I Jahalin: rifiuti umani
Scritto da Associazione
Martedì 27 Settembre 2011 07:43
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Rifiuti umani
Al di là delle demolizioni che avvengono nei quartieri
della periferia e i ripetuti, violenti scontri intorno ad Al-Aqsa, Gerusalemme
nasconde un’onta più dissimulata. A sud-est della città santa vivono i beduini
Jahalin, una comunità che è stata spostata e rimossa più volte, e che ora
soffre di una povertà subumana accanto alla maggiore discarica di rifiuti di
Gerusalemme. Una vergogna alla pari per israeliani e palestinesi, i beduini e
il loro unico modo di vivere sono soggetti a una grave minaccia.
Eid Raeb è uno che funge da coordinatore tra
il campo Jabal e le ONG europee che ne rappresentano la linfa vitale. “La vita dei beduini è finita”, dichiara
senz’alcuna esitazione, “a volte quando
guardo fuori, immagino come era prima, ma so che la vita è finita.” Eid è
uno dei membri fondatori di Jabal e ha intrapreso il suo viaggio fino a qui dal
paese che è diventato Ma’ale Adumin, una delle colonie a più rapida crescita. “Dopo aver costruito Ma’ale Adumim nel 1979,
hanno cominciato a trasferirci. All’inizio molto lentamente, una famiglia alla
volta. Dopo il 1993 e gli Accordi di Oslo, hanno costruito molte case dicendo
che avevano bisogno di tutta la terra.” Oslo li ha fatti rientrare
nell’Area C, sotto il controllo israeliano e alla loro mercè. “All’inizio, al momento in cui ci dicono di
spostarci di qui, ci rifiutiamo,ma gli israeliani ci dicono che avrebbero usato
la forza. Ci hanno promesso la concessione edilizia, l’elettricità, l’acqua e
le strade. Quando siamo venuti qui non c’era nulla, solo aperta campagna.”
Il campo di Jabal è stato fondato nel 1997,
da famiglie beduine ciascuna delle quali ha ricevuto circa 10.000 dollari per
lo sconvolgimento. Ma le promesse di un sostegno per le infrastrutture non sono
state rispettate, e ancor più importante i beduini si sono visti negare i
permessi edilizi, costringendoli a vivere per sei anni in container per
spedizioni. Nel 1998, la Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti
Economici, Culturali e Sociali ha espresso una “profonda preoccupazione per la situazione delle famiglie beduine
Jahalin che erano state scacciate forzosamente dalle loro terre ancestrali per
far posto all’espansione della colonia di Ma’aleh Adumin”. La relazione ha
condannato pure “la maniera in cui il
governo di Israele ha ospitato queste famiglie – in furgoni container di
acciaio in una discarica di rifiuti ad Abu Dis, in condizioni di vita
subumane.” A seguito della pressione combinata da parte di organizzazioni
umanitarie e di ONG straniere, ai residenti di Jabal è stato finalmente
concesso il permesso di costruire sulla loro terra.
Eid sostiene che, quando i beduini vi erano
stati trasferiti, il sito era disabitato, che venivano distribuiti terreni
israeliani e che “i palestinesi non si facevano problema che noi si stesse
qui”. Non è il caso, secondo Abdullah, uno che abita da lungo tempo ad Abu Dis,
un vicino villaggio palestinese. “Il loro
villaggio è costruito sulle terre confiscate ai palestinesi di Abu Dis.
Pensiamo molto male di loro, che lavorano con gli israeliani e talvolta si
comportano come i loro soldati. Abbiamo fatto una manifestazione contro il
furto delle nostre terre e loro sono giunti a spararci. Che loro abbiano dei
problemi specifici e dei disagi non significa che debbano accettare di vivere
su terra palestinese.” Abdullah fa riferimento a un campo beduino vicino
dove sostiene che gli abitanti si sono rifiutati di soppiantare i palestinesi e
ora vivono in tende provvisorie lontano da Abu Dis; “loro scambiano con noi latte e formaggio, noi forniamo loro
insegnanti. Nella lotta contro gli israeliani sono con noi.”
Eid ammette spontaneamente le sue distinte
lealtà. “Qui i beduini sono palestinesi.
Ma prima, quando questa terra era Giordania ci consideravamo giordani e la
maggior parte dei beduini si sentiva più vicina alla Giordania. Lavoriamo con gli
israeliani e se c’è un problema la polizia israeliana viene qui.” E’ facile
osservare come i loro rapporti con le forze di occupazione sarebbero
sufficienti ad avvelenare l’opinione dei palestinesi circa i beduini di Jabal,
anche se Eid non nutre nulla fuorché disprezzo per l’Autorità Palestinese. “Non sono un governo, sono come ladri. Qui
stiamo cominciando da zero, abbiamo bisogno di scuole, di acqua, di strade, ma
l’Autorità Palestinese ci è d’aiuto solo per gli insegnanti. Sappiamo che più
di 1 milione di dollari proviene da aiuti umanitari, ma noi non lo vediamo. E’
Abu Mazen e l’Autorità che se lo prendono.”
La più grande preoccupazione per Eid e Jabal
è l’enorme discarica situata a soli 300 metri. La maggior parte dei rifiuti di
Gerusalemme viene smaltita qui, ogni giorno, comprese tonnellate di prodotti
chimici e di gas pericolosi. Il sito risale a prima di Jabal ma, come dice Eid,
i beduini non avevano scelta. “Negli
ultimi dieci anni hanno promesso di togliere la spazzatura. Dicono che verrà trasportato
in un luogo vicino a Jericho, ma anche se lo faranno il problema non
scomparirà, ora è penetrato nel terreno. Attualmente abbiamo molti casi di
malattie della pelle tra la nostra gente e negli animali e non sappiamo come
trattarle. Un animale la prende e poi diffonde la malattia a molti altri. A
volte la si può non vedere per settimane.”
Nonostante sia stata recentemente costruita
una nuova clinica (un’impresa di associazione dell’Autorità Palestinese con
l’ONG tedesca DED), per la popolazione di Jabal forte di 3.500 persone non c’è
un solo medico. Eid spiega il problema: “Se
abbiamo bisogno di un medico, dobbiamo andare in auto a Betania. Se ne abbiamo
bisogno con urgenza è un problema. Talvolta chiediamo un’ambulanza da Ma’ale
Adumin, ma il più delle volte ce la rifiutano.” Come la maggior parte degli
abitanti della West Bank, i beduini lottano per aver accesso alle cure negli
ospedali israeliani e condizioni di questi tipo non possono rimanere
invisibili. Nel gennaio 2007, un bambino di 11 mesi è morto per una difficoltà
nella respirazione, curabile, mentre molte madri hanno scelto di partorire a
casa senz’alcuna assistenza post-parto. Questi episodi derivano in parte da
sospetto nei confronti delle pratiche mediche moderne, che Eid ritiene
rappresenti la maggiore battaglia per la modernizzazione. “Un beduino sceglierà sempre la vita tradizionale, la vita all’aperto.
Non se ne può stare in un villaggio immaginandosi sempre a porte chiuse fra
quattro mura. La gente non sa come utilizzare la casa o le medicine in modo
corretto. E’ un grosso problema per noi.”
Due mesi fa Eid ha ricevuto la visita di una
rappresentante dell’Amministrazione della Terra di Israele (ILA), che gli ha
garantito che i rifiuti sarebbero stati rimossi nei prossimi due anni. “Vorrei fidarmi di lei, ma posso credere solo
ai fatti”, le ha detto. Dall’ICAHD (Campagna Israeliana Contro la
Demolizioni di Case) sono arrivate notizie meno ottimistiche. “L’ultima riunione tra il ministro dell’Interno
e il sindaco di Ma’ale Adumin ha portato alla decisione di rinviare per almeno
sei mesi qualsiasi tipo di progetto,” ci ha riferito il loro
portavoce.
Ci sono molti precedenti in cui i beduini
sono stati costretti a sopportare condizioni di questo tipo. Nel periodo 2002 –
2004 il governo israeliano ha distrutto 7.500 ettari di colture beduine nel
Negev spruzzando sui campi prodotti chimici tossici illegali. Gli effetti sono
stati estremamente dannosi per le persone e gli animali della zona e l’espediente
era stato ampiamente condannato in quanto disumano. A Beit Iksa, diversi pozzi
sono stati avvelenati nell’ambito della campagna di espellere i beduini con
ogni mezzo necessario. Al momento, Ehud Olmert ha difeso la prassi, “faremo spostare le comunità beduine non
riconosciute per fare spazio a migliaia di ebrei”. Il riconoscimento è
stato un problema enorme per i beduini e il 20% della popolazione non è neppure
registrata come profuga, privandola di ogni protezione dal trasferimento e dai
trattamenti brutali. Attualmente è in corso una causa giudiziaria per conto del
campo di Eizariya, Bethany, per stabilire se gli abitanti hanno il diritto di
ribaltare i 257 ordini di sfratto con i quali sono in disaccordo. Mal
sopportati da entrambe le parti del conflitto israelo/palestinese e lottando
per adattarsi a un modo di vita moderno, gli abitanti di Jabal affrontano un
futuro incerto. Anche se ora posseggono il diritto alla terra, la costante
espansione di Ma’ale Adumin rappresenta una minaccia costante. Senza risorse
per mantenersi, dipendono da un piccolo gruppo di ONG straniere che non sono
state in grado di trovare una soluzione per il problema dei rifiuti o per le
conseguenti malattie. Senza un’immediata attenzione Jabal potrebbe divenire una
crisi umanitaria, ma non c’è alcuna autorità disposta a rappresentarli.
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