Liberazione 26 maggio 2013
Referendum Bologna
Ugo Boghetta
Bologna. Referendum. Vince - 60%
contro 40% - il voto A: soldi pubblici per scuola pubblica. Una vittoria netta
ma non così scontata. Di questi tempi nulla è certo. Vale il detto di
Trappattoni: “Non dire gatto finché non ce l'hai nel sacco”. Paradossalmente il
risultato è ancor più significativo proprio a causa della bassa affluenza: il
28% circa. Sono infatti andati a votare
gli interessati, coloro che, per un verso o l'altro, sapevano di cosa si
parlava e ha votato in scienza e
coscienza.
Le riflessioni sul risultato sono varie. Ne abbozzo
qualcuna.
In primo luogo è evidente che è
stata sconfitta la grande coalizione che sostiene il Governo Letta e il voto B.
Non è cosa da poco a Bologna mettere sotto PD, Curia, cooperative bianche ed
ex-rosse, i sindacati (pur con una Cgil anch'essa confusa ormai su tutto; anche
sul significato del 1° maggio).
In secondo luogo è del tutto
evidente lo scentro armai continuo fra PD e base elettorale; ma ora questo avviene anche con quella
militante. Qui sta un primo nodo di lavoro politico se si vuole capitalizzare
il risultato referendario. Il PD è fallito. É fallita la Bolognina. Quando i
comunisti e la sinistra erano forti si vinceva. Il PD invece sostiene cause
sbagliate e perde sempre: “ Era meglio quando era peggio”.
Fu il sindaco Imbeni a promuovere
il primo referendum sulla chiusura al traffico privato del centro storico. E si
vinse. Poco dopo lo scioglimento del PCI fu indetto dal PRC il referendum contro
la vendita delle farmacie comunale. Il PDS lo perse. La vicenda traffico ha
avuto qualche risultato, ma le farmacie sono state vendute ugualmente.
Anche questa volta la
consultazione non avrà effetti. Ora si dice per la scarsa affluenza, ma in
realtà il Sindaco aveva già detto che non avrebbe comunque tenuto conto del
risultato. Poi si dice che c'è l'astensionismo o la disaffezione alla politica!
Questo risultato, se sommato a
tanti altri: quello sull'acqua in primis, ci pone alcuni problemi. Sul tema dei
servizi i cittadini hanno quasi sempre scelto la gestione pubblica. La
sinistra, tuttavia, non ne ha mai fatto veramente il nodo centrale di
impostazione politica. Non basta infatti essere per i servizi pubblici, è tutto
l'impianto dell'assetto sociale, economico, istituzionale che deve essere improntato a questo
principio. Se rimane una questione a se, un tema fra i tanti, si favorisce
questa dicotomia fra i voti ai referendum e quello schizofrenico alle politiche.
Certo una causa sta nello sfascio della
sinistra ovunque collocata. La sua incapacità ad unirsi è però
proporzionale alla mancanza di un
profilo strategico forte ed alternativo che non sia fatto di suggestioni
verbose, elenchi, leader.
Pure PRC ha questo grave
mancanza. Non è stato mai affrontato come centrale un progetto di intervento
pubblico come sistema che parte dai servizi per
passare al modello sociale più complessivo per una nuova matrice
economica e industriale: ecologica, con rapporti di lavoro alternativi a quelli
correnti, basata su bisogni diversi dal consumismo. Un progetto che
inevitabilmente si allarga alla riforma dello stato di cui la questione della
legge elettorale è solo un fattore: ora nemmeno così centrale. Solo così torna
al centro anche il lavoro, non come precaria esistenza, come questione
sindacale, ma come progetto di cambiamento dei rapporti sociali. Un tema certo
che impatta direttamente con la questione euro-Europa. Questa politica non può
essere infatti realizzata al suo
interno. Ed il socialismo esce dal cono d'ombra di una sconfitta che è ora di
scacciare in primo luogo dalle nostre
teste. È su questo complesso di problematiche, su queste discriminati, che si
dovrebbe ricostruire la sinistra: un progetto non sommatorie.
Senza scelte drastiche, anche drammatiche
per certi versi, non usciremo dal cul de sac in cui ci troviamo. Ed esiti come
quelli di Bologna ci riempiono il cuore di gioia: Possiamo pensare che non
siamo morti. Però non siamo nemmeno vivi.
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