Caro Ingroia, non ti curar di loro, ma "guarda e passa"
I veleni del Pd contro Rivoluzione civile
E' una vera campagna diffamatoria quella scatenata contro Ingroia e la lista Rivoluzione civile dai supporter, mediatici e non, del Partito democratico, con in pole position Repubblica e la terza rete della Rai tv.
Prima la vicenda della candidatura di Andolina, shakerata come un cocktail dalla televisione amica dei Democrat, per trasformare un caso di proporzioni e merito limitati nella dimostrazione incontrovertibile che tutti, nessuno escluso, hanno i propri scheletri nell'armadio. Ora l'invettiva di Ilda Bocassini, che si è inventata di sana pianta una surreale polemica contro l'ex pm di palermo colpevole, ohibò, di aver osato paragonarsi a Giovanni Falcone. E questo per aver egli detto di essere stato, come Falcone, "oggetto di critiche (eufemismo, ndr) dai colleghi magistrati" e di avere riconosciuto in Paolo Borsellino il proprio maestro.
Nelle parole di Ingroia, in realtà, non è possibile rintracciare alcuna enfasi autocelebrativa, nè il tentativo di lucrare rendite politiche issandosi sulle spalle di Falcone e mettendosi - come chiosa velenosamente il foglio di Ezio Mauro - "sullo stesso solco di un martire".
Chi invece si ingaggia in una gratuita, sgradevolissima impresa di denigrazione (Ingroia?, "piccola figura di magistrato" (...) la cui distanza da Falcone è "misurabile in milioni di anni luce") è la Bocassini, che interpretando i "sentimenti" di una larga fetta della magistratura, si erige in realtà a censore morale della scelta di Ingroia di impegnarsi in politica. E, guarda caso, proprio nelle liste di Rivoluzione civile. Si guarda bene, l'Ilda nazionale, dal pestare i piedi a Pietro Grasso, ben più corazzato competitor, che dei meriti conseguiti in qualità di magistrato si è fatto più e più volte vanto. Ma, si sa, Grasso è candidato nelle liste del Pd...
A suffragare il carattere "politico" dell'attacco è poi sopraggiunta - in un battibaleno - la dichiarazione del Presidente di Corte d'appello di Roma, Giorgio Santacroce, che così ha tuonato: "Non mi piacciono i magistrati che non si accontentano di far bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo". A "redimere" il mondo - ammesso che il mondo debba essere redento e non, piuttosto, cambiato - devono infatti restare altri, i soliti noti, che non hanno dato proprio grande prova di sè.
Che il ferro va battuto finché è caldo l'hanno capito bene i media amici di Bersani e soci, i più preoccupati per l'entrata in scena di Rivoluzione civile e impegnati come non mai a spacciare la merce avariata del "voto utile".
Repubblica, però, va oltre e ci fa capire molte cose, non soltanto offrendo alla polemica una spettacolare rilevanza, come si usa fare per le notizie davvero importanti. Repubblica (nell'edizione di oggi, per la penna di Piero Calaprico) mostra fino in fondo il nervo scoperto di amici e compari e affonda il colpo decisivo: "Mentre le inchieste su quello che combina Cosa nostra oggi a Palermo e in Italia sembrano languire - scrive Calaprico - l'ex procuratore aggiunto palermitano si è dedicato soprattutto a riesaminare il "passato": come la trattativa, circa vent'anni fa, tra Stato e mafia, che tante critiche ha suscitato per i titoli di reato ipotizzati, per le telefonate registrate tra il Quirinale e l'ex ministro Pietro Mancino, per l'utilizzo dei documenti falsificati da Ciancimino".
Capito dove batte la lingua?
Avanti, dunque, caro Ingroia, non ti curar di loro, "ma guarda e passa".
Dino Greco
in data:30/01/2013
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