lunedì 28 novembre 2011

NAUFRAGIO MIGRANTI MARINA DI CAROVIGNO - Comuniscato del PRC

NAUFRAGIO MIGRANTI MARINA DI CAROVIGNO (BRINDISI) ....Ne mancano almeno una trentina, conti - approssimativi - alla mano. Li cercano da ieri, per mare e per terra, con un mare che continua ad essere gonfio di rabbia e le campagne di Carovigno. È il giorno dopo il disastro della “Gloria”, la barca a vela di 11 metri che si è infilata tra gli scogli di Torre Santa Sabina. Tre corpi restituiti dalle onde, per loro un viaggio della speranza sola andata, partiti dalla Turchia nei giorni scorsi e diretti verso una vita migliore, sotto la minaccia di un coltello degli scafisti che hanno condiviso la rotta e il naufragio. 

C’erano 72 giovani asiatici su quella barca, afghani, iracheni e anche dal Bangladesh, o forse più, perché è difficile ricostruire il percorso e la storia di una barca che come tante altre doveva essere uno scafo fantasma e ormeggiare silenziosamente nel buio, per permettere agli occupanti di dileguarsi nella notte tra i campi. Quelli che sono rimasti, 43, tolti due ricoverati in ospedale ad Ostuni, sono stati alloggiati al centro di assistenza richiedenti asilo di Restinco, in provincia di Brindisi. La gran parte di loro sarebbero minorenni, gli altri tra i 20 e i 30 anni, ma nessuno di loro aveva documenti e non è nemmeno semplice parlarci e farsi spiegare chi sono e cosa sia successo, perché tra i loro dialetti ci sono molte parole che sfuggono a chi deve tradurre in italiano. 

Dai loro racconti e dalle loro confuse parole, paracadutati di schianto in un altro mondo dopo un viaggio per mare non certo indimenticabile, i soccorritori e le forze dell’ordine sono arrivati appunto alla conclusione che sono diverse decine quelli che mancano all’appello. Diversi di loro si sono allontanati subito dal luogo dove la barca si è impigliata, appena scaraventati sulla spiaggia, nel buio di una sera di mare forza cinque ma terrorizzati più per un’eventuale identificazione, sagome nel buio verso l’ignoto. «Non chiamate la polizia» avrebbero detto alcuni di loro, i primi ad essere trovati e soccorsi, dopo che qualche passante aveva dato l’allarme vedendo la sagoma bianca della Gloria infilata tra le rocce che in quel tratto di costa sono molto frastagliate e pericolose. 

Volevano sbarcare nel futuro e invece alcuni di loro sono finiti in fondo al mare, come il terzo corpo recuperato ieri dai sommozzatori. Il cadavere era nascosto da detriti e materiali persi dalla barca, spinto dalle correnti insieme al resto sul fondo di una conca, all’imboccatura dell’insenatura che è stata fatale alla barca e ai suoi occupanti. Carnagione e occhi chiari, potrebbe essere però lui uno dei tra scafisti a bordo, gli altri due sarebbero fuggiti dopo l’approdo, uno dei quali il curdo che minacciava gli immigrati con un coltello. Avrebbero pagato migliaia di euro ciascuno, quei migranti, un copione noto in questo luttuoso naufragio che per le forze dell’ordine e per chi vive da quelle parti è «l’ennesimo sbarco» di una migrazione silenziosa e incessante, come gocce da un rubinetto che è puntato sul nostro paese e sulle nostre coste ormai da vent’anni. 

ALL’INIZIO DEGLI ANNI 90 
Arrivò a Bari, mezz’ora di auto più a nord, all’alba degli anni 90, la prima enorme carretta del mare che ci spalancò brutalmente gli occhi sugli altri mondi vicini al nostro e molto meno fortunati. Ancora più di giù di Carovigno, invece, l’emergenza immigrazione in Puglia creò in Salento una struttura che doveva essere un fiore all’occhiello, il Regina Pacis di San Foca. In quella struttura, adesso tristemente abbandonata a se stessa, le cose invece non andarono come molti pensavano, anche altolocati ai piani alti della politica e delle istituzioni. Per quei fatti e quelle vicende che hanno messo in imbarazzo anche l’ormai deceduto ex vescovo di Lecce, monsignor Francesco Ruppi, verso la fine degli anni ‘90, don Cesare Lodeserto, l’uomo che era il simbolo e il leader del Regina Pacis, ha avuto una lunga serie di vicissitudini giudiziarie. 

L’ultima delle quali, proprio nei giorni scorsi, con la condanna della Corte di appello di Lecce all’ex direttore della struttura a 4 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dei pubblici uffici per peculato. Il sacerdote avrebbe trasferito su propri e altrui conti nove miliardi di lire destinati al centro di accoglienza. Una sentenza che ribalta quella di assoluzione emessa nel 2006 e che pone altri interrogativi sul religioso che da ormai da diversi anni risulta risiedere in Moldavia, a Chisinau, mentre la fondazione Regina Pacis non è stata liquidata, ma trasferita a Mantova, dove peraltro sbarchi ed emergenze umanitarie non sono all’ordine del giorno. 

Per la tragedia di Santa Sabina, però, si è mobilitata anche la Cei che attraverso la sua Fondazione migrantes chiede di rivedere quote e meccanismi per fronteggiare con più umanità e tempismo il nodo immigrazione: «Canali protetti per gli arrivi in mare, più cooperazione internazionale, rivedere le quote per gli ingressi in Italia e in Europa, in particolare dai Paesi mediterranei che vivono rivolte e instabilità» sostengono i vescovi che in buona sostanza propongono di aumentare gli ingressi, proprio mentre dal ministero del Lavoro si esclude un decreto sui flussi per saturazione del mercato.v—


PRC Carovigno

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