martedì 1 novembre 2011

Crisi economica, crisi di sistema, crisi di civiltà


note di classe
di brugio

CIVILTA’ IN CRISI
Ovvero come salvare il diritto all’istruzione per tutti dalla crisi di sistema

Crisi economica, crisi di sistema, crisi di civiltà
La crisi economica morde duramente tutti i settori della società: la disoccupazione è oltre l’8%, di cui il 25% giovanile, la precarietà è diventata una forma strutturale di impiego, che causa discontinuità e frammentarietà di lavoro; chi mantiene un contratto stabile vede ridursi diritti, salari e stipendi, nel settore privato le deroghe ai contratti nazionali sono ormai possibili dopo la “dichiarazione di guerra” ai sindacati “non collaborazionisti e di comodo” da parte di Marchionne alla FIAT. Non è più sufficiente infatti essere “concertativi”: si è aperta l’assalto finale del padronato anche alle garanzie costituzionali per ottenere la resa definitiva delle controparti ed eliminare il potenziale conflitto anche solo come ipotesi e simulazione.
Anche i lavoratori del Pubblico Impiego sono sottoposti ad un attacco pesantissimo, sia per quanto riguarda i diritti, sia per l’aspetto economico: dopo una lunga campagna offensiva e denigratoria, Brunetta ha lanciato l’assedio ai “privilegi” del comparto pubblico con la legge che prevede aumenti esponenziali del carico di lavoro per accedere alle progressioni economiche e giuridiche di carriera nonché la possibilità di licenziamento per il personale inefficiente (cioè dai rendimenti semplicemente standard, che rifiuta incarichi aggiuntivi e straordinari); a questo si aggiungano le manovre economiche che sottraggono risorse a tutti i settori pubblici (sanità, Enti Locali, istruzione e università, cultura, musei) dal 2008, le Leggi di Stabilità (ex Finanziarie) e i Decreti “Sviluppo” dell’ultimo semestre e avremo il quadro della volontà di smagrire il settore pubblico con la giustificazione/scusa di “ripianare il debito”, mentre l’obiettivo (a livello europeo e ben interpretato in sede nazionale) è quello di ridimensionare, non essendo possibile smantellare del tutto, i servizi di pubblica utilità (sociale) e le risorse di interesse comune (quello che oggi vengono definiti beni comuni) a favore dell’offerta di privati sul mercato della concorrenza in ossequio al principio di sussidiarietà, a cui si è opportunamente preparato il terreno.
La lotta di classe contro lo Stato costituzionale inteso come entità pubblica generale di e per tutte le componenti sociali - interclassista, ma solidale e redistributivo di salario sociale indiretto (servizi) e differito (previdenza, pensioni – ha raggiunto il punto più acuto, facendo riemergere in tutta la sua brutalità il conflitto insanabile e feroce tra gli interessi del padronato, della borghesia imperialistica, della speculazione finanziaria da una parte e quelli degli sfruttati ovunque collocati nella gradazione dell’immiserimento collettivo. Come nel privato la linea di scontro Marchionne ha prodotto le sospensioni costituzionali con l’articolo 8 del Decreto sviluppo dell’estate, promosso dal Ministro del Welfare e Lavoro (!) Sacconi, a cui si collegano le proposte di assunzioni a salari variabili, individuali, congelati, senza garanzie contro il licenziamento e chi più ne ha più ne metta, così nel pubblico si è proceduto negli ultimi due anni alla sospensione/rinvio sine die  dei rinnovi contrattuali e al congelamento degli scatti di anzianità e della progressione economica di almeno tre anni per ogni lavoratore, slittamento della liquidazione del TFR (Trattamento di Fine Rapporto) da sei mesi a due anni e innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per le donne e a 67 per gli uomini. Un bell’esempio di come l’esecutivo (la parte organica al padronato, il “creativo” Tremonti e il già citato “falco” Sacconi) risponda alle indicazioni politiche di uno dei più potenti tra i veri padroni del governo in Italia, Marchionne: la doppia tenaglia della distruzione dei contratti nazionali, del ridimensionamento di diritti, salari e pensioni, del rovesciamento del principio di eguaglianza nella remunerazione nel settore privato da un lato; la trasformazione del lavoro pubblico in puro strumento al servizio dei profitti con la privatizzazione dei rapporti di lavoro e la trasformazione delle finalità sociali dei servizi pubblici nella valorizzazione del capitale con criteri di efficienza e produttività propri del comparto privato dall’altro, riportano ad una ideologia ottocentesca che vuole ricondurre lo Stato a funzioni di garanzia degli interessi e della sicurezza delle classi padronali e possidenti con azioni meramente repressive e militari, di gendarme interno e esterno.

La scuola della crisi
Il quadro che abbiamo tratteggiato non ci permette di essere ottimisti rispetto alla situazione della cultura e in particolare di scuola e università. Le risorse in continua riduzione da ormai almeno un decennio colpiscono sia gli stipendio del personale che gli investimenti di carattere organizzativo e didattico. I tagli agli organici hanno prodotto in poco meno di dieci anni un ridimensionamento del personale della scuola di oltre 130mila unità, se contiamo il personale precario docente e ATA con almeno tre anni continuativi di incarichi: il più grande licenziamento di massa della storia italiana, superiore pure a quello della FIAT negli anni ’80, e che fa impallidire le prospettive di licenziamento di 30mila statali annunciati dall’esecutivo in Grecia per evitare (inefficacemente) la bancarotta dello Stato. Questa operazione è stata possibile con il blocco del turn over e il mancato rimpiazzo di coloro che sono andati in pensione in questi anni con assunzioni a tempo indeterminato, con l’aumento della media di alunni per classe e l’accorpamento delle classi, con il restringimento dell’orario e delle discipline operate attraverso le riforme Moratti (su scuola elementare e media) e Gelmini (scuola superiore) che hanno tagliato tempo pieno, compresenze, materie, orario settimanale, laboratori, figure professionali, personale tecnico, amministrativo e addetto alla vigilanza e pulizia. La didattica ne ha risentito pesantemente: ai problemi organizzativi e di sicurezza legati alla mancanza di risorse economiche si aggiungono le devastanti conseguenze di un inesistente progetto pedagogico-educativo, di un’assenza di riflessione e proposta didattico-formativa e dalla trasformazione delle istanze economiche compatibili con il sistema del capitale nella sua forma liberista in pseudo-indicazioni culturali fondate su meritocrazia e selezione.
L’effetto è quello di una perdita di senso, di ritorno al passato per quanto riguarda la selezione tra chi ha ruolo sociale e mezzi familiari per poter continuare gli studi e chi non potrà permettersi questo “lusso” per mancanza di possibilità economiche, mentre si evidenzia al contempo un’accelerazione nichilista anche nelle scuole “d’elite” per la borghesia (licei, in particolare il classico) e nelle università con una scuola in cui la didattica non propone percorsi critici di crescita culturale e civile, ma solamente l’addestramento alla formazione di competenze flessibili da poter spendere in un mercato del lavoro (anche intellettuale) sempre più asfittico e travagliato dalla peste endemica della precarietà per le generazioni dai quaranta anni in giù.
La devastazione che la destra abbarbicata attorno a Berlusconi sta compiendo permea in profondità le strutture portanti dell’istruzione e della formazione culturale e della ricerca nel nostro Paese, aggravando ulteriormente la frantumazione dei saperi che già il centrosinistra ha intrapreso sulla base degli orientamenti europei dettati dalla logica aziendalistica, padronale, liberista: in una parola capitalistica.

Nuove regole di ingaggio: TFA, reclutamento del personale, misurazione INVALSI
Ecco così che al danno del taglio degli organici con la conseguente dequalificazione dell’intervento educativo e didattico-pedagogico si aggiunge la beffa delle assunzioni che rappresentano una parte insufficiente rispetto alle esigenze reali della scuola italiana: per effetto del Decreto legge 72/11, che prevedeva la stabilizzazione di docenti e ATA, da anni in servizio nella scuola, su tutti i posti liberi nel triennio 2011/2013, 67mila tra docenti e ATA sono stati assunti a tempo indeterminato questa estate. Tuttavia, questo provvedimento non consente di coprire il reale fabbisogno delle scuole, ma soprattutto omette di indicare il pesantissimo taglio al personale operato in questi anni e non ancora concluso (130/140mila). Insomma, organici profondamente ridimensionati nei numeri, per ottemperare a quella linea di dimagrimento del personale del pubblico impiego che è un obiettivo strategico del sistema europee in generale e del governo Berlusconi, con il particolare (e personale) accanimento di un ministro greve e impresentabile come Brunetta. Ma non è tutto. Il decreto citato prevedeva anche che il provvedimento di assunzione non comportasse spese aggiuntive per lo Stato, dunque era necessario bloccare gli stipendi dei neoassunti per molto tempo: i nuovi assunti sono stati dunque costretti ad accettare un contratto che lede profondamente i propri diritti, primo fra tutti quello di vedere riconosciuta la progressione economica prevista dal contratto nazionale (peraltro ormai scaduto da due anni): i neoassunti avranno pertanto lo stipendio bloccato al livello minimo iniziale per nove anni, così lo Stato continuerà a risparmiare su questo personale come è avvenuto per anni e anni nonostante che le scuole ne abbiano una evidente necessità.
L’assunzione di nuovo personale a queste condizioni è stata accettata dai sindacati di categoria, tranne Cobas Scuola e FLC/CGIL, e rappresenta un pericoloso precedente di scambio tra diritti e salario in cambio di stabilizzazione del rapporto di lavoro: uno strappo al principio costituzionale dell’eguale retribuzione a parità di mansioni.
Vi è inoltre un altro capitolo importante che si aprirà nei prossimi mesi e anni e riguarda il reclutamento, cioè i criteri con cui si definiscono le condizioni per l’individuazione del personale da assumere. Il Ministero ha avviato le procedure per un processo che apre le porte di fatto all’assunzione diretta da parte dei dirigenti delle scuole (o di reti di scuole): il Tirocinio Formativo Attivo (TFA), a cui si accede con una prova basata su test altamente selettiva,  è il primo passo di un complesso percorso per il raggiungimento dell’abilitazione all’insegnamento (se ne potrà frequentare solo uno relativo ad una disciplina o ad un gruppo disciplinare) al termine del quale occorre affrontare un concorso di scuola o di rete di scuole, per poter poi entrare in una graduatoria di istituto (o di istituti in rete). La caratteristica del test di ammissione, il percorso del tirocinio (organizzato a pagamento da università in rete), il concorso e l’inserimento in graduatorie di istituto (o di istituti in rete) prefigurano una selezione di personale il più possibile acritico, formato sugli standard oggettivi misurabili con test INVALSI, ideologicamente neutro e privo di personalità culturale autonoma.
Infine, a proposito di test INVALSI, è ormai ammesso dallo stesso Ministro Gelmini che essi serviranno a misurare il lavoro degli insegnanti sulla base dei risultati ottenuti dagli studenti (intervista a la Repubblica del 9 ottobre); infine, nella lettera che Berlusconi ha scritto pochi giorni fa per rassicurare l’Europa di Sarkel-Merkozy emerge chiaramente l’intenzione di intervenire sulle scuole che hanno manifestato i risultati peggiori nei test INVALSI: in stagione di vacche magre, è più che lecito pensare che no ci saranno risorse da investire in quelle scuole per potenziarne l’efficacia didattica, quanto piuttosto l’accorpamento e lo sfoltimento del personale.

Un obolo alla Chiesa: affidarsi ai santi per salvarsi dalle crisi
Per concludere, un brevissimo contrappunto alla bozza di Legge di Stabilità 2012 in cui si prevede un finanziamento di 242 milioni di euro alle scuole private che in Italia sono, al 90%, in mano alla Chiesa. Probabilmente il governo non sa più a che santo votarsi per sopravvivere alla crisi economica e politica e cerca dunque di imbonire un Vaticano e un mondo cattolico sempre più ostili.

(30 ottobre 2011)

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