TARIFFA AL CONSUMATORE O FINANZIAMENTO PUBBLICO DELL’ACQUA, BENE COMUNE PER LA VITA?
LETTERA APERTA A NICHI VENDOLA, PRESIDENTE DELLA REGIONE PUGLIA, E A FABIANO AMATI, ASSESSORE REGIONALE ALLE OPERE PUBBLICHE
Riccardo Petrella
Ex-Presidente dell’AQP
Dopo la lettera aperta del 12 gennaio dell’Assessore Amati indirizzata a me ed al movimento « Acqua Bene Comune » della Puglia (1), e l’intervento del presidente Vendola con un articolo apparso su Il manifesto del 14 gennaio, su uno dei temi centrali trattati da Amati, il livello delle tariffe dell’acqua dell’AQP, mi é parso ragionevole « indirizzare » ad entrambi la mia « risposta », originalmente destinata all’assessore regionale. Il Comitato pugliese « Acqua Bene Comune » reagirà secondo le proprie regole ed intendimenti.
Ringrazio anzitutto Fabiano Amati per avermi fatto l’onore di essere destinatario, con gli amici del Comitato pugliese, della lettera aperta e del tono pacato usato. Ha un pochino esagerato sul lato retorico, ricercatamente malizioso ma, siccome, volutamente, non ho mai polemizzato negli ultimi cinque anni sull’AQP né con il presidente né con l’assessore, non ho alcuna intenzione di farlo ora. Penso anch’io che quel che conta sono i contenuti ed é su di essi che tutti noi , cittadini o responsabili politici, dobbiamo confrontarci non per aver ragione, ma per fare avanzare le cose nella buona direzione. Nel nostro caso la buona direzione é rappresentata dalla ripubblicizzazione dell’AQP e del governo dell’acqua in Puglia (ed in Italia).
Sia Amati che Vendola hanno ragione di insistere sul fatto che la ripubblicizzazione del governo dell’acqua non é un affare semplice e che un presidente di una regione italiana non ha né il potere reale né la bacchetta magica per fare quello che desidera (fortunatamente aggiungerei). Questo, pero’, non é suffficiente per spiegare la questione fondamentale, al centro del dibattito in Puglia prima e dopo il referendum di giugno 2012, che é di capire « perché, dopo più di sei anni dall’elezione di Nichi Vendola a presidente della Puglia, vinta « personalmente » in maniera bella ed entusiasmante anche perché la ripubblicizzazione dell’AQP é stata , con la sanità, uno dei due temi principali della sua campagna, i cittadini pugliesi devono ancora battersi per la ripubblicizzazione ? »
La ripubblicizzazione dell’acqua vuole dire la responsabilità integrale ed integrata del governo dell’acqua nelle mani dei poteri pubblici e, quindi (solo in teoria ?) dei cittadini :
a) ai vari livelli di regolazione e di orientamento (regolazione giuridico-istituzionale, finalità ed obiettivi, forme di gestione finanziaria ed operativa ivi compresa la partecipazione dei cittadini...), e
b) nelle varie fasi del ciclo politico-economico globale dell’acqua e dei servizi idrici (salvaguardia e protezione dell’ambiente e delle fonti, attività di ricerca scientifica e tecnica, captaggio e produzione dell’acqua buona per usi umani, distribuzione, diffusione, usi, fognature, trattamento delle acque reflue e riciclaggio, valutazione, attività prospettive) ; non solo, quindi, del « piccolo » ciclo dell’acqua costituito in Italia dal « servizio idrico integrato » (acqua potabile, fognature, trattamento delle acque reflue).
Per concretizzare il dibattito, la ripubblicizzazione dell’AQP e del governo dell’acqua significava e significa tuttora almeno tre cose (fra altre, anch’esse importanti, ma che per ragioni di spazio non posso trattare)(2) :
cambiare lo statuto dell’AQP ;
modificare il sistema tariffario e i principi fondatori del finanziamento dei servizi idrici introdotti dalla legge Galli del 1994 ;
promuovere la partecipazione effettiva dei cittadini al governo dell’acqua.
Primo, livello giuridico-istituzionale, cambiare lo statuto dell’AQP da SpA, soggetto di diritto privato, a soggetto di diritto pubblico, cioé Azienda pubblica, Azienda speciale, ente consortile,….. Questo cambiamento non é stato operato. Come ha dimostrato la storia degli ultimi anni, anche la SpA in house (che rispetta le tre condizioni fissate dalla Corte di Giustizia Europea) costituisce una correzione non dello statuto privato della SpA, ma delle modalità operative della sua funzione sociale che resta il profitto. Inoltre la SpA in house non puo’ esimersi dall’applicazione della tariffa fondata sul principio ( affermato anche dalla Direttiva Quadro Europea sull’Acqua del 2000) del recupero dei costi totali di produzione, compresa la remunerazione del capitale (principio che é stato abrogato dal referendum di giugno proprio per quanto riguarda specificamente il 7%, che nella legislazione italiana era stato attribuito alla remunerazione del capitale). Certo, la Costituzione dell'Azienda pubblica regionale « Acquedotto pugliese » (Aqp) rappresenterà, quando realizzata, un passo avanti non indifferente importante anche se non é ancora ben chiaro quale sara lo statuto reale dell’AQP.
Peccato che la Regione Puglia non ha operato il cambio di statuto negli anni quando non v’era alcun ostacolo legislativo che impedisse di farlo. Quisquiglie, é stato detto e scritto. Problema non maturo, che interessa poco i pugliesi. La priorità era di efficientare la gestione dell’AQP, ridurre le perdite di rete. E chi mai ha pensato che le due cose fossero esclusive, l’una o l’altra ? Il fatto é che sull’efficientamento dell’AQP tutti gli attori importanti della politica dell'acqua in Puglia (ed in Italia) erano d’accordo (e a ragione), mentre il cambio di statuto dell’AQP ha suscitato e suscita opposizioni forti all’interno della giunta e dell’assemblea regionale. La realpolitik, il « fare politica concreta » ha sicuramente giocato in favore dei rinvii e dei tentennamenti. Comprensibile, ma cio’ non rende accettabile i ritardi e le incompletezze nelle scelte operate. Ora é evidente che, se l’art. 20 del decreto legge sulle liberalizzzazoini del governo Monti non é eliminato fra giorni, effettuare il cambio oggi é diventato politicamente ancor più difficile (anche se non impossibile come dimostra la trasformazione della SpA Airin di Napoli in Azienda speciale Acqua Bene Comune). Attualmente l’AQP resta una SpA !
Secondo, livello politico-economico, la ripubblicizzazione significa modificare il sistema tariffario e i principi fondatori del finanziamento dei servizi idrici introdotti dalla legge Galli del 1994 e rinforzati, nel senso della mercificazione dell’acqua e della finanziarizzazione privata dei servizi idrici, dai successivi numerosi interventi legislativi che hanno contribuito a fare della regolazione dei servizi idrici in Italia un sistema fra i più confusi in Europa. La Regione Puglia ha rifiutato finora di ripubblicizzare il sistema tariffario ed i suoi fondamenti. Essa non ha voluto cambiare, nemmeno in parte, la regola che impone che la tariffa del m³ d’acqua pagata dal consumatore deve finanziare i costi totali del servizio idrico integrato. Avete sempre affermato che la tariffa é essenziale per recepire le risorse finanziarie necessarie per gli ingenti investimenti da fare sia a corto e medio termine (efficientamento dell’AQP) che a lungo termine secondo il Piano d’ambito. A questo proposito avete argomentato che il mantenimento del 7% nella tariffa dell’AQP malgrado il referendum, serve non a remunerare il capitale investito ma a coprire i costi d’indebitamento dell’AQP accumulati anche prima del 2005 dalla precedene gestione. Mi pare un argomento da rivedere anche per la semplice ragione che se l’AQP applica la legge che ha introdotto l’obbligatorietà di includere tale percentuale a titolo di remunerazione del capitale, in questo caso non si puo’ dire che esso copre altri costi. Se invece l’AQP usa il 7% per coprire altri costi, va fuori norma perché non rispetta la disposizione legislativa. Non tanto solido é l’argomento (lettera di Amati) che rimanda alla responsabilità dei Sindaci pugliesi il mantenimento del 7% e che afferma che se i Sindaci lo riducessero cio’ avrebbe come conseguenza la riduzione degli investimenti. Chi crede per un secondo che la Regione, diventata l’unico azionista dell’AQP, non ha un grande potere d’influenza sulle decisioni in materia di tariffe ? E’ poi necessario ricordare che l’argumento relativo alla riduzione degli investimenti é quello, da sempre, ab-usato dai fautori della mercificazione dell’acqua e della privatizzazione dei servizi idrici, i quali affermano che é meglio far ricorso alla tariffa, secondo « la verità dei prezzi », per finanziare i costi del « consumo » dell’acqua, piuttosto che alle tasse perché cosi si evita di aumentare il livello di tasse a carico dei cittadini ?
La ripubblicizzazione del finanziamento del servizio idrico integrato in Italia significa, dunque,
- adottare un sistema differenziato a seconda delle tre principali finalità cui corrisponde l’utilizzo dell’acqua che sono : il diritto alla vita di ogni persona, il benessere collettivo decente, l’utilità individuale.
Per quanto riguarda i costi del diritto umano all’accesso all’acqua potabile ed ai servizi sanitari, nella quantità e qualità essenziali per la vita, (50 litri al giorno per persona) ed al trattamento delle acque reflue (quantità di litri da determinare « localmente »), essi devono essere coperti dalla collettività tramite le finanze pubbliche (il bilancio pubblico). In questo senso, bisogna continuare a battersi contro le scelte fatte, a livello nazionale ed europeo, anche in queste ultime settimane, di sottomettere al vincolo della stabilità la spesa pubblica per i servizi pubblici che riguardano i diritti umani e sociali. Accettare il finanziamento dell’acqua potabile per la vita unicamente sulla tariffa non contribuisce affatto a combattere la demolizione in corso dello Stato dei diritti e della sicurezza sociale. Per quanto riguarda il benessere collettivo decente (si stima che esso sia soddisfatto con un utilizzo d’acqua di 120-130 litri al giorno per persona, compresi i già menzionati 50 litri), é opportuno di richiedere ad ogni cittadino o nucleo familiare un contributo monetario fisso. Riguardo l’utilità individuale, ogni utilizzo superiore ai 120-130 litri diurni per persona corrisponde ad un benessere individuale variabile. In questo caso, si puo’ applicare una tariffa progressiva, fino ad un limite di litri utilizzabili, fissato dalla collettività (per esempio attorno ai 250-300 litri al giorno per persona) . Questo limite di sostenibilità ecologica implica che al di là di esso non é legalmente permesso l’utilizzo dell’acqua potabile. Altrimenti detto non si applica il principio di « chi inquina paga ». Se la collettività decide che un consumo di 250-300 litri al giorno per persona é ecologicamente il massimo sostenibile, non é perché pago che posso andare al di là del limite.
L’AQP non ha operato alcuna innovazione a livello di questa ripubblicizzazione. Esso é rimasto allineato sulla soluzione rappresentata dalla « tariffa sociale », cioé una tariffa bassa, molto ridotta, mirante a permettere l’accesso all’acqua potabile per le famiglie « povere ». La « tariffa sociale » non si distacca ideologicamente dalla cultura della mercificazione e privatizzazione del diritto all’acqua perché essa dice « tutti devono pagare l’acqua ai costi di mercato.Pero’, tenendo conto delle condizioni di certe categorie sociali.....ecc...interveniamo per aiutarle... ». Cio’ facendo, non si garantisce il diritto umano all’acqua, ma si fa soprattutto opera di carità nei confronti dei « poveri ». Fare carità non é un atto di ripubblicizzazione del diritto all’acqua. Il welfare é nato e si fonda sui diritti e sulla sicurezza, e non sulla carità e l’assistenza.
- realizzare una profonda revisione del sistema della finanza pubblica ed in particolare del finanziamento degli investimenti nei beni e nei servizi pubblici, in questo caso l’acqua ed i servizi idrici.
Non si puo’ accettare come inevitabile che il finanziamento dell’AQP sia definitivamente privatizzato perché fondato sulla tariffa pagata dal consumatore, sulla quale contare anche per ammortire l’indebitamento contratto sui mercati di capitali privati, a sua volta considerato inevitabile perche bisogna contenere la spesa pubblica, il pubblico non ha più soldi, il finanziamento privato consente una gestione più efficiente e efficace ...ecc.ecc. E’ vero che oggi in Europa non esiste più un istituto di credito pubblico (locale, regionale, nazionale, internazionale). Anche quando i capitali sono totalmente ( cosa oramai rara) o parzialmente pubblici, l’istituto di credito, per esempio la BEI, si comporta, con le debite distinzioni, come una banca di credito obbediente a principi e logiche di tipo privato. Inoltre, gli investimenti pubblici nei beni e servizi pubblici superano di gran lunga le capacità di intervento di banche etiche, banche sociali, banche realmente cooperative....Non si puo’ contare su di loro per un’inversione di tendenza. In realtà, i dominanti privatizzatori hanno creato l’inevitabilità dell’indebitamento nei confronti del capitale privato. Il rinegoziato dei termini del debito di 280 milioni contratto nel 2004 dall’AQP con la Merryl Lynch é stato una buona cosa ma fu doveroso e legittimo tanto leonino fu il contratto firmato con leggerezza ed incuria dalla direzione dell’AQP e dai responsabili della Regione dell’epoca. E” auspicabile che la Regione abbandoni l’allinemento sulla « normalità » dell’indebitamento nei confronti dei capitali privati e, quindi, della dipendenza del futuro finanziario dell’AQP dalle imprese di notazione (rating). Questo allineamento emerge allorché l’assessore Amati parlando dei milioni di utili registrati grazie all’efficientameto dell’AQP negli ultimi due anni fa appello al riconosicmento della buona gestione dell’Acquedotto fatto “da tutti gli specialist e dalle agenzie di rating”. Con questo voglio ancora una volta attirare l’attenzione di Vendola e di Amati sulla trappola rappresentata dalla tariffa pagata del consumatore. La tariffa non libera l’acqua, né i servizi idrici, né il cittadino, né le collettività locali e regionali dalle logiche del mercato, del consumo e degli interessi finanziari. Le tariffe nei paesi del Nord dell’Europa sono in media da due (Belgio, Francia) a quattro volte (Danimarca, Regno Unito, Germania) superiori a quelle italiane. Esse non hanno ridotto l’indebitamento nei confronti dei mercati di capitali privati e « stranieri », anzi. E non si puo’ dire che la tariffa della verità dei prezzi di mercato abbia liberato i cittadini francesi dalla loro sottomissione agli interessi delle grandi imprese private. Lo stesso vale per il Regno Unito e da pochi anni per la Germania.
Cio’ detto, ha fatto bene il presidente Vendola ad affermare il 14 gennaio che é possibile ridurrre la tariffa e che si puo’ utilizzare il denaro pubblico per il finanziamento degli investimenti nel settore idrico. Finalmente ! Sono contento del progresso compiuto perché quando proposi nel 2006, allorché ero presidente de’ll’AQP, come soluzione da minor male, la creazione di un fondo pubblico regionale per finanziare il diritto umano ai 50 litri in Puglia (i costi annuali per il bilancio regionale sarebbero stati di poco superiori a 2 milioni l’anno) la risposta fu il rifiuto. Spero che la Regione Puglia s’incammini gradualmente, ma presto, verso la ricerca di soluzioni innovatrici sul piano dell’istituzione di soggetti di credito pubblici regionali e del funzionamento dell’economia dei beni comuni in Puglia. Non sono titolato a parlare a nome del Comitato pugliese Acqua Bene Comune » ma penso che l’Università del Bene Comune e le nuove ed interessanti organizzazioni sui beni comuni, compreso il Comitato pugliese, costituitesi in Italia negli ultimi tre-quattro anni, saranno pronte a dare il loro contributo di analisi e di proposte.
Terzo, livello socio-politico, promuovere la partecipazione effettiva dei cittadini al governo dell’acqua. Fino a non molto tempo fa, far partecipare i cittadini al governo degli affari pubblici significava soprattutto due cose: informarli bene e consultarli di tanto in tanto (ma senza potere vincolante). Il ricorso ai referendum abrogativi ed allo strumento di proposta di legge di iniziativa popolare erano considerati due strumenti eccezionali ed originali introdotti dalla Costituzione italiana. Il secondo, in particolare, resta una forma importante di partecipazione cittadina specifica al nostro Paese. Non é un caso che l’utilizzo di questi strumenti in Italia negli ultimi anni sia avvenuto nel campo dell’acqua (legge regionale sul servizio idirico in Toscana e legge nazionale sull’acqua di iniziativa popolare, due refendum abrogativi…). Non parliamo poi delle innumerevoli iniziative cittadine prese a livello comunale, provinciale e regionale dall’inizio deglii anni 2000 in favore del diritto all’acqua e dell’acqua bene commune, res publica . I cittadini pugliesi sono stati fra I più attivi in questa mobilitazione. La Regione Puglia ha in qualche modo, in maniera molto minore l’AQP, accolto la pressione dei movimenti pugliesi ad essere coinvolti e partecipanti nel processo di ripubblicizzazione dell’AQP annunciato da Nichi Vendola. Ogniqualvolta il movimento pugliese si é trovato a divergere dalle misure prese dalla regione, I contatti sono stati pero’ più tesi vuoi conflittuali. Allo stato attuale si puo dire che la partecipazione dei cittadini al governo dell’acqua in Puglia é di tipo movimentista, un misto di associazione/diaologo e di opposizione. E’ tempo - se il presidente Vendola e l’Assessore Amati accettano un appello da parte mia, a titolo puramente personale – che siano messi in opera, subito, degli strumenti di coinvolgimento ( una audit regionale o una consulta regionale con pareri vincolanti, o la convocazione de « Gli Stati Generali dell’acqua della Puglia », anch’essi con poteri propositivi vincolanti) con il compito di esaminare e proporre entro la fine del 2012 come creare un sistema di reale partecipazione dei cittadini al governo dell’acqua in Puglia. Nichi Vendola conosce bene il potere dei cittadini. Certo, tutti noi amiamo il vento quando ci é favorevole ma esso ci puo’ aiutare ad andare nella direzione giusta anche per vie da noi non pensate o desiderate
(1) Cfr. Regione Puglia, comunicato stampa, Sede Giunta, del 12 gennaio 2012 http://www.newspuglia.it/index.php?option=com_flexicontent&view=items&cid=5:politica&id=5338:il-decalogo-che-amati-rivolge-al-comitato-acqua-bene-comune&Itemid=2.
(2) Ho trattato delle altre dimensioni della ripubblicizzaoine nella lettera aperta da me diffusa nel dicembre 2006 per spiegare le sette ragioni delle mie dimessioni dall’AQP.
***********************************************************************************************************
Puglia. Risposta a domande Ass. Amati a Comitato pugliese
Caro Assessore,
qui di seguito e in allegato trovate la nostra risposta al decalogo che Amati rivolge al Comitato Acqua Bene Comune
che è stata inviata all'Assessore e alla stampa.
Caro Assessore,
siamo sinceramente sorpresi delle domande che ci rivolge – poiché pensiamo che dovrebbero essere gli amministratori a dare risposte ai cittadini e non il contrario – ma anche altrettanto sinceramente contenti, poiché questa sua nota pubblica ristabilisce la comunicazione (sospesa ormai da mesi) ed esprime la sua disponibilità a comprendere e la sua intenzione a superare i “nodi” che si sono creati in questo periodo (e non semplicemente con il Comitato pugliese “Acqua Bene Comune” ma anche con quella parte di cittadinanza che ha fortemente creduto nella realizzazione dell’impegno alla ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che avete assunto in campagna elettorale).
Le riflessioni e le osservazioni - che, in questi mesi, abbiamo portato alla sua attenzione, a quella del Presidente e del Consiglio regionale, e attraverso la stampa, a quella della cittadinanza tutta - poggiano su un punto centrale dal quale è necessario ripartire per poter affrontare la situazione nella sua completezza.
Si tratta della ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che, allo stato attuale, ci risulta essere ancora una Società per Azioni, così come, del resto, non ci risulta che il Governo regionale si sia attivato per dare corso e attuazione alle forme di partecipazione della cittadinanza così come previste all’art. 6 del testo di legge approvato dal Consiglio regionale.
Rispetto al primo punto lei sostiene che la mancata trasformazione di AQP SpA in soggetto pubblico è da ricondurre al fatto che il governo nazionale abbia impugnato la legge pugliese.
A parte il fatto che l’esito referendario permette oramai una scelta del genere, lei sa bene che parte dei motivi alla base dell’impugnazione risiedono proprio nella “mancata” qualificazione del servizio idrico come “servizio di interesse generale, privo di rilevanza economica”. La soppressione di tale qualificazione (prevista, invece, nel testo originario del disegno di legge regionale, concordato con il Comitato pugliese e il resto del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua) è in parte alla base del ricorso del Governo nazionale che, così, si è potuto appellare alla tutela della concorrenza per impugnare la legge davanti alla Corte Costituzionale (in quanto, come previsto dalla Costituzione, tutto ciò che è riconducibile alla concorrenza è di competenza statale).
Inoltre, come interpretare le diverse iniziative che hanno visto l’Acquedotto pugliese AQP S.p.A., in compagnia di società come Hera S.p.A., Acea S.p.A., di multinazionali come Veolia, ecc.?
E la scelta, ad esempio, di sponsorizzare il "Festival dell'Acqua", fortemente voluto e organizzato da Iren S.p.A. e Federutility che certo, per sua stessa ammissione, non condivide le posizioni di quanti ritengono l’accesso all’acqua potabile sia un bene dell’umanità e per questo vogliono ripubblicizzarne la gestione? Del resto, ci risulta che AQP SpA sia ancora nella giunta esecutiva di Federutility. O ci sbagliamo?
Rispetto alle tariffe, non siamo noi che diciamo che la Regione “non le vuole diminuire” (del resto sappiamo tutti che la competenza è dell’ATO, oggi in Puglia, dell’AIP) ma è lei che in diverse occasioni ha sostenuto e dichiarato pubblicamente che la “remunerazione del capitale in Puglia è un costo” e che, dunque, non si sarebbe potuto eliminare dalle tariffe (nonostante l’esito referendario stabilisse contrariamente).
Eliminare la remunerazione del capitale dalle tariffe non è questione di “prestigio o consenso” – e neanche di “applausi a scena aperta” – è semplicemente questione di legalità, nel senso di attuazione di quanto previsto dall’esito referendario, attuazione della legge, amministrazione corretta della cosa pubblica.
Del resto sulla sua fattibilità, dovrebbe essere di conforto il recente comunicato del Presidente Vendola (diffuso a mezzo dell’agenzia stampa regionale) nel quale sostiene la possibilità di poter ricorrere a un aumento della “quota di cofinanziamento del Piano d’Ambito a valere sulle risorse della programmazione unitaria” (http://www.regione.puglia.it/?page=pressregione&opz=display&id=12100).
La remunerazione del capitale non è un costo. Neanche in Puglia, naturalmente.
Lo sa l’AATO che, come si legge, nel documento di “RIMODULAZIONE PIANO D’AMBITO 2010-2018 (CAPITOLO 7)”-, afferma che “La remunerazione del capitale investito rappresenta il ristoro economico e l’incentivo riconosciuto al soggetto gestore per il finanziamento degli interventi mediante l’impiego di mezzi propri”.
Lo sa l’ANFIDA, Associazione Nazionale Industriali degli Acquedotti, che nella memoria depositata contro l’ammissibilità dei referendum (e riportata nella Sentenza 26/2011, ref. 151 (Decisione 12/01/2011), sostiene che “l’eliminazione del riferimento alla remunerazione del capitale, quale componente della tariffa, e, dunque, alla possibilità di conseguire utili dall’attività di gestione di un servizio pubblico […] la previsione che si intende abrogare, nello stabilire che il corrispettivo del servizio idrico integrato è stabilito anche in considerazione del diritto dell’imprenditore di ottenere un utile dall’attività prestata”.
Lo sancisce la Sentenza della Corte Costituzionale di ammissione dei referendum (Sentenza 26/2011, ref. 151, decisione 12/01/2011), che al punto5.2. sostiene che “mediante l’eliminazione del riferimento al criterio della «adeguatezza della remunerazione del capitale investito», si persegue, chiaramente, la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua […] coessenziale alla nozione di “rilevanza” economica del servizio è la copertura dei costi (sentenza n. 325/2010), non già la remunerazione del capitale.
Gli interessi sui debiti (compresi, dunque, i bond) sono già conteggiati alla voce interessi passivi nel conto economico, sono un costo finanziario che nulla ha a che fare con la remunerazione del capitale. Se avessimo la possibilità di visionare il bilancio dell’acquedotto pugliese – che gestisce un bene comune e la cui contabilità a maggior ragione dovrebbe essere pubblica e di facile fruizione (sul sito dell’AQP, risultano pubblicati solo i bilanci 2004, 2005 e 2006,http://www.aqp.it/portal/page/portal/MYAQP/PAGE_MYAQP_ISTITUZIONALE/PAGE_MYAQP_DATIECONOMICI/PAGE_MYAQP_BILANCI, mentre AQP SpA non risponde alle nostre richieste di documentazione) – ci si potrebbe rendere conto insieme dell’esistenza di tale voce, come potremmo renderci conto della portata dell’indebitamento e del suo impiego.
Per il momento ciò che è noto alla cittadinanza – a parte qualche cifra del piano industriale – è il fatto che le attività di depurazione e di potabilizzazione sono ancora realizzate da due società a responsabilità limitata, società anch’esse di diritto privato che rispondono alle logiche e alle leggi di ogni società commerciale. E sulla loro sorte ancora non si sa nulla.
Il problema è che un forte indebitamento generalmente – e come numerosi casi in questo Paese ci insegnano – è “propedeutico” a un possibile “fallimento” e, dunque, alla “necessità” di ricorrere a “nuovo” capitale e, dunque, alla privatizzazione.
Non stiamo dicendo – e non ce lo auguriamo certo – che questo sia il destino dell’Acquedotto pugliese, né la volontà del governo regionale, ma certo non possiamo non notare il pericolo potenziale che sembra profilarsi all’orizzonte.
Del resto, diminuire la tariffa della somma corrispondente alla remunerazione del capitale non dovrebbe incidere sugliinvestimenti che vengono “recuperati” nella tariffa stessa attraverso la voce dei costi di ammortamento.
Alla disciplina economico e contabile, si aggiunge la sentenza della Corte Costituzionale di ammissione dei referendum (26/2011, ref. 151, decisione 12/01/2011), che al punto 5.4. chiarisce che “la normativa residua, immediatamente applicabile (sentenza n. 32 del 1993), data proprio dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di eserciziosecondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”».
Del resto, apprendiamo che tale consapevolezza è stata fatta propria anche dal Presidente Vendola che, sempre nella nota di cui sopra, indica come possibile soluzione operativa “quella di incrementare la quota di investimenti pubblici riducendo quella a caricodella tariffa, assicurando comunque la piena attuazione di tutti gli investimenti previsti dal Piano d’Ambito 2010-2018 pari a complessivi € 1.484 milioni (di cui 911 milioni a carico della tariffa e i restanti 573 milioni a carico del finanziamento pubblico)”http://www.regione.puglia.it/?page=pressregione&opz=display&id=12100 .
Non è questa forse la prova provata che gli investimenti si possono comunque sostenere, a prescindere dalla remunerazione del capitale, se solo ci fosse la volontà politica di farlo?
In ultimo, ci permettiamo di farle notare, che questo costante riferimento alle pagelle delle agenzie di rating non ci lascia tranquilli. Le agenzie di rating – società private non esenti da conflitti di interesse – sono le stesse che hanno giocato una parte rilevante nella crisi finanziaria che si è abbattuta e dalla quale stentiamo a uscire.
Dunque, ci chiediamo quale credibilità si possa oggi attribuire a tali agenzie. Non solo rispetto alla non affidabilità delle loro valutazioni – il caso Enron e Parmalat insegnano – ma anche rispetto alle loro reali (quanto recondite) intenzioni.
Del resto lo Stato, le amministrazioni, gli enti e le aziende pubbliche, non sono società, non funzionano e non dovrebbero funzionare come società private, non hanno come obiettivo la remunerazione del capitale per gli azionisti e, dunque, non possono essere valutate sulla base di tali criteri e parametri. Non trova?
Non risiede anche in questo – ovvero nel tentativo di gestire il pubblico con gli obiettivi e le dinamiche del privato – parte del problema che sta attanagliando il nostro Paese, e non solo?
Rispetto al contributo noto come “componente ambientale”, piuttosto che della messa in sicurezza degli impianti, a cui fa riferimento e sui quali ci chiede di esprimerci , conveniamo certamente con lei e con la normativa in vigore che trattasi di un costo da pagare, ma è appunto un costo, non la remunerazione del capitale!
Su questo punto vorremmo fosse chiaro che non siamo per una riduzione delle tariffe tout court – che, invece, dovrebbero aumentare cospicuamente per chi fa un consumo spropositato della risorsa -, ma solo per il rispetto dell’esito referendario e, dunque, della legge.
Per questo, in tutta Italia è stata lanciata la campagna di “Obbedienza Civile” che in Puglia presenteremo venerdì 20 gennaio(ore 17.00 presso l’Aula Aldo Moro dell’Università di Bari, Facoltà di Giurisprudenza, Via C. Battisti, 1) e che ci auspichiamo possa essere un’occasione per continuare il confronto e la comunicazione che lei ha aperto con questa sua nota e per intraprendere insieme – se c’è la volontà politica del Governo regionale – una battaglia radicale (determinata e determinante) sia sul piano culturale, sia su quello sociale e, conseguentemente, su quello politico.
Il nostro auspicio e la nostra richiesta (mai mutata e che qui rinnoviamo) è che la Puglia possa essere il laboratorio innovativo nella sostanza (gestione pubblica e partecipata dei beni comuni) e nella metodologia (interlocuzione costruttiva con la cittadinanza e sperimentazione di forme di partecipazione) a cui tutta Italia (e non solo) guardava con attenzione e nei confronti della quale, forse, non ha ancora perso la speranza. E anche noi siamo certi che, se solo ci fosse la volontà politica, la Puglia potrebbe senza indugi “recuperare anche innovativamente l’indicazione del referendum” e con questo essere, insieme a Napoli, l’apripista di una nuova stagione in Italia.
E anche per questo, per questa speranza – oltre, naturalmente, che per il fatto che siamo cittadini pugliesi – il motivo per cui le nostre riflessioni si rivolgono alla Puglia e all’AQP SpA, non certo per la “garanzia di successo mediatico” o per “entrare nel Consiglio di Amministrazione” come lei sostiene e ha sostenuto nei nostri riguardi (accuse che, in tutta schiettezza, ci hanno indignato, ci indignano ma non ci tangono).
Detto questo, la sua partecipazione e quella del Governo pugliese al Convegno del 20 gennaio, non potrebbe che essere letta come un segnale tangibile dell'impegno per la reale ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese che, speriamo, sia ancora comune.
In attesa di un suo riscontro, la salutiamo cordialmente.
Comitato pugliese “Acqua Bene Comune” – Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.
Il decalogo che Amati rivolge al Comitato Acqua Bene Comune
Nessun commento:
Posta un commento