martedì 28 maggio 2013

REFERENDUM BOLOGNA, una grande vittoria


REFERENDUM BOLOGNA


Il 26 maggio si è svolto il referendum sul finanziamento pubblico alla scuola privata dell’infanzia nel Comune di Bologna. Il numero di votanti non ha superato il 28 % degli aventi diritto al voto, mentre il 59 % dei votanti si è espresso a favore del quesito A che prevedeva di utilizzare il milione di euro che annualmente il Comune destina ai privati per espandere la scuola pubblica e potenziarne l’offerta. Il 41% degli elettori ha votato il quesito, B favorevole a mantenere il sistema integrato pubblico privato, fortemente voluto dal PCI nel 1994 e oggi sostenuto dal PD; esso costituì uno dei pilastri dell’alleanza dell’Ulivo e poi del connubio di ex democristiani ed ex comunisti, oggi confluiti in quel mostruoso aggregato che prende il nome di Partito Democratico.
Già prima del referendum il Sindaco Merola aveva dichiarato che qualunque fosse stato il risultato della consultazione non avrebbe influito sulle sue decisioni di mantenere il finanziamento alle private e si era impegnato nella campagna elettorale a favore del quesito B, a riprova di quanto ritenesse in realtà importante arginare l’azione del Comitato art 33 Costituzione e dei suoi sostenitori. Partendo da queste premesse il Comune metteva perciò in atto una strategia finalizzata alla disinformazione sistematica, al depistaggio degli elettori, alla non partecipazione.

Lo stalking elettorale.
Diffidando che la sua posizione a favore del quesito B sortisse una qualche efficacia sull’elettorato il Sindaco provvedeva a disperdere gli elettori, annullando la collocazione nei tradizionali seggi elettorali e creandone di nuovi: smembrando le usuali aggregazioni e costituendone di nuove: inviava un “pizzino” agli elettori nei quali indicava l’indirizzo del nuovo seggio e il numero, il tutto fatto in modo poco visibile e non immediatamente memorizzabile dall’elettore. Il risultato è stato che più del 50% degli elettori non sapeva quale fosse la sezione nella quale poter esprimere il voto e conosceva, nel migliore dei casi, solo l’indirizzo del plesso nel quale andare a votare.
Qui giunto doveva iniziare a peregrinare tra i diversi seggi, chiedendo al personale addetto se risultava negli elenchi degli elettori di quella sezione. Di questa situazione si rendevano presto conto gli osservatori ai seggi nominati dal Comitato promotore che, muniti di stradario o di telefono. cercavano di fornire informazioni con il risultato di essere accusati di propaganda elettorale dalla responsabile del procedimento. Offrivano perciò ai funzionari comunali privi di tutto copie dello stradario, a volte in cartaceo, a volte sul proprio tablet, ma questi ricevevano disposizioni dalla responsabile del procedimento di usare solo materiale fornito dal Comune (sic!) ovvero niente. Intanto le proteste dei cittadini che chiedevano informazioni su quale fosse la sede di voto crescevano e alcuni funzionari comunali erano costretti a consultare telefonicamente l’ufficio elettorale comunale.
Lo stato di disorganizzazione produceva una profonda frustrazione nei pur volenterosi impiegati comunali che si vedranno recapitare copia cartacce dello stradario solo tra le 17 e le 18. Depistati gli elettori, fiaccata la volontà di molti grazie al pellegrinaggio tra un seggio e l’altro nulla faceva il responsabile del procedimento verso alcuni gruppi di sostegno al quesito B che continuavano a volantinare fin nel pomeriggio di giorno 26.
Se dunque la partecipazione ha sfiorato il 28 % lo si deve alla grande determinazione di migliaia di cittadini che non si sono fatti scoraggiare, malgrado il clima generale di caduta della partecipazione al voto che ha caratterizzato tutta la tornata elettorale in tutto il paese, nonostante la natura consultiva del referendum e la dichiarata inefficacia di esso da parte del Sindaco. Il segnale che arriva dalle urne è tuttavia forte e chiaro e suona la campana a morto per la giunta di centro sinistra che governa il Comune: lo dicono 50.000 elettori
Gli appartenenti al Comitato Art. 33 hanno dimostrato la propria volontà, capacità organizzativa e di tenuta politica, ma devono ora affrontare il problema di come andare avanti.

Estendere e sviluppare la lotta.
Su 230 mila aventi diritto al voto hanno votato solo 86 mila, in un contesto nel quale la partecipazione elettorale diminuisce da tutte le parti. Come non pensare che questa situazione generale abbia inciso anche sull’elettorato bolognese e che malgrado la forte mobilitazione PD-Parrocchie, scesi in campo direttamente per stimolare il rispettivo elettorato, molti abbiano cercato rifugio nell’astensione, messi di fronte alla richiesta di intrattenere un rapporto incestuoso. Dovrebbe riflettere il sindaco e chiedersi se ha ancora la maggioranza. Ma questi sono problemi suoi e della sua giunta compromessa nella campagna elettorale a favore del B; dovrà riflettere SEL su quali rapporti intrattenere nella Giunta.
Tra i referendari si pensa a cosa fare e alcuni di loro propongono la politica dei cento…mille referendum. Straparlano e non sanno quel che dicono perché i sistemi di finanziamento delle private sono diversi da regione a regione e ciò è vero soprattutto con riguardo alla Lombardia, dove si usa il sistema del buono scuola, quindi bisognerebbe reimpostare ogni cosa. Insistendo con i referendum dimostrano inoltre di non aver compreso il carattere strumentale e strategico dell’iniziativa bolognese.
Era importante agire in questa città, fiore all’occhiello dell’inciucio tra ex, dire basta a questa politica, nel luogo dove la scuola pubblica è stata tradita per la prima volta così gravemente L’hanno fatto in soli 50.000 bene, non è tutto, ma è già abbastanza per far sapere che senza questi la “sinistra riformista” non vincerà, mai. E quindi i PD non hanno bisogno di guardare alla loro destra ma alla loro sinistra se vogliono avere un domani.
Detto questo sul piano della politica partitica ed elettoralistica noi abbiamo altri obiettivi: far crescere un movimento contro la legge Berlinguer. Si tratta della 62/2000, che è alla base del rapporto di sussidiarietà in campo scolastico e del sistema integrato pubblico privato. E’ questa che va abrogata, ricordando che da quella mala pianta deriva la possibilità di distruggere sempre di più la scuola pubblica, perché da essa discende la legittimità del sistema integrato pubblico-privato..
Perciò bisogna incalzare il Comune di Bologna e diffidarlo dal compiere scelte che non pongano come priorità l’istituzione di scuole pubbliche gestite in regime di monopolio amministrativo, direttamente e attraverso docenti e personale nominato e alle dipendenze dirette degli enti pubblici. Solo questa scelta è conforme alla Costituzione. Il Comune può e deve investire nella scuola pubblica e ciò deve essere fatto allargando la spesa grazie alla fine della procedura di infrazione, in quanto la scuola è un settore di investimento strategico per qualsiasi società, costituisce il nerbo centrale delle infrastrutture di una società.
Un rifiuto, persistere nel puntare sul sistema integrato pubblico privato è un comportamento che viola la Costituzione, una scelta che permetterebbe di impugnare davanti alla Corte Costituzionale e di combattere politicamente la legge Berlinguer 62 del 2000 che è il nostro vero obiettivo.


                                                                                                                                                                            Giovanni Cimbalo

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