La Cupola incorona l'anti-Chavez
Le peggiori forme di tirannia, o
certamente quelle di maggiore successo, non sono quelle contro le quali ci
battiamo, ma quelle che si insinuano nell'immaginario della nostra coscienza e
nel tessuto delle nostre vite, al punto da non essere percepite come tirannie. (Michael Parenti, saggista Usa)
In fretta e in breve, cari interlocutori, perché sono tuttora e per un bel po’ impelagato con il docufilm sull’Iran che, vi prometto, sarà una bomba. Ma mi premevano dentro alcune urgenze.
In fretta e in breve, cari interlocutori, perché sono tuttora e per un bel po’ impelagato con il docufilm sull’Iran che, vi prometto, sarà una bomba. Ma mi premevano dentro alcune urgenze.
Questo paese di santi e basta, con la sua venerazione per certi nuovi arrivati, è sprofondato in una palude di sciroppo andato a male. Come sempre, quando c’è unanimità nell’eulogia, o nella condanna, è la destra a finire sul podio. Il coro delle prefiche, dei corifei, dei turibolanti e sicofanti, capeggiato a sinistra dal “manifesto”, che ancora ci turlupina e insulta padri nobili, martiri e resistenti con la testatina “quotidiano comunista”, si è sdraiato a scendiletto sotto i calzari del papa cresciuto a tu per tu con chi torturava e lanciava dagli aerei le sue pecorelle smarrite. I suoi commenti al prodigio della comparsa del nuovo Francesco, su questo specchio da cui il riflesso del papa si proiettava accecante sul lettore, ha fatto arrampicare i più illustri santoni del cattolicesimo sedicente di base. Da lissù hanno sparso sulle pagine oceani di brodo di giuggiole: l’italiano Raniero La Valle e il brasiliano Leonardo Boff. L’accredito esultante dato da quest’ultimo è un clamoroso esempio di sindrome di Stoccolma. Spretato e bastonato a sangue da una successione di pontefici che la religione interpretavano alla maniera di tutti gli aguzzini succedutisi nel tempo nello spolpamento dei latinoamericani, si è prostrato davanti a questa foglia di fico cristiana dei serial killer Videla e Massera, inneggiando al “papa dei poveri”. Ove si constata che un prete rimane pur sempre un prete e che la sua vocazione a spogliarsi di senno e dignità, appiattendosi al fischio del padrone, è immarcescibile.
Con i tratti giornalistici stravolti dal
rancore di chi si sa fuori tempo massimo, alla Giuliano Ferrara, “il manifesto”
ha dato fondo alle sue riserve di fango, demonizzando e ridicolizzando il
Movimento 5 Stelle, indifferente all’esibizione della frustrazione, impotenza e
invidia, classiche nei figli scemi dei grandi. Fattosi trascinare dal bluff
Svendola nelle stanze della servitù di Bersani, ha compensato il fango,
riesumando l’oro di latta dei tempi delle sue cotte per deformi all’uranio come
D’Alema, Bertinotti e il saggio Napolitano, o per fan di Obama come Ingroia.
Quanto a tutti gli altri interpreti del comune sentire, condivisa l’isteria
collettiva dei decerebrati in Piazza San Pietro, si sono intruppati nell’armata
dei lacchè per vocazione estendendo la fregola di servizio all’adorazione
di Laura Boldrini e Pietro Grasso. Due fasulloni messi a guardia del parlamento
affinchè, pentastellati o non pentastellati, nella gabbia dei vitelloni,
ladroni, mafiosi, spioni e vendipatria, non potesse emergere neanche l’ombra di
un elemento eterodosso.
E, per eccesso di ribrezzo, non voglio
nemmeno dilungarmi sul feticismo istituzionale con il quale il cadavere del
capo della polizia Manganelli (nomen omen), vampiro fulminato dal sole
della storia, è stato risuscitato dalla bara per un gala celebrativo nella
notte delle frodi e falsificazioni. Questo compare del robocop di Genova 2001,
De Gennaro, è stato glorificato per essersi fatto estrarre dalla collera
popolare e dall’evidenza delle cose una tardiva e reticente offerta di scuse.
Lui, che i macellai di quel mattatoio li ha conservati lustri, pasciuti e
promossi, a custodia della nostra sicurezza e incolumità tra Val di Susa e
Sigonella. Lui, sotto il cui manganello è stata bastonata e seviziata più gente
che nei famigerati, gloriosi, anni ’68-’77.
Come spesso di questi tempi infausti, è
stato il migliore dei giornalisti italiani a mettere dei puntini pesanti come
macigni sulle i intrecciate a corona sui capi dei neoeletti. Avete letto
Travaglio su Grasso, lo avete ascoltato quando a “Servizio Pubblico” ha fatto
inviperire un telefonico Grasso che, in precedenza, aveva denudato meglio del
ragazzino della metafora di Andersen? Puntini come pallottole a sfondare
le corazze di stagnola con cui i media e l’intero “arco costituzionale”
(purtroppo con l’inconsulto contributo di alcuni sprovveduti grillini) hanno
tentato di coprire le nefandezze di questi nuovi padri della patria.
Quel Grasso che, abusivo procuratore
antimafia grazie alle solite leggi ad personam del guitto mannaro (rigurgito
mafioso poi debitamente dal procuratore insignito di una surreale “medaglia
d’oro antimafia”, tipo Premio Nobel della Pace a Obama,) che ha tolto di mezzo
il più titolato Caselli, da tutti i bravi siciliani viene ricordato come il
freno di carbo-ceramica nella macchina giudiziaria impegnata sul secolare
connubio mafia-Stato e come il Marchionne degli operai-giudici di Palermo. E
quella Laura Boldrini, quella del discorso inaugurale da far vomitare latte
acido alle ginocchia, che tanto ama rifugiati ed emarginati da non perdere
occasione per schierarsi nel branco di orchi che masticano paesi e popoli non
ligi ai suoi datori di lavoro (leggi ONU, ma interpreta Casa Bianca). Andate a
rileggervi quale verità è riuscita a strappare dalla sua compassionevole
coscienza sul conflitto tra i l terrorismo internazionale della Cupola e
i paesi martiri Libia e Siria. Magdi Allam non avrebbe potuto dire meglio.
Quanto al Bergoglio, che capeggia le
armate postfasciste contro la presidente progressista Cristina Kirchner,
riconosciamo al “manifesto” di aver permesso che, in taglio basso, spuntasse
dalla discarica di gioielli dialettici, vuoi bigiotteria dei minus habentes, vuoi estratti dalle casseforti delle
banche, con cui ha lastricato gli anfibi del complice della dittatura argentina,
almeno la striminzita vocina delle nonne e madri di Plaza de Majo. Una voce a
cui dovrebbe essere stata riservata l’amplificazione del tuono per quanto è la
più autorevole e credibile di tutta l’Argentina. Paese nel quale il papa con
croce di ferro (cimelio delle Guardia di Ferro in cui ha militato al tempo
della Triple A e dei generali, con nostalgia per quella omonima del dittatore
nazista rumeno Codreanu), papa dei poveri (più ce ne sono e meglio stiamo), del
“buonasera”, del bacio al bimbetto, del caffè al bar, dei soldi per far finta
di pagare un albergo suo (esente-Imu), padrone della più grande proprietà
immobiliare del mondo, monarca più ricco della Regina Elisabetta, figura come
complice silente della tirannia stragista e come delatore di fratelli gesuiti.
Horacio Verbitsky, riconosciuto uno dei
seri e prestigiosi giornalisti latinoamericani, con i suoi libri sulle
malefatte del Provinciale dei Gesuiti, Arcivescovo di Buenos Aires, compagno di
merende di quel nunzio papale, Pio Laghi, che giocava a tennis con il
tagliateste Massera su un campo di pelle umana, e silente nunzio del papa da
Pinochet, non è un protestatario isolato. Ha dato e, con i suoi aggiornamenti
odierni, sta dando voce a un uragano di dolore e indignazione di tutto un
popolo che si è visto rubare due generazioni, ad accuse, prove, testimoni
sopravvissuti, contro i quali hai voglia a sparare mortaretti a salve
cianciando risentito di “campagne di una sinistra anticlericale”.
Tra tutti i dotti, esperti, storici,
vuoi sbronzi di vino della messa, vuoi consapevoli dei misfatti del gesuita,
non ne ho trovato uno che però allargasse l’analisi dell’operazione portata a
termine dai principi, valvassori e valvassini della Chiesa alla sua inesorabile
e trasparentissima dimensione geopolitica. Determinante per l’elezione,
preordinata dalla Cupola, del nuovo capo-crociata. Una dimensione
caratterizzata dall’architettura del Nuovo Ordine Mondiale, di cui Obama e i
suoi subordinati Nato sono capimastro e manovali. Bergoglio, più dello
spiritato teologo del nulla Ratzinger, più del P.R. con lama rotante del
marketing capital-imperialista-mafio-massonico, Woytila, è stato chiamato a
interpretare ed attuare il mandato conferitogli dai padroni del mondo.
Padroni maltusiani a forza di guerre, uranio, cibo spazzatura, veleni
farmaceutici, genocidi bellici ed epidemici, che, se con l’Islam se la devono
vedere a forza di terrorismo e sterminii, dalla dabbenaggine cattolica
dell’America Latina sperano di ricavare risultati mediante i metodi della
circonvenzione degli incapaci.
Mettiamocelo in testa, lacerando le
mistificazioni del coro di utili idioti e amici del giaguaro: questo papa, non
è solo il detrito di una storia di orrende scelleratezze psicofisiche. E’, per
il subcontinente americano e un bel po’ di mondo, l’Anti-Chavez. Colui che,
muovendosi sul fronte dello spirito in parallelo col fronte del terrorismo
politico-economico-militare, ha per missione l’evangelizzazione dei
latinoamericani, intesa come rientro nella normalità dopo la sbronza di
libertà, giustizia e dignità fattagli prendere dai coppieri Chavez, Morales,
Correa, Kirchner. Come Woytila (e i denari mafiosi di CIA e IOR) è stato il
salafita cattolico da lanciare contro l’ottimo generale comunista Jaruzelski in
Polonia, la pipeline di acido muriatico con cui inondare il mondo, pur
stentarello, del “socialismo reale”, come Ratzinger ne è stato il continuatore
nel fornire autorità morale alle oscenità del turbocapitalismo sociale e di
guerra (l’Angelus sulle “violenze del regime siriano”, i buffetti al terminator
Monti).
Mesi, probabilmente anni, prima, la
sfilza di rossi imbonitori del culto dello schiavismo che hanno fatto uscire
dal camino la fumata bianca, già sapeva chi avrebbe dovuto, per ordine
dell’empireo di necrofori, mettere a capo della Chiesa, degli immensi botti
rapinati, dell’offensiva controrivoluzionaria in America Latina e, per perversa
proprietà transitiva, nel mondo. Obiettivo, riavvolgere come un tappeto il
subcontinente insubordinato e, come fanno certi assassini cinematografici,
seppellire il tappeto con dentro i popoli latinoamericani dove nessuno lo possa
più trovare. L’alleanza spada-croce non è mai venuta meno quando si è trattato
di spegnere la luce.
Bergoglio è espressione di quella Chiesa
del crimine cristiano che, oggi come sempre, ha accompagnato con novene e
incenso la marcia dei cannibali coloniali. Dagli spagnoli e portoghesi ai loro
successori anglosassoni. Dai vicerè ai despoti locali, incaricati a favorire le
depredazioni dei padrini lontani e a raccattarne i cascami. L’immenso bagno di
sangue in cui sono stati fatti annegare milioni di nativi e di proletari
immigrati, lo sconfinato deserto di spoliazione e aridità in cui è stato
trasformata parte vastissima del loro meraviglioso habitat, per cinque secoli,
fino al Che, Fidel e Hugo, si è visto percorrere da carrozze d’oro
cingolate, con a bordo gente in tonaca e zucchetto in testa e, sul cocchio, qualche
gallonato conducator.
Hugo Chavez e gli altri protagonisti di
una rinascita latinoamericana che ha dato fuoco alle polveri nel mondo avevano
fatto saltare le carrozze d’oro, alla maniera con cui i resistenti afghani
fanno saltare i tank Usa, utilizzando improvised explosive devices (IED) come il trasferimento della ricchezza dall’alto in basso, la salute,
la conoscenza, la partecipazione, il calcio in culo ai grassatori, la sovranità
alimentare, economica, culturale, nazionale.
Occorreva porre rimedio, occorreva
radere al suolo le teologia della liberazione, colmando gli spazi ricuperati
con una gerarchia cocotte di ogni fascismo e con la dottrina della vera fede.
Quella di Costantino, che ha massacrato più pagani intelligenti di quanti Roma
ne avesse mai eliminati di cristiani farlocchi, col fine di rendere a dio quel
che è di dio, cioè il monopolio dei vescovi sulle ricchezze dell’impero. Poi
diventato sacro e cristiano fino a Bush e Obama, Mussolini e Andreotti, Monti e
Bersani.
Oggi ci si prostra ai piedi del
castigamatti estratto dalla roulette russa dell’Operazione Condor. Niente
triregno, ma unghie affilate come lame, che spuntano dai guanti bucati del
“povero”. La povertà è diventata la virtù cardinale. La guerra il
peggiore dei mali. Più poveri ci sono e meglio stiamo. Senza, saremmo alla
frutta. E vediamo quanto poco dovremo aspettare prima che il rifiuto della
guerra proclamato dal papa trasformi le atrocità e le armi chimiche dei
terroristi islamisti in rifiuto di Assad , delle “sue atrocità” e delle “sue
armi chimiche”. E le guerre degli psicopatici di Washington in “battaglie per i
diritti umani”. Le buone intenzioni annunciate dal papa, riecheggiate nel
giubilo di fedeli e nel plauso codino dei commentatori, hanno lastricato la
strada.
Notarella finale. Sono davvero stufo di
tutti quelli che ululano contro Grillo perché sarebbe fascista e contro i
sindacati “come il fascismo”. Hanno tutti imparato da Berlusconi e dai suoi
gazzettieri come si vada estrapolando una parola, tagliando il resto e
mistificando il tutto. Grillo e i suoi hanno, sì, auspicato la cacciata dei
sindacati. Ma di quali? Zitti e mosca. Che abbia connotato l’assunto con la
specifica fondamentale che, invece, gli vanno benissimo la FIOM e i
sindacati di base è stato accuratamente occultato. Con una Camusso, un
Angeletti, un Bonanni negli ingranaggi dell’emancipazione operaia, chi non
sarebbe d’accordo con Grillo? Lasciamo il livore ai frustrati e sconfitti,
godiamoci sconquasso e panico dei sinistrati da Grillo e aspettiamo di vedere.
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