giovedì 26 luglio 2012

Festa Rossa, stasera a Stagno dibattito sul futuro del porto


Festa Rossa, stasera a Stagno dibattito sul futuro del porto 
LIVORNO Nell'ambito della Festa Rossa, organizzata dalla Federazione della Sinistra di Livorno, stasera alle 21,si terrà nell'area attrezzata di Stagno, accanto alla pista ciclabile Mancini, l'incontro-dibattito dal titolo "La portualità e il lavoro portuale. Una risorsa strategica per l'economia italiana". In dibattito vedrà la partecipazione di esponenti di primo piano del settore portuale e amministratori locali. Introduce Mauro Grassi, segretario del circolo porto Prc - Fds Livorno. Partecipano, tra gli altri, il presidente dell’Authority Giuliano Gallanti e il sindaco Alessandro Cosimi. 

«La Compagnia non ci abbandoni» 
I portuali dismettono: a rischio i 44 posti del Faldo. I lavoratori della Global Service Car chiamano l’avvocato 


LIVORNO I lavoratori raccontano che ai tempi d’oro del porto e della Compagnia, quando nelle liste dei figli “in attesa” iniziarono a spuntare le figlie, fu lo stesso Italo Piccini a raccomandare di avere pazienza «perché apriremo il Faldo, è un lavoro diverso da quello delle banchine, si adatta bene anche alle donne». Ecco perché oggi dei 44 dipendenti della Global Service Car più di 30 sono donne, quasi tutte figlie di portuali. Global Service Car è quella società controllata da Cpl che dal 2004 si occupa della movimentazione auto al Faldo. La società è legata da un contratto di servizi alla Autotrade & Logistics, del gruppo Koelliker, che con la Compagnia si spartisce l’immenso autoparco di Guasticce. Dopo avere annunciato di voler vendere quel Faldo che doveva rappresentare il ramo fiorente del nuovo business aziendale, la Compagnia ha comunicato che anche la Global sta nel piano di dismissioni pensato per risanare i conti. In altre parole: sarà venduta, trasformata. «Ma mentre le altre società satellite sono scatole vuote – alzano la voce i dipendenti – qui ci sono 44 lavoratori e attività che stanno in piedi». Così oltre la metà delle tute arancioni si è rivolta all’avvocato Marco Guercio «per capire cosa ne sarà di noi, fino a oggi nessuno ci ha dato risposte, neppure i sindacati. Ci hanno detto solo che entro il 30 settembre sapremo di che morte dobbiamo morire». «Dopo una chiusura in perdita – spiega Francesco Bruzzoni, 51 anni – a inizio 2012 la Compagnia ci ha chiesto un sacrificio e abbiamo rinunciato al premio di produzione. Avevamo un contratto di solidarietà, che è tornato alla normalità quando a giugno le attività sono riprese e c’è stato bisogno degli interinali». Nel frattempo, però, è arrivata la doccia fredda. «Abbiamo chiesto un incontro ai vertici della Compagnia – riprendono i lavoratori – e ci è stato risposto che l’unica possibilità che abbiamo è trasformarci in cooperativa». Ipotesi che non convince i diretti interessati che si sono rivolti al legale proprio per vedere i bilanci e fare per tempo un progetto di fattibilità. «Anche perché – si lasciano scappare – in ballo ci sono anche 400 mila euro di Tfr e la società ha un capitale sociale di appena 50mila». «Non sappiamo ancora che fine farà il Faldo – riprendono – ma a quanto pare non c’è possibilità di restare legati agli attuali soci. Chiediamo che la Compagnia faccia chiarezza e faccia di tutto per trovare un soggetto terzo che garantisca continuità lavorativa». Tra le stanze del Palazzo del Portuale sono circolati alcuni nomi di potenziali acquirenti, ma niente di concreto. In area Pd si fa strada l’ipotesi Manutencoop, la realtà bolognese che opera già in città. «Qui ci sono 40 famiglie che rischiano il posto – sottolinea Guercio – crediamo che ci siano ancora i margini per recuperare la situazione, ma basta con il silenzio, si faccia chiarezza. Confidiamo nell’intervento di Cpl, sindacati e istituzioni». Seduti intorno al tavolo del legale ci sono Francesca Becagli, 31 anni, una figlia di 6, Gerardo Cioni, 30 anni, casa appena comprata e mutuo da pagare. Fabio Barbanti, 38 anni, un figlio di 5, un bimbo in arrivo e la moglie anche lei lavoratrice al Faldo. Qualcuno ha lasciato il posto che aveva «perché qui c’era una prospettiva migliore». Per altri è il primo vero impiego (vale, ad esempio, per Federica Mazzeraghi). Le storie si assomigliano tutte. E assomigliano a quelle di altre società in bilico. Solo che qui c’è il fastidio di sentirsi «portuali di serie B», «figliastri, più che figli, della Compagnia». Lo ripetono in parecchi, intorno al tavolo: «Oggi nessuno è garantito, ma non ci abbandonino». Juna Goti ©RIPRODUZIONE RISERVATA 

Perché gli inceneritori sono indispensabili 
REPLICA di CRISTIANO TONCELLI Le affermazioni di Andrea Romano (Il Tirreno - 20/7) includono diverse imprecisioni. Il neosegretario di Idv ad esempio afferma che inceneritori e discariche non servirebbero perché alcuni impianti di trattamento a freddo superano il 95% di efficienza. Dimentica un piccolo particolare, cioè che questi impianti (quali quelli della toscana Revet o del più famoso Centro Vedelago) trattano solo i rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata, idealmente quindi il 65% del totale, mentre il restante 35% va comunque smaltito altrimenti. Cosa che infatti succede anche nella virtuosa Capannori, a cui Legambiente ha pochi giorni fa attribuito ("Comuni Ricicloni 2012") una differenziata del 68,7%. Romano non cita dove va il restante 31,3%, cioè la discarica di Peccioli. Circa cosa è previsto dalle direttive europee, basta citare il caso della Germania, che al 62% di riciclo affianca un 38% di incenerimento ed uno zero tondo di conferimenti in discarica. Sul fatto che la UE di sia espressa in modo contrario agli inceneritori, a Bruxelles sono in attesa che qualcuno glielo spieghi, anche perché hanno detto altro. Sull'importanza degli impianti nel ciclo dei rifiuti citiamo come testimone l'Italia dei Valori stessa, che ha approvato l'ampliamento della discarica di Scapigliato, senza contare che in regione dovrebbe approvare il Piano Regionale che prevederà diversi impianti. Sull'inquinamento infine ci sarebbe molto da dire su chi veramente produce le maggiori emissioni, ma facciamo notare che l’Italia dei valori ha firmato a settembre scorso il documento "verso il 2014" che prevedeva il raddoppio dell'impianto livornese. Un po' strano, se veramente si pensasse che ci sono rischi per la salute. Alla fine, quindi, ben venga un impegno vero ad aumentare il riciclo (su cui siamo in cronico ritardo), ma senza dimenticare che un ciclo dei rifiuti è un sistema complesso, che mal si adatta agli assunti ideologici che disegnano strategie tanto perfette quanto inapplicabili. (Progetto per Livorno ex assessore all'ambiente)

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