lunedì 22 ottobre 2012

Di come i crucchi divennero per me ”pezzi di pane“


Di come i crucchi divennero per me ”pezzi di pane“.


Questo articolo è una messa per iscritto di mie personali riflessioni, risalenti ad alcuni anni fa, sul significato delle parole nello mondo (spazio) e nella storia (tempo), e sul diverso trattamento delle parole da parte dei vari popoli. Non fatevi sviare dal titolo e non stupitevi quindi, se attaccherò parlando della Ex-Iugoslavia (spazio) e dell'oggi (tempo).


Nell'odierna compagine politica e linguistica post-iugoslava esistono alcuni contrassegni ben precisi della nazionalità di ogni abitante quei luoghi, che servono a distinguere ciò che in linea di principio sarebbe difficilmente distinguibile, cioè la mistione di popoli (narodi) e di popolazioni (narodnosti) di quelle contrade. L'italiano od in generale il forestiero che si avventura in questo intrico di definizioni spesso sbaglia clamorosamente le diciture, creando degli incroci come lo sbilanciatissimo terzetto nazionalreligioso ”Serbi-Croati-mussulmani“, consacrato dai media al tempo della guerra (ove invece si preferirebbe ”Serbi-Croati-Bosgnacchi“ – non ”bosniaci“, in quanto questa è una delimitazione puramente territoriale e non nazionale/religiosa – oppure, a scelta, ”ortodossi-cattolici-mussulmani), o, nel migliore dei casi, rimanendo molto confuso. 
Chi sia mai stato in Ex-Iugoslavia (ed in ispecie nei paesi Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia), potrà confermare che le differenze interstatali non sono maggiori di quelle infrastatali – un Serbo bosniaco può differire linguisticamente e culturalmente tanto, cioè poco, da un serbo di Serbia, quanto un croato dalmata differisce da un croato slavoniano, per dirne una. Le parole però rimangono, ora come prima, contrassegni importantissimi: chi non ha udito, in Italia come in Iugoslavia od in Germania, «quella parola lì viene da lì», «quelli là parlano cosà», et cetera.
Pagnotta di kruh grande a  circa 4 kune (0,50 €) , significativamente chiamata "recessione": siamo in Croazia !
Parlando nello specifico di Croati, se in somma esiste una parola che, inequivocabilmente, riconduce alle contrade croate, alle loro parlate e, non ultimo, allo stato di Croazia, quella parola è kruh, it. ”pane“. 
Orbene, questo termine non è solamente distintivo perché il restante 99% dei parlanti lingue slave, compresi tutti gli altri iugoslavi non croati o sloveni, utilizza un vocabolo derivato dall'antico slavo хлѣбъ (hlěbŭ), ed appunto non kruh, ma in quanto la sua storia si intreccia con quella della lingua italiana e ci illumina sull'intensità delle relazioni tra Slavi, Romanzi e Germani esistenti nel fu Impero Asburgico, che oggi sono quasi totalmente perdute od al massimo sterilmente rivitalizzate in seno all'europeismo. Quel che lo iugoslavo comune, altresì serbocroato, designa come hlěb (nelle forme ecava e iecava rispettivamente hleb o hljeb), suona al croato di Croazia più o meno come la nostra parola ”pagnotta“, mentre il ”pane“ come sostantivo innumerabile rimane inequivocabilmente kruh: guai poi domandare dello hljeb in una panetteria croata!; potreste ricevere occhiate dubitabonde od irose, anche peggiori che chiamando canederli gli Knödel in una tavola calda del Tirolo meridionale o ”vin cotto/vino caldo“ il vin brulé in una canavesanissima ”piola“ (ah !, come mi rammarica che sempre più giovani non conoscano più questo glorioso sostantivo). Essere linguisti significa anche e soprattutto parlare giustamente, al posto giusto e nel momento giusto, eventualmente sforzandosi di fare ciò che il parlante matrilinguale normale solitamente non fa mai, ossia riflettere prima di parlare. 
Questo quanto alle intolleranze linguisticoalimentari che potreste evitare di incontrare in Croazia, ma ciò non è che un singolo punto della doviziosa casistica relativa a questo staterello della penisola dinarica (o Balcani, classificazione che i permalosi Croati di Croazia non udirebbero volentieri). Meravigliati potremmo constatare ad esempio che questo stato recante nei propri vessilli la nobile bestiola che chiamiamo faina (scr. kuna, da cui anche il nome della valuta croata), non solo ha fatto prezioso dono all'Europa della cravatta (da hrvat, ”croato“) e dell'acquavite nota come slivovizza (cito nella forma veneto-friulana), bensì anche della più corriva denominazione dispregiativa per i tedeschi ed i parlanti tedesco in generale, ossia ”crucchi“ ! 
Mi autoconfuterò adesso, ritrattando una seducente ma troppo audace supposizione da me precedentemente avanzata sull'origine di questo nome: secondo essa, il termine ”crucco“ sarebbe derivato dal vocabolo tedesco Krücke, italianamente ”stampella“, da cui deriva, mediante il longobardo  krukkija, anche il nostro ”gruccia“, con cui regionalmente si intende tanto l'appendino, od appendiabiti, quanto la stampella da passeggio per invalidi. Ebbene, tedescamente parlando la Krückenkreuz (it. ”croce potenziata“, raffigurante quattro T come nel seguente glifo unicode: ) era un'effigie piuttosto di moda nell'araldica dall'alto medioevo in poi, presso signori feudali Goffredo di Buglione, il quale la recò a Gerusalemme nella prima, appunto, crociata (1096–1099). Data la sua associazione al Sacro Romano Impero ed alla nobiltà germanica, nonché le sue quattro opposte T, come nella parola latina theotiscus (it. ”tedesco“), avevo supposto che la Krücke, ossia la gruccia, fosse all'origine della parola ”crucco“. Ma, ahi noi, le pensate più belle e persuasive sono spesso le più fallaci, ed ho presto dovuto constatare che i miei amati crucchi non derivavano da un'effigie araldica germanica, bensì da un parola croata e slovena significante ”pane“, ossia il sopra menzionato kruh
Lapide con Krückenkreuz, verisimilmente pagana,  rinvenuta nel distretto di Burgenland in Sassonia-Anhalt.

Franco Colono

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