni altro possibile abuso". Ed è stato reso noto un calendario di mobilitazioni che sono le seguenti: il 29 febbraio in piazza a Roma per la mobilitazione europea; il 1 marzo lo sciopero dei trasporti; il 3 marzo la manifestazione nazionale unitaria degli edili; il 4 marzo la giornata europea del commercio per le domeniche libere dal lavoro; il 5 marzo assemblea straordinaria delle Camere del Lavoro per fare il punto sul confronto con il governo; il 9 marzo infine, lo sciopero generale dei metalmeccanici indetto dalla FIOM.
Non si parla però dello sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie con manifestazione nazionale a Roma. Che è ciò che ci vuole per fermare Monti prima che i provvedimenti sul "mercato del lavoro" diano un colpo mortale ai diritti dei lavoratori e dei giovani. La data dello sciopero indetto dalla FIOM poteva essere l'occasione per estenderlo a tutte le categorie e farlo diventare generale. Ma evidentemente non c'è questa volontà.
 
(Articolo de "Il Bolscevico", organo del PMLI, n. 12/2012)

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