giovedì 28 febbraio 2013

Spartaco Lavagnini e la rivolta del proletariato toscano.


Spartaco Lavagnini e la rivolta del proletariato toscano.
Una nuova ripubblicazione del partito rivoluzionario in Italia. 
Il settimanale L’Azione Comunista del 1921-22
                                                                                                                                          Spartaco Lavagnini (al centro)
(Riceviamo e pubblichiamo volentieri.)

Tra le varie pubblicazioni del Partito Comunista d’Italia che abbiamo riportato alla luce non poteva mancare il settimanale fiorentino L’Azione Comunista. La collezione che abbiamo ricostruito può dirsi completa dal febbraio 1921 al giugno 1922: solo mancano i primi due numeri e alcuni altri sono rovinati e parzialmente leggibili.
Subito dopo il congresso di Livorno Spartaco Lavagnini fondava, a Firenze, il settimanale “L’Azione Comunista”. Giornale di battaglia e di dottrina: accanto agli articoli di lucidissima impostazione teorica e programmatica troviamo le cronache delle lotte del proletariato toscano presentate con quell’entusiasmo e quella fede che caratterizza solo i partiti rivoluzionari.
Non il minimo lamento per i colpi subiti dal proletariato, ma la preparazione alla difesa ed all’offesa, senza mai nascondere le difficoltà. «Prospettiamo tutte le difficoltà che ci separano dalla realizzazione del comunismo e diciamo anche francamente che nel periodo di guerra civile che segnerà l’ascesa del proletariato al governo della cosa pubblica, trascorreremo giorni di lutti, di dolore e di miseria, accidentalità queste ultime gravi, ma inevitabili al raggiungimento del nostro massimo fine».
Presentando qui la riproduzione in Dvd   [per chi fosse interessato scrivere a: Ed. Il Partito Comunista - Casella postale 1157 - 50121 Firenze CCP 30944508 -icparty@international-communist-party.org]  de L’Azione Comunista non possiamo esimerci dal ricordare l’assassinio vigliacco del nostro Spartaco, ma soprattutto vogliamo richiamare alla memoria la virile risposta di Firenze e della Toscana proletaria. Quella borghesia che aveva temuto Spartaco vivo dovette tremare di fronte a Spartaco morto.
«Il partito comunista non ha fatto rosee promesse, né socchiuso gli occhi dei lavoratori alla visione di sogni dorati: esso ha parlato della necessità della lotta. L’azione rivoluzionaria, necessariamente violenta, necessariamente sanguinosa è azione che può rendere sublime il sacrificio, ma che il sacrificio esige, vuole, impone». Queste parole, scritte da Spartaco Lavagnini il giorno prima del suo assassinio, rappresentano il testamento politico di questa grande figura di comunista.
Sembrava cosciente della sua imminente fine. Infatti, se immenso era l’affetto che il proletariato toscano e fiorentino riversava verso di lui, altrettanto era l’odio forsennato della borghesia. Si era in piena offensiva fascista, ma nella Toscana rossa le bande mussoliniane, sia nelle città sia nelle campagne trovavano valida resistenza che, in molte occasioni, si volgeva in offensiva. Le forze del neonato Partito Comunista erano sempre le animatrici di questa guerra di classe, ed ovunque si scorgeva la capacità organizzativa di Spartaco. Per questo la borghesia decretò il suo assassinio.
La sera di domenica 27 febbraio 1921, una trentina di squadristi, che probabilmente si erano accorti della presenza del solo Spartaco all’interno del Sindacato Ferrovieri, vi fecero irruzione trivellandolo di colpi e devastando la sede sindacale. Erano circa le 6 del pomeriggio quando il proletariato toscano perdeva il suo massimo animatore, ucciso a tradimento mentre era intento al lavoro sindacale e di partito. Il Partito Comunista d’Italia era sorto da appena un mese e già riceveva il suo battesimo di sangue.
La notizia dell’assassinio corse in maniera fulminea in tutta Firenze, enorme fu la commozione, il proletariato insorse, e Spartaco ancora una volta fece tremare la borghesia. Immediatamente ferrovieri, tranvieri, elettricisti interruppero spontaneamente il lavoro. Nella stessa sera i dirigenti del Partito Comunista assunsero la direzione dello sciopero estendendolo a tutte le categorie.
Durante la notte furono tagliati i fili delle linee telefoniche e telegrafiche e lunedì Firenze proletaria era in rivolta. Gli operai «scesero in piazza e nelle vie e non inermi. Fu una lotta impari, ma combattuta con quello spirito di eroico sacrificio che solo anima le folle oppresse e provocate» (L’Azione Comunista, 5 marzo). Dall’azione di protesta si passò alla lotta armata. Ovunque sorgevano barricate, il proletariato respingeva gli attacchi nemici e contrattaccava.
I fascisti che, guidati da «Giovanni Berta, figlio di pescecani», così dice la canzone, avevano tentato una incursione dentro il quartiere proletario di San Frediano, vennero immediatamente messi in fuga. Entrarono allora in azione le forze dell’ordine facendo uso di autoblindo. Nel corso della battaglia si distinsero le donne proletarie impegnando il nemico con lancio dai tetti di tegole e d’acqua bollente. Con un lavandino di marmo lanciato da una finestra misero fuori uso una autoblindo che tentava di forzare una barricata.
Il 1° marzo lo sciopero continuava compatto, sia in città sia nella provincia, gli sconti armati si susseguivano e dai quartieri cittadini si allargavano alle periferie ed ai comuni limitrofi.
Quando le autoblindo non furono più sufficienti lo Stato, allora democratico, fece ricorso al cannone ed alla mitragliatrice. «Per alcuni giorni la battaglia fu indecisa, l’artiglieria fu messa in funzione e quando la forza poté conquistare le prime posizioni innumerevoli furono gli atti di coraggio [...] Firenze era caduta. La provincia resisteva ed a Siena, Scandicci, Empoli furono nuovi atti di coraggio e di sacrificio, ma la borghesia ebbe il sopravvento perché la Toscana restò isolata ed il giovane Partito Comunista non poteva determinare l’azione generale del proletariato italiano. Il proletariato toscano abbassò momentaneamente le armi senza cederle» (Prometeo, n.14, 15 marzo 1929).
Come al solito, anche a Firenze e nella Toscana in rivolta, i fascisti, ricevute le prime legnate, si ritirarono fino a che lo Stato non fosse riuscito ad imporre l’ordine; solo allora irruppero nelle sedi proletarie, precedentemente espugnate con il cannone e svuotate, per decorare l’opera con la loro estetica di saccheggio e di fuoco.
FONTE: Il Partito Comunista nr. 337 sett.-ott.2009 (giornale Comunista Internazionalista) 

Nessun commento:

Posta un commento

ShareThis

Ultimo numero:

ViceVersa n.35

Post più popolari