giovedì 26 gennaio 2012

LA RIVOLTA DELLA PICCOLA BORGHESIA E NOI


LA RIVOLTA DELLA PICCOLA BORGHESIA E NOI

 Le zanne della crisi affondano sempre più nelle carne della società italiana. La ricetta complessiva proposta dal governo Monti - dalla Confindustria e dalla BCE - lungi dal lenire le contraddizioni, le inasprisce allargando l’area della sofferenza sociale: ora non solo il mondo del lavoro dipendente e i pensionati, ma anche quello delle professioni e dei piccoli proprietari, “padroncini”, tassisti, autotrasportatori, agricoltori, ecc…

Ma la novità di questi giorni è costituita dalla veemente reazione che si sta manifestando a queste politiche tardo liberiste. In Sicilia, ad esempio, da diversi giorni si manifesta un’autentica rivolta che ha coinvolto certamente larghi strati popolari che stanno pagando i costi di questa crisi, mentre a Roma prosegue con una notevole determinazione la mobilitazione dei tassisti nel contesto di una larga insofferenza di varie categorie professionali (farmacisti, avvocati) nei confronti del governo dei professori e (a breve) della maggioranza parlamentare che più o meno timidamente lo sostiene: PDL, PD e Terzo Polo. E’ un dato di fatto che spesso queste rivendicazioni sono ipercorporative e guidate da leader ambigui e talvolta apertamente fascistoidi. Per tagliarla con l’accetta: stiamo assistendo a una rivolta fortemente connotata dalla presenza e dalla guida della piccola borghesia e dai ceti medi impoveriti e declassati dalla crisi contro un esecutivo che palesemente rappresenta altri interessi, principalmente quelli delle grandi imprese, delle banche e del capitale finanziario in generale.

Come notava Gramsci durante le fasi di crisi acuta i ceti intermedi non tengono il confronto della concorrenza con le grandi imprese, si impoveriscono e perdono conseguentemente fiducia in quel sistema politico-parlamentare che, attraverso clientele ed estorsioni al lavoro salariato, gli aveva garantito un ruolo di rilievo in certe fasi. A quel punto “la piccola borghesia, che ha definitivamente perduto ogni speranza di riacquistare una funzione produttiva (…) cerca in ogni modo di conservare una posizione di iniziativa storica: essa scimmieggia la classe operaia, scende in piazza”. (Antonio Gramsci, Il popolo delle scimmie ne “L’Ordine Nuovo”, 2 gennaio 1921)
Ora il punto delicato è proprio questo e sta suscitando un certo dibattito nel movimento comunista, in quello anticapitalista e più in generale a sinistra del PD. Qual è l’atteggiamento che si deve assumere nei confronti di questa ribellione che si sta manifestando?

Sgomberiamo subito il tavolo della discussione da inutili ingombri. Come dicevamo è chiaro a tutti che ciò che sta accadendo in Sicilia e a Roma è il manifestarsi di una rivolta dai connotati fortemente ambigui. In particolare, nell’isola sono ben evidenti le infiltrazioni di carattere fascista e le probabili presenze mafiose nel campo del “Movimento dei Forconi” e di “Forza d’Urto”. Non è questo, però, quello che ci deve preoccupare maggiormente.
Quando mai i movimenti egemonizzati da strati sociali piccolo-borghesi hanno avuto (soprattutto in Italia) un profilo politico limpido e genuinamente democratico? Quanto spesso, invece, hanno mantenuto in “pancia” elementi reazionari, di critica al ceto politico “da destra”, incapaci di intravvedere gli interessi di classe contro i quali pure si mobilitavano?
Crediamo sia sufficiente rimandare alla lettura delle pagine di Marx ne “Le lotte di classe in Francia”.
La piccola borghesia quando esprime la sua egemonia su un movimento di massa lo fa in genere sempre attraverso un programma assolutamente “confusionista”, riflesso innanzitutto dell’eterogeneità stessa degli elementi sociali che la compongono. E, tuttavia, bisogna essere capaci come comunisti di guardare alla sostanza e alla potenzialità dei fenomeni sociali. Il movimento siciliano ha individuato nell’aumento dell’IVA sui carburanti un elemento insopportabile per le condizioni di vita già precarie di larghi strati di popolazioni come trasportatori, braccianti agricoli e pescatori, ma tra i quali ci sono anche le classi subalterne alle quali facciamo riferimento. Con le rivendicazioni degli stessi tassisti crediamo sia possibile interloquire spostando l’attenzione nell’ambito di un piano di intervento pubblico della viabilità cittadina come quello tratteggiato giorni fa da Guido Viale su “Il Manifesto”. Bene hanno fatto, pertanto, a Palermo gli studenti e i compagni dei centri sociali che hanno scelto di sostenere dall’interno le lotte dei “Forconi”.

In politica il vuoto non esiste e il ruolo preminente di leader reazionari sui movimenti di protesta è possibile per l’assenza di un intervento anticapitalista, di organizzazioni sindacali in grado di unire le rivendicazioni di questi strati con quelle dei lavoratori dipendenti colpiti dalle manovre del governo, dei precari senza più un futuro e degli operai espulsi da aziende che chiudono o delocalizzano. Quindi è sicuramente un dovere denunciare le infiltrazioni e le connivenze di questi leader con organizzazioni fasciste come Forza Nuova o con ambienti del separatismo siciliano paramafioso. Ma questa denuncia andrebbe affiancata anche da un intervento diretto e di classe per contendere le parole d’ordine e la direzione del movimento. E invece ci pare largamente diffuso ancora un atteggiamento snobistico seguendo il quale la lotta che si manifesta al momento non è mai quella giusta e corretta.

Dovremmo, invece, aprire una riflessione su come far interloquire questi movimenti con le lotte che pure si stanno manifestando per la difesa del lavoro (Fincantieri, Jabil, Ferrovie, precari della scuola o la Sigma Tau nel Lazio, ecc.), contro la privatizzazione e svendita dei servizi pubblici o contro il pagamento del debito da parte delle classi subalterne.
Ma per fare tutto questo, c’è bisogno innanzitutto della presenza fisica nelle piazze e nelle lotte. Se un insegnamento si può trarre da queste mobilitazioni è che perfino un soggetto sociale corporativo o dai connotati quantomeno populisti può riuscire a trascinarsi dietro vasti segmenti di popolo se dimostra di riuscire a tenere un condotta di lotta radicale con un’adeguata fermezza. Così come l’altro insegnamento è che forme di lotta come scioperi di minoranza o meramente rappresentativi non sono incisivi quanto azioni che blocchino la produzione e la circolazione delle merci. Consapevolezza che fino a qualche decennio fa era patrimonio consolidato del movimento operaio.

La Sinistra anticapitalista esca dagli indugi e si dimostri all’altezza delle necessità della mobilitazione. Dovremmo già aver capito che il tempo del rimpianto per un’occasione mancata è del tutto sprecato.

Comunisti, insieme per l'opposizione di classe e l'alternativa di sistema*

* Laboratorio politico animato dai sostenitori della terza mozione del PRC, dai Comunisti Uniti e dei compagni del PdCI e della diaspora della provincia di Roma interessati a costruire un’area di dibattito e iniziativa politica trasversale alle attuali appartenenze organizzative

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