Andrea Malpezzi, www.ilbecco.it, 20/07/2013
Metti un Gomez un giorno a Firenze e vedrai 25 mila persone che si mobilitano al solo scopo di intravederlo e incitarlo. Metti un Renzi alle primarie del PD e vedrai circa 30 mila persone che decidono di dargli il loro voto.
Il paragone è sicuramente azzardato e può sembrare mal combinato ma il fenomeno che i due fatti rivelano è lo stesso: la comprensione della società al tempo della comunicazione di massa e le dinamiche che l’attraversano.
Il “fenomeno” puramente “politico” forse non ha più la capacità di attrarre e far sognare il popolo, cosa che invece si mantiene ed anzi si intensifica per lo sport. Lo sport vissuto come mezzo di superamento delle proprie frustrazioni e delle difficoltà sociali, sport visto come strumento - oserei dire - di “emancipazione” dalle condizioni sociali e esistenziali dell’essere umano.
Ciò può sembrare una sopravvalutazione del ruolo del calcio ma interroghiamoci per un momento su cos’è che spinge un individuo a recarsi allo stadio, non tanto per vedere una partita, ma nel caso specifico per esultare per l’acquisto di un calciatore?
E’ l’occasione, a mio avviso, che segna una rottura con le tue frustrazioni quotidiane e ti fa essere parte di un progetto, protagonista per un momento di una scelta (anche se non fatta da te) e divenire parte di una visione più ampia, che in quel momento rende dignità e futuribilità alla tua squadra, alla tua città e conseguentemente anche a te stesso, che di quella squadra e di quella città ti senti parte integrante.
Senza esaltare eccessivamente il ruolo dello sport, vorrei provare a riflettere sul fatto che la politica, anche nella sua massima visibilità mediatica, non ha, o meglio, ha perduto la capacità di offrire una propria visione del mondo e non riesce a far “battere il cuore” per un obiettivo generale di cambiamento o anche di semplice miglioramento della società. L’assenza di chiare prospettive ci consegna un senso comune nel quale prevalgono le affermazioni: “tanto sono tutti uguali” e “tanto non cambia niente”.
In definitiva la politica non solo manca di “attaccanti” capaci di suscitare entusiasmo, che nella società dell’immagine non è poco, mamanca anche della squadra, del collettivo che permette all’attaccante di andare a rete.
Non vi nego che, da grande tifoso gigliato (e per niente tifoso di Renzi) nei giorni scorsi sono stato attraversato da molti sentimenti contrastanti, dalla voglia di esserci alla presentazione dell’ultimo acquisto viola, poi da un po’ di indignazione e di delusione per le numerose manifestazioni alle quali ho partecipato, per difendere posti di lavoro e diritti e nelle quali 25 mila persone sarebbero state pane per affamati. Ma penso che il tema non possa essere liquidato con la semplice indignazione o dalla presa d’atto che la politica non sia capace di individuare questioni mobilitanti. C’è qualcosa di più profondo di quello che appare in superficie nelle motivazioni che hanno portato donne e uomini, un pomeriggio di luglio, allo stadio. Esiste una relazione tra questo accorrere di una massa di persone allo stadio e la profondità della crisi che sta attraversando la società. Pare evidente che in un situazione “normale” i ruoli della politica e dello sport sarebbero ben distinti, ma è altrettanto evidente come la frammentazione della società abbia prodotto criteri di riconoscimenti collettivi che portano lontano dalla politica e dalla solidarietà sociale, ma che al tempo stesso tende ad acuire criteri di riconoscimento e condivisione collettivi del tutto alieni rispetto alla tua condizione materiale e per questo estranei a qualsiasi forma di lotta politica e sociale.
Esistono altri eventi capaci di coinvolgere e appassionare, penso ai grandi concerti ad esempio, ma il tema dello sport e in particolare del calcio mi appassiona e mi stimola a pensare che sia possibile costruire una squadra che rappresenti un gruppo sociale, con il compito di stimolare la partecipazione di massa per un campionato vincente.
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