note di
classe
di brugio
CIVILTA’
IN CRISI
Ovvero come salvare il diritto
all’istruzione per tutti dalla crisi di sistema
Crisi economica, crisi di sistema, crisi di
civiltà
La crisi
economica morde duramente tutti i settori della società: la disoccupazione è
oltre l’8%, di cui il 25% giovanile, la precarietà è diventata una forma
strutturale di impiego, che causa discontinuità e frammentarietà di lavoro; chi
mantiene un contratto stabile vede ridursi diritti, salari e stipendi, nel
settore privato le deroghe ai contratti nazionali sono ormai possibili dopo la
“dichiarazione di guerra” ai sindacati “non collaborazionisti e di comodo” da
parte di Marchionne alla FIAT. Non è più sufficiente infatti essere
“concertativi”: si è aperta l’assalto finale del padronato anche alle garanzie
costituzionali per ottenere la resa definitiva delle controparti ed eliminare
il potenziale conflitto anche solo come ipotesi e simulazione.
Anche i
lavoratori del Pubblico Impiego sono sottoposti ad un attacco pesantissimo, sia
per quanto riguarda i diritti, sia per l’aspetto economico: dopo una lunga campagna offensiva e denigratoria,
Brunetta ha lanciato l’assedio ai “privilegi” del comparto pubblico con la
legge che prevede aumenti esponenziali del carico di lavoro per accedere alle
progressioni economiche e giuridiche di carriera nonché la possibilità di
licenziamento per il personale inefficiente (cioè dai rendimenti semplicemente
standard, che rifiuta incarichi aggiuntivi e straordinari); a questo si
aggiungano le manovre economiche che sottraggono risorse a tutti i settori
pubblici (sanità, Enti Locali, istruzione e università, cultura, musei) dal
2008, le Leggi di Stabilità (ex Finanziarie) e i Decreti “Sviluppo” dell’ultimo
semestre e avremo il quadro della volontà di smagrire il settore pubblico con
la giustificazione/scusa di “ripianare il debito”, mentre l’obiettivo (a
livello europeo e ben interpretato in sede nazionale) è quello di
ridimensionare, non essendo possibile smantellare del tutto, i servizi di pubblica utilità (sociale) e
le risorse di interesse comune
(quello che oggi vengono definiti beni
comuni) a favore dell’offerta di privati sul mercato della concorrenza in
ossequio al principio di sussidiarietà, a cui si è opportunamente preparato il
terreno.
La lotta di
classe contro lo Stato costituzionale inteso come entità pubblica generale di e
per tutte le componenti sociali - interclassista, ma solidale e redistributivo
di salario sociale indiretto (servizi) e differito (previdenza, pensioni – ha
raggiunto il punto più acuto, facendo riemergere in tutta la sua brutalità il
conflitto insanabile e feroce tra gli interessi del padronato, della borghesia
imperialistica, della speculazione finanziaria da una parte e quelli degli
sfruttati ovunque collocati nella gradazione dell’immiserimento collettivo.
Come nel privato la linea di scontro Marchionne ha prodotto le sospensioni
costituzionali con l’articolo 8 del Decreto sviluppo dell’estate, promosso dal
Ministro del Welfare e Lavoro (!)
Sacconi, a cui si collegano le proposte di assunzioni a salari variabili,
individuali, congelati, senza garanzie contro il licenziamento e chi più ne ha
più ne metta, così nel pubblico si è proceduto negli ultimi due anni alla
sospensione/rinvio sine die dei rinnovi contrattuali e al congelamento
degli scatti di anzianità e della progressione economica di almeno tre anni per
ogni lavoratore, slittamento della liquidazione del TFR (Trattamento di Fine
Rapporto) da sei mesi a due anni e innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni
per le donne e a 67 per gli uomini. Un bell’esempio di come l’esecutivo (la
parte organica al padronato, il “creativo” Tremonti e il già citato “falco”
Sacconi) risponda alle indicazioni politiche di uno dei più potenti tra i veri
padroni del governo in Italia, Marchionne: la doppia tenaglia della distruzione
dei contratti nazionali, del ridimensionamento di diritti, salari e pensioni,
del rovesciamento del principio di eguaglianza nella remunerazione nel settore
privato da un lato; la trasformazione del lavoro pubblico in puro strumento al
servizio dei profitti con la privatizzazione dei rapporti di lavoro e la
trasformazione delle finalità sociali dei servizi pubblici nella valorizzazione
del capitale con criteri di efficienza e produttività propri del comparto privato
dall’altro, riportano ad una ideologia ottocentesca che vuole ricondurre lo
Stato a funzioni di garanzia degli interessi e della sicurezza delle classi
padronali e possidenti con azioni meramente repressive e militari, di gendarme
interno e esterno.
La scuola della crisi
Il quadro
che abbiamo tratteggiato non ci permette di essere ottimisti rispetto alla
situazione della cultura e in particolare di scuola e università. Le risorse in
continua riduzione da ormai almeno un decennio colpiscono sia gli stipendio del
personale che gli investimenti di carattere organizzativo e didattico. I tagli
agli organici hanno prodotto in poco meno di dieci anni un ridimensionamento
del personale della scuola di oltre 130mila unità, se contiamo il personale
precario docente e ATA con almeno tre anni continuativi di incarichi: il più
grande licenziamento di massa della storia italiana, superiore pure a quello
della FIAT negli anni ’80, e che fa impallidire le prospettive di licenziamento
di 30mila statali annunciati dall’esecutivo in Grecia per evitare
(inefficacemente) la bancarotta dello Stato. Questa operazione è stata
possibile con il blocco del turn over
e il mancato rimpiazzo di coloro che sono andati in pensione in questi anni con
assunzioni a tempo indeterminato, con l’aumento della media di alunni per
classe e l’accorpamento delle classi, con il restringimento dell’orario e delle
discipline operate attraverso le riforme Moratti (su scuola elementare e media)
e Gelmini (scuola superiore) che hanno tagliato tempo pieno, compresenze,
materie, orario settimanale, laboratori, figure professionali, personale
tecnico, amministrativo e addetto alla vigilanza e pulizia. La didattica ne ha
risentito pesantemente: ai problemi organizzativi e di sicurezza legati alla
mancanza di risorse economiche si aggiungono le devastanti conseguenze di un
inesistente progetto pedagogico-educativo, di un’assenza di riflessione e
proposta didattico-formativa e dalla trasformazione delle istanze economiche
compatibili con il sistema del capitale nella sua forma liberista in
pseudo-indicazioni culturali fondate su meritocrazia e selezione.
L’effetto
è quello di una perdita di senso, di ritorno al passato per quanto riguarda la
selezione tra chi ha ruolo sociale e mezzi familiari per poter continuare gli
studi e chi non potrà permettersi questo “lusso” per mancanza di possibilità
economiche, mentre si evidenzia al contempo un’accelerazione nichilista anche
nelle scuole “d’elite” per la
borghesia (licei, in particolare il classico) e nelle università con una scuola
in cui la didattica non propone percorsi critici di crescita culturale e
civile, ma solamente l’addestramento alla formazione di competenze flessibili
da poter spendere in un mercato del lavoro (anche intellettuale) sempre più
asfittico e travagliato dalla peste endemica della precarietà per le
generazioni dai quaranta anni in giù.
La
devastazione che la destra abbarbicata attorno a Berlusconi sta compiendo
permea in profondità le strutture portanti dell’istruzione e della formazione
culturale e della ricerca nel nostro Paese, aggravando ulteriormente la
frantumazione dei saperi che già il centrosinistra ha intrapreso sulla base
degli orientamenti europei dettati dalla logica aziendalistica, padronale,
liberista: in una parola capitalistica.
Nuove regole di ingaggio: TFA, reclutamento
del personale, misurazione INVALSI
Ecco così
che al danno del taglio degli organici con la conseguente dequalificazione
dell’intervento educativo e didattico-pedagogico si aggiunge la beffa delle
assunzioni che rappresentano una parte insufficiente rispetto alle esigenze
reali della scuola italiana: per effetto del Decreto
legge 72/11, che prevedeva la stabilizzazione di docenti e ATA, da anni in
servizio nella scuola, su tutti i posti liberi nel triennio 2011/2013, 67mila
tra docenti e ATA sono stati assunti a tempo indeterminato questa estate.
Tuttavia, questo provvedimento non consente di coprire il reale fabbisogno
delle scuole, ma soprattutto omette di indicare il pesantissimo taglio al
personale operato in questi anni e non ancora concluso (130/140mila). Insomma,
organici profondamente ridimensionati nei numeri, per ottemperare a quella
linea di dimagrimento del personale del pubblico impiego che è un obiettivo
strategico del sistema europee in generale e del governo Berlusconi, con il
particolare (e personale) accanimento di un ministro greve e impresentabile
come Brunetta. Ma non è tutto. Il decreto citato prevedeva anche che il
provvedimento di assunzione non comportasse spese
aggiuntive per lo Stato, dunque era necessario bloccare gli stipendi dei
neoassunti per molto tempo: i nuovi assunti sono stati dunque costretti
ad accettare un contratto che lede profondamente i propri diritti, primo fra
tutti quello di vedere riconosciuta la progressione economica prevista dal
contratto nazionale (peraltro ormai scaduto da due anni): i neoassunti avranno
pertanto lo stipendio bloccato al livello minimo iniziale per nove anni, così
lo Stato continuerà a risparmiare su questo personale come è avvenuto per anni
e anni nonostante che le scuole ne abbiano una evidente necessità.
L’assunzione
di nuovo personale a queste condizioni è stata accettata dai sindacati di
categoria, tranne Cobas Scuola e FLC/CGIL, e rappresenta un pericoloso
precedente di scambio tra diritti e salario in cambio di stabilizzazione del
rapporto di lavoro: uno strappo al principio costituzionale dell’eguale
retribuzione a parità di mansioni.
Vi è
inoltre un altro capitolo importante che si aprirà nei prossimi mesi e anni e
riguarda il reclutamento, cioè i criteri con cui si definiscono le condizioni
per l’individuazione del personale da assumere. Il Ministero ha avviato le
procedure per un processo che apre le porte di fatto all’assunzione diretta da
parte dei dirigenti delle scuole (o di reti di scuole): il Tirocinio Formativo
Attivo (TFA), a cui si accede con una prova basata su test altamente
selettiva, è il primo passo di un
complesso percorso per il raggiungimento dell’abilitazione all’insegnamento (se
ne potrà frequentare solo uno relativo ad una disciplina o ad un gruppo
disciplinare) al termine del quale occorre affrontare un concorso di scuola o
di rete di scuole, per poter poi entrare in una graduatoria di istituto (o di
istituti in rete). La caratteristica del test di ammissione, il percorso del
tirocinio (organizzato a pagamento da università in rete), il concorso e
l’inserimento in graduatorie di istituto (o di istituti in rete) prefigurano
una selezione di personale il più possibile acritico, formato sugli standard
oggettivi misurabili con test INVALSI, ideologicamente neutro e privo di
personalità culturale autonoma.
Infine, a
proposito di test INVALSI, è ormai ammesso dallo stesso Ministro Gelmini che
essi serviranno a misurare il lavoro degli insegnanti sulla base dei risultati
ottenuti dagli studenti (intervista a la
Repubblica del 9 ottobre); infine, nella lettera che Berlusconi ha scritto
pochi giorni fa per rassicurare l’Europa di Sarkel-Merkozy emerge chiaramente
l’intenzione di intervenire sulle scuole che hanno manifestato i risultati
peggiori nei test INVALSI: in stagione di vacche magre, è più che lecito
pensare che no ci saranno risorse da investire in quelle scuole per potenziarne
l’efficacia didattica, quanto piuttosto l’accorpamento e lo sfoltimento del
personale.
Un obolo alla Chiesa: affidarsi ai santi
per salvarsi dalle crisi
Per
concludere, un brevissimo contrappunto alla bozza di Legge di Stabilità 2012 in
cui si prevede un finanziamento di 242 milioni di euro alle scuole private che
in Italia sono, al 90%, in mano alla Chiesa. Probabilmente il governo non sa
più a che santo votarsi per sopravvivere alla crisi economica e politica e
cerca dunque di imbonire un Vaticano e un mondo cattolico sempre più ostili.
(30
ottobre 2011)
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