Fincantieri - Mentre a Genova si lotta, a Monfalcone si firma |
Movimento operaio |
Scritto da Fabrizio Ferri |
Mercoledì 26 Ottobre 2011 11:21 http://www.marxismo.net/corrispondenze-operaie/fincantieri-mentre-a-genova-si-lotta-a-monfalcone-si-firma |
Dopo una breve battuta d’arresto, l’Ad Bono è tornato a mettere in discussione il futuro della Cantieristica navale italiana. A Genova la lotta è esplosa durissima, ma in altri siti i vertici sindacali sembrano seguire ben altra strategia.
A fine settembre le segreterie territoriali Fim-Fiom-Uilm di Gorizia, con le Rsu del sito Fincantieri di Panzano, hanno sottoscritto un accordo di stabilimento che ha fatto saltare il tavolo nazionale. Il coordinamento Fiom nazionale si è trovato esautorato dall’azione delle organizzazioni provinciali.
Se il primo piano Bono è stato ritirato grazie alla reazione compatta di tutti i lavoratori dei cantieri, ora i padroni hanno deciso di applicare la tattica dello “spezzatino”. Rompendo il fronte unitario dei lavoratori, la nostra forza si ridimensiona, considerando che ogni stabilimento cercherà inevitabilmente di salvarsi per conto suo, condannando gli altri.
Veniamo ai contenuti dell’accordo. I sindacati firmatari, si fanno carico di cogestire assieme all’azienda la riorganizzazione interna del lavoro (orari, ritmi, ecc.), nel nome della competitività. Ed il primo passo sono i 300 esuberi. Questi sono mascherati da fuoriuscite volontarie incentivate, o magari da mobilità e prepensionamento, ma in realtà ci sono delle liste di operai da allontanare.
In assemblea i lavoratori per alzata di mano hanno ratificato la firma senza che sia stata data loro la possibilità di avere un’alternativa.
Pochi giorni dopo, abbiamo assistito ad una operazione militare in cantiere. Camionette delle forze dell’ordine hanno trasportato fuori dallo stabilimento alcuni lavoratori, operanti nelle ditte dell’indotto. La causa è semplice: caporalato. Sono seguiti gli arresti di 3 “datori di lavoro” fuorilegge. Non è un caso che queste denunce vengano fatte proprio in questi giorni, e proprio dai lavoratori asiatici, nel clima di responsabilità e legalità che si respira.
La politica degli ultimi anni portata avanti da Fincantieri, fatta di tagli al costo del lavoro ed esternalizzazioni, ha prodotto inevitabilmente una dinamica selvaggia sull’utilizzazione delle ditte in appalto, le quali sfuggono facilmente ai controlli e alla legalità. Non è quindi una novità.
I bangladeshi sono insediati da anni nel monfalconese, dove vivono anche con le proprie famiglie, e spesso sono stati oggetto di boutade razziste da parte della propaganda della destra locale. Sono principalmente occupati nel cantiere, con le ditte appaltatrici. Nessuno sa che fine faranno questi lavoratori delle ditte che saranno chiuse: saranno buttati in mezzo alla strada?
A riprova dell’ipocrisia della situazione, il caso dei lavoratori balcanici, i quali, lavorando da pendolari sono meno impattanti nel territorio. Non sarebbe da meravigliarsi che le “loro” ditte non siano toccate.
Ma è necessario fare un passo indietro per capire alcune dinamiche che si sono prodotte a livello locale, e che hanno aperto a questa situazione.
A fine luglio c’è stata una vertenza per un premio di risultato non pagato, perchè non raggiunto a detta dell’azienda. La risposta è stata decisa con più di una settimana di scioperi e picchetti. In quel frangente la Cgil provinciale ha condannato l’azione delle Rsu, nel nome della responsabilità e quindi il segretario provinciale della Fiom, una volta al tavolo della trattativa, ha ammesso che c’erano inefficenze e colpe anche da parte dei lavoratori, e che bisognava discutere a settembre di riorganizzazione dello stabilimento. Ed eccoci qua.
Ricostruire l’unità di tutti i lavoratori di Fincantieri a livello locale e nazionale è l’unica via per rispondere all’arroganza di Bono e
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