lunedì 26 settembre 2011

Perché il 1° ottobre


Perché il 1° ottobre

di Giorgio Cremaschi

Da Standard&Poor’s, alla Confindustria, al Corriere della Sera, è un coro unico. Berlusconi se ne deve andare.

Non è paradossale che l’uomo più ricco d’Italia, colui che ha governato il sistema politico italiano negli ultimi vent’anni nel nome dell’impresa e del mercato, sia sfiduciato da questi ultimi. Per il capitale gli stati sono come aziende, e se gli amministratori delegati sono inaffidabili e impresentabili devono essere licenziati.
La crisi della democrazia italiana sta anche in questo: che gli enormi guasti sociali, civili, morali, che l’hanno colpita, per opera decisiva di Silvio Berlusconi, non sarebbero stati sufficienti a farlo cadere se non ci fosse stata la crisi del debito.
Berlusconi viene licenziato dai suoi colleghi padroni, ma è ancora lì a far danni, perché i virus autoritari della seconda repubblica non hanno vaccini sufficienti. Almeno per ora. Nella tanto vituperata prima repubblica dei grandi partiti e delle organizzazioni di massa, del proporzionale, del conflitto politico e della lotta di classe, un capo di governo indegno e indecente come Berlusconi sarebbe già stato liquidato dalla sua stessa parte. Così non è oggi ed è per questo che cacciare Berlusconi è condizione necessaria, ma assolutamente non sufficiente per riprendere un percorso realmente democratico.
Dovremo scendere in piazza, mobilitarci, perché l’uomo delle escort e la sua corte ci liberino del loro ridicolo. Ma dobbiamo nello stesso tempo sin d’ora preparare l’alternativa a chi vuole cacciarlo e pensa di farci pagare tutti i conti del suo disastro.
Abbiamo due avversari. L’attuale governo e il governo unico delle banche e della finanza europee e mondiali, che stanno distruggendo con le loro ricette liberiste lo stato sociale e i diritti in tutta Europa. Il primo avversario è oramai in crisi, il secondo invece aumenta prepotenza e arroganza, nonostante sia altrettanto responsabile dei nostri guai. Nel nome della cacciata di Berlusconi si chiedono ancora tagli alle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, ulteriori flessibilità nel mercato del lavoro. E’ un terribile accanimento terapeutico contro un corpo sociale massacrato da anni di flessibilità, bassi salari, distruzione dei diritti sociali e dei beni comuni.
Eppure pare l’unica strada. Anche la Cgil cede ad essa firmando, senza neppure la consultazione dei lavoratori, l’accordo del 28 giugno. Accordo da cui ha preso spunto quell’articolo 8 della manovra che cancella contratti e Statuto dei lavoratori. Pare che Berlusconi debba essere cacciato perché non è stato sufficientemente di destra e antisociale.
A tutto questo dobbiamo porre rimedio con le sole armi a nostra disposizione: la costruzione di un altro punto di vista, di un’altra via per uscire dalla crisi e la mobilitazione per percorrerla.
Oggi il debito non può essere pagato. La Grecia è arrivata ai sacrifici umani pur di far contenti gli strozzini della Banca Europea (che poi sono le banche francesi e tedesche) e del Fondo Monetario Internazionale. Taglia, taglia e non basta mai perché il debito cresce. Più tagli, più lo alimenti.
L’Italia è sulla stessa via. Gli interessi sul debito sono pari a 80 miliardi di euro all’anno, le attuali catastrofiche manovre ne finanziano forse due terzi. Quindi anche noi continuiamo a tagliare mentre il debito cresce. Non si può più andare avanti per questa via e tutte e tutti coloro che anche nel centrosinistra si piegano ad essa, preparano, dopo la catastrofe di Berlusconi, un altro disastro.
Bisogna fermare la schiavitù del debito e rompere radicalmente con la politica economica liberista. La lotta all’evasione fiscale, la tassa patrimoniale, devono servire a finanziare la ripresa dei salari, dei diritti, della crescita fondata sui beni comuni e non finanziare gli interessi delle banche. Se si facesse solo questo, anche una patrimoniale severa sarebbe solo una partita di giro, che tornerebbe al mondo dei ricchi attraverso la speculazione finanziaria. Bisogna rompere la macchina infernale del debito e delle politiche liberiste che l’alimentano e per questo occorre una svolta radicale. La politica italiana di oggi non è in grado di farlo. Pensa di sostituire Berlusconi con qualche banchiere più affidabile ed estraneo al mondo della prostituzione di lusso. Ma così la crisi sociale si aggrava. E i drammatici segnali di catastrofe civile che vediamo oggi a Lampedusa potrebbero estendersi ben oltre quell’isola.
Bisogna ricostruire una politica democratica basata sull’uguaglianza sociale e pertanto fondata sulla distruzione delle politiche economiche liberiste. Altro che le filosofie bocconiane ben strapazzate ieri da Dino Greco su queste pagine. Per questo in 1.500 abbiamo firmato un appello per trovarci a Roma il 1° ottobre, per lanciare anche in Italia, così come sta avvenendo in tutta Europa, un movimento contro la schiavitù del debito, per far pagare davvero la crisi ai ricchi e soprattutto per non pagarla più noi. La piccola Islanda ci ha insegnato la via da percorrere.
Bisogna partire da qui, bisogna partire da una piattaforma alternativa a quella di chi ha sfiduciato Berlusconi in nome degli interessi del grande capitale. Bisogna che la successiva manifestazione del 15 ottobre esprima una profonda sintonia con l’appello degli “indignados” spagnoli, che non chiedono semplicemente un cambio di governo (da loro le politiche dei tagli li amministra il governo socialista), ma vogliono ripristinare la democrazia distrutta da trent’anni di politica economica liberista.
L’alternativa a Berlusconi e al liberismo si comincia a costruire sin d’ora, mentre si lotta per cacciarlo, solo così non finiremo dalla padella nella brace. Non siamo tutti nella stessa barca.

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