sabato 24 dicembre 2011

Costa d’Avorio. Il Colpo di Stato


 Sta suscitando grande scalpore in Francia la pubblicazione di un libro dal titolo emblematico “Costa d’Avorio. Il Colpo di Stato”. È scritto dal giornalista investigativo Charles Onana con una prefazione dell’ex presidente sudafricano Thabo Mbeki. Il libro contiene documenti inediti e lettere che Onana ha ottenuto dai ministri francesi e dal presidente Gbagbo. Alcune pagine, le più succulente, sono state pubblicate da Le Nouveau Courrier.
Sono soprattutto i racconti di Gbagbo, che dalla prigione ha inviato ad Onana, a rendere l’opera del giornalista un “libro-evento”, che potrebbe far tremare le poltrone di alti funzionari francesi e non solo. In una delle tante lettere, Gbabgo racconta di un’intercettazione telefonica che i francesi avrebbero usato per individuare il punto in cui si trovava nella residenza presidenziale: “Sono stati i soldati francesi a fare tutto. Hanno bombardato dal 31 marzo all’11 aprile 2011. All’inizio i bombardamenti erano sporadici (…) Il ministro della Difesa francese Alain Juppé espresse il desiderio di parlare con me. Il mio consulente Desiré Tagro ( ucciso durante l’arresto di Gbagbo) mi disse che la richiesta proveniva da Charles Millon, l’ex ministro della Difesa, con cui ero stato insieme all’Università di Lione. Tagro mi ha parlato di questa richiesta il 10 aprile 2011 al mio risveglio mattutino (…) Quando ho finito di fare la doccia, ho trovato Tagro al telefono con Millon. Improvvisamene una bomba è esplosa sul tetto della mia stanza”.
Gbagbo spiega anche il motivo della sua decisione di non far combattere l’esercito ivoriano, che all’epoca suscitò non poche perplessità, facendo una piccola premessa: “Il 10 aprile 2011, la nostra fonte presso il ministero della Difesa a Parigi ci informò che c’erano 6+3, vale a dire sei elicotteri più altri tre. Prima di allora c’erano solo tre elicotteri che ci bombardavano. I cecchini erano invece di stanza sui tetti dell’ambasciata francese in Costa d’Avorio, adiacente alla mia residenza. Il loro ruolo era quello sparare sui manifestanti e sui giovani ivoriani accorsi a proteggere la mia casa”. Gbagbo viene poi a sapere dal comandante delle forze armate Konan che i carri armati francesi sparavano sui soldati. “Non potevo accettare di vedere morire inutilmente i degni figli del mio Paese contro persone che volevano solo la mia testa (…) I soldati volevano mettermi in sicurezza ma gli ho detto che non ero un militare ma un capo di Stato”. Per quanto riguarda il suo arresto, Gbagbo sostiene che i soldati francesi dopo aver circondato la sua residenza hanno mandato avanti i ribelli delle Forze Nuove (ora Forze repubblicane) a prenderlo, mentre loro stavano dietro e filmavano il tutto.
“Non c’erano giornalisti africani che giravano le immagini al momento del mio arresto”. Solo francesi. Ma la parte più interessante è quella che parla del tentativo di corruzione da parte dell’amministrazione Obama. “Un sottosegretario di Stato Usa mi ha chiamato e mi ha parlato per almeno un’ora. Mi ha detto che se avessi lasciato la poltrona presidenziale, sarei sopravvissuto e andato in esilio con altre 64 persone del mio entourage. Sarei stato nutrito, avrei avuto un lavoro e un reddito pari a 2 milioni di dollari (…) Questa conversazione o monologo era surreale (…) e ho attaccato”. Ma non finisce qui, insoddisfatti del risultato, prima Hillary Clinton e poi il presidente Usa in persona, Barack Obama, hanno tentato di contattarlo al telefono, ma il presidente Gbagbo non ha mai risposto, convinto che fosse solo “una perdita di tempo”. “Ho chiesto un riconteggio dei voti e hanno rifiutato” spiega Gbagbo, “ho proposto di creare una commissione internazionale d’inchiesta indipendente per esaminare i fatti ma hanno rifiutato”. Alla Francia e agli Usa non interessava sapere la verità sulle elezioni, ma solo togliersi dai piedi Gbagbo.

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